AT : Ciao Roberto, ben tornato su Fralerighe. Sei il primo autore che recensisco e intervisto dal passaggio sul blog. Hai il dovere di sentirtene onorato. Forza, dimostracelo!
RR : Oddio, cosa faccio, mi metto a ballare? Tanto su Internet non si vede…
AT : Sei già stato nostro ospite con “Undercover”. So che il romanzo è stato premiato… Che ci dici al riguardo?
RR : Che è la dimostrazione, ove ce ne sia bisogno, del degrado culturale nel quale versiamo. Ben due premi di genere giallo-noir, l’Azzeccagarbugli a Lecco e il “Mariano Romiti” a Viterbo, una vergogna! In più attendo l’esito del premio Biblioteche di Roma, nel quale sono finalista. Scherzi a parte sono molto contento, naturale.
AT : “Venga pure la fine” è abbastanza diverso da “Undercover”, il romanzo precedente. Hai mai temuto di poter deludere le aspettative di chi ha amato il primo libro?
RR : È difficile scrivere avendo in mente un lettore-tipo, immaginare ciò che potrà piacere, per l’identica ragione un libro si può amare oppure odiare, è sempre un meccanismo del tutto personale a guidare ogni lettore.
AT : Mettiamo da parte “Undercover”, adesso.
Come e quando è nata l’idea per “Venga pure la fine”? E soprattutto, nelle tue intenzioni, come doveva essere questo libro?
RR : Anche stavolta l’idea viene dalla vita vissuta. Il genere è di nuovo il noir, c’è un mistero da risolvere, ci sono la “suspense” e i colpi di scena. I temi sono la guerra, i crimini commessi all’ombra di quella giustificazione, il confine fra il dovere giuridico di uccidere, che incombe sui soldati quando si combatte, e l’obbligo etico di non agire il male.
AT : Il conflitto in Bosnia è al centro del tuo romanzo. Ci parleresti delle tue esperienze sul campo? Com’è stato riviverle con la scrittura?
RR : Ho partecipato alla missione di stabilizzazione in Bosnia (in seguito sono stato anche in Kosovo), ero ufficiale di collegamento presso la Divisione britannica a Banja Luka, capitale della regione serba. Nello scrivere mi ha sorpreso scoprire quanti dettagli la mia memoria avesse trattenuto in forma latente. Tutto è riaffiorato, dalle emozioni provate nel toccare il dolore agli aneddoti più banali, l’insegna di un bar o lo scheletro di un palazzo sventrato.
AT : Il personaggio di Dragojevic è basato su qualche persona che hai realmente conosciuto? Hai avuto, come il tuo personaggio, uno scambio epistolare con qualche criminale di guerra?
RR : Dragojevic s’ispira a due criminali che ho conosciuto, un ufficiale coinvolto nei massacri e un civile che durante la guerra dirigeva un campo di concentramento. Preferirei fermarmi qui.
AT : Nei tuoi libri hai parlato più volte della Shoah: credi che un paragone con il conflitto nei Balcani sia possibile? Ci sono dei punti in comune?
RR : L’orrore si è ripetuto in forme simili, dai campi a cui ho appena accennato agli atti di genocidio e di pulizia etnica. Alla Shoah è difficile paragonare qualunque altro evento, ma certo, se la guerra in Bosnia non fosse stata fermata, non sappiamo quali sarebbero stati il bilancio finale e il culmine dell’abisso.
AT : In un’intervista ho letto che il titolo precedente di “Venga pure la fine” era “Nessuno è innocente”. Un giudizio drastico, ma – almeno per quanto riguarda la tua storia – veritiero. Credi che alcuni contesti estremi – come la guerra, appunto – rendano semplicemente più labili i confini tra giusto e sbagliato, tra bene e male? O che siano invece in grado di scombussolare completamente delle linee nette che, nella vita di tutti i giorni, è possibile tracciare?
RR : Le condizioni estreme, come la guerra, ci mettono di fronte a chi siamo veramente. I confini sono labili, certo, e ognuno di noi può fare cose che in altre situazioni non farebbe mai.
AT : Quale aspetto della scrittura ti risulta più semplice? E quale, invece, ti dà più filo da torcere?
RR : Non ho bestie nere particolari, è tutto semplice o difficile nella stessa misura. Magari ci sono giorni in cui sono più ispirato e altri nei quali avverto di più ciò che, a posteriori, sarà definito “fatica letteraria”.
AT : Come procedi nella scrittura? Hai un metodo preciso o vai avanti in modo più istintivo?
RR : Ho sempre un’idea piuttosto precisa di ciò che scriverò, prima di lavorare a un romanzo ne costruisco – nella mente e in un “file” – l’intera trama. Salvo adottare cambiamenti in corso d’opera, sempre possibili.
AT : Rocco Liguori tornerà? E se sì, puoi dirci qualcosa sulla nuova storia?
RR : Credo che il buon Rocco prossimamente dovrà mangiare qualche cannolo a Palermo – farà volentieri il sacrificio! – e magari salire su un grattacielo per meglio osservare Manhattan. La sera, dalla vetta dell’Empire, si gode una vista magnifica.
AT : Altri progetti per il futuro?
RR : Sopravvivere, il meglio possibile.
AT : In bocca al lupo per tutto! Alla prossima, ciao!
RR : Grazie e ciao, alla prossima.
Roberto Riccardi e Aniello Troiano