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Intervista a Roman Muradov: l’importanza dello stile e del processo creativo

Creato il 08 gennaio 2015 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Roman Muradov è un giovane illustratore e fumettista russo, che da qualche tempo vive a San Francisco e che in questi anni ha lavorato per le riviste statunitensi più prestigiose ( tra queste, New Yorker, New York Times e Vogue). Ha collaborato con la casa editrice Penguin e, a proposito di letteratura, è suo anche il doodle di Google, commemorativo del 186esimo compleanno di Lev Tolstoj.
Da qualche tempo cura una rivista autoprodotta,
The Yellow Zine, arrivata alla quinta uscita, che raccoglie esperimenti grafici e scherzi letterari, della quale Retina ha pubblicato in Italia una raccolta di racconti brevi.
Nel 2013 è uscita il suo primo graphic novel,
Picnic Ruined, e nel settembre 2014 è stato pubblicato da Nobrow (In A Sense) Lost & Found, il suo secondo romanzo a fumetti. Lavori dell'autore, nel nostro paese, sono stati ospitati anche in edizioni Teiera e Delebile.
Invitato a partecipare al BilBOlbul 2014,
Roman Muradov ha esposto molte sue tavole in una mostra ben curata, presso la pasticceria-libreria Zoo. Inoltre, per l'evento bolognese, l'autore ha proposto un workshop "per esplorare i confini del linguaggio fumetto " e ha collaborato con il gruppo Teiera alla realizzazione di un volume autoprodotto on-the-spot, Limbos.
In occasione dell'evento tenutosi il novembre scorso, abbiamo avuto la possibilità di fare qualche domanda all'eclettico, che si è dimostrato disponibile a un'intervista, realizzata in parte dal vivo e in parte via email.
Ci ha rivelato una personalità particolare, un grande senso dell'ironia, sogni inaspettati e una visione artistico-letteraria molto personale.

Intervista a Roman Muradov: l’importanza dello stile e del processo creativo
Sei diventato un illustratore di successo collaborando con The New Yorker, The New York Times, Wall Street Journal, Penguin, Random House, Vogue. Inoltre, hai di recente dato avvio a una prolifica produzione a fumetti: hai all'attivo due graphic novel e un bel po' di storie brevi, pubblicate in Italia con Delebile. Secondo te, quali sono le principali differenze tra illustrazione e comic art (narrativa a fumetti)?
In generale, l'illustrazione ha uno scopo, mentre il fumetto no (almeno a mio avviso non dovrebbe). Questa scissione è applicabile a tutta la mia produzione, quando sto lavorando con un cliente, so che i miei disegni non sono considerati per quello che sono, ma esistono principalmente nel contesto dell'articolo/libro/rivista, mentre per il mio lavoro personale il punto di partenza è proprio l'assenza di uno scopo.

Lo scorso novembre, il tuo workshop al BBB14 ha interessato il linguaggio del fumetto e il processo creativo che porta alla costruzione di una storia. Ci puoi dire qualcosa in più sulla tua idea di "processo creativo"? Il tuo da dove inizia? Ti è sempre chiaro dove/come la storia ti condurrà?
Di solito ne conosco l'inizio e la fine, oppure non ho né un inizio né una fine. Negare al lettore una conclusione soddisfacente permette di focalizzarsi sullo stile e sul processo, piuttosto che sulla narrazione, che per me conta davvero poco.
Di norma inizio scrivendo, passando per qualche bozza, a volte di più, anche riscrivendo una sola frase dozzine di volte. Con i disegni è lo stesso, a volte la prima cosa funziona e basta, a volte ci metto ore a trovare il giusto aspetto.

Per me, lo stile non è l'aspetto ma la teoria e il Quindi lo stile, l'aspetto e il processo contano di più della narrazione...allora si può forse dire che la ricerca estetica sia il soggetto del tuo lavoro?
No, credo che lo stile sia sostanza, "estetica" suggerisce un apprezzamento esclusivamente visuale. concept dietro l'aspetto, così come in moltissimi romanzi modernisti il linguaggio e lo stile sono più importanti della trama.

Quali sono le tue principali fonti di ispirazione (in particolare nel fumetto)? Realtà, fantasia, sogni?
Non lo so davvero, probabilmente ansie, letteratura e passeggiate. Non credo di avere controllo alcuno sul mio lavoro, perciò mi piace pensare al mio cervello e alle mie mani come meri strumenti di trascrizione, che ricevono trasmissioni intermittenti, come una radio rotta.

Parliamo dunque di letteratura. Ad ascoltarti, essa ti appassiona molto, spesso citi autori di tutto il mondo, perciò sembra quasi naturale che tu sia stato scelto come illustratore per Penguin. Cosa ne pensi? Da amante della letteratura, ti sei sentito orgoglioso, hai pensato che fossi in qualche modo adatto a un lavoro di questo tipo?
Se devo essere onesto, più che orgoglioso mi sono sentito soprattutto in colpa per la mia copertina di Gente di Dublino - non ho idea del perché dovesse esserci una copertina. Per me quel libro è perfetto nella sua forma originale. Contiene già tutto l'immaginario, perciò perché qualcuno dovrebbe volerlo illustrare? Di certo quando mi è stato assegnato il compito, non avrei mai potuto rifiutarmi (qualcun altro l'avrebbe fatto al mio posto), ma ho lottato contro la sensazione di fare un torto al mio autore preferito. E, per gli autori che non sono Joyce (per il quale nutro un'imbarazzata reverenza) è sempre un piacere avere un incarico di tipo letterario, Il processo è più simile alla critica visuale che all'illustrazione, un tentativo di riuscire a comprendere meglio il testo, e quando le persone mi dicono che hanno comprato e amato il libro dopo aver visto la mia copertina, questo mi scalda davvero tanto il cuore.

Intervista a Roman Muradov: l’importanza dello stile e del processo creativo
Le tue illustrazioni - in particolare quelle legate ai classici della narrativa - hanno uno stile davvero particolare, che si potrebbe definire "romantico". Pensi che ci sia una connessione tra il soggetto, il medium e lo stile della sua rappresentazione?
Non definirei il mio stile "romantico", in effetti io provo ad essere più freddo e distaccato possibile, attenendomi ai dettami di T. S. Eliot.
Penso che la vera arte sia possibile attraverso la soppressione deliberata della personalità, dal momento che non c'è modo di impedirle di trapelare rivelando qualcosa dell'autore del quale ella stessa non è a conoscenza.
Il mio lavoro è pesantemente influenzato dagli artisti del passato, come Saul Steinberg, ma non è frutto di alcuna nostalgia, piuttosto un tentativo di analizzare e reinterpretare una fonte che non esiste più.

Con il termine romantico forse ci riferiamo più a una certa aura di intimismo e introspezione, un invito a porsi delle domande e non un elenco di risposte. Questo è di certo molto difficile da descrivere a parole e questa abilità è prova della tua arte. Rimanere distaccato (come ci hai spiegato), per creare qualcosa in cui il lettore possa identificarsi e sentirsi coinvolto, funziona. Come definiresti il tuo lavoro?
Giusto, "intimo" e "introspettivo" possono funzionare. Un critico ha descritto una volta il mio lavoro come "bizzarramente di cuore". Sono una persona piuttosto sentimentale e se dovessi esprimere senza costrizioni, immagino che il lavoro risulterebbe stucchevole e insopportabile, per questo mi piace l'idea di sopprimere la mia personalità sotto strati di riferimenti, barriere, stile e giochi di parole, così che ci voglia un po' di lavoro di decifrazione per arrivare al cuore. Certamente questo processo crittografico è un bene, è lettura attiva, quando il lettore collabora con l'autore (creando, magari, nuovi significati) invece di sussumere passivamente informazioni.

Ti è piaciuto il workshop? Ci puoi dire qualcosa su questa esperienza?
É' stata un'esperienza fantastica! Ho apprezzato molto la qualità e l'inventiva del lavoro e sembra che tutti gli studenti abbiano imparato molto sia da me che gli uni dagli altri. Il porsi dei limiti e distanziarsi volontariamente dall'espressione di sé ha incoraggiato ciascuno ad avere idee davvero originali che alla fine non sembravano nemmeno lontanamente forzate o frutto di una limitazione. Il workshop ha confermato la mia idea sulla natura del processo creativo e ha dato modo agli studenti di esplorare aree alle quali di solito non si avvicinano.

Intervista a Roman Muradov: l’importanza dello stile e del processo creativo
Com'è andata la collaborazione col gruppo di Teiera? Qualcosa di spassoso da raccontarci?
A
bbiamo riso tantissimo, anche se il processo in sé è stato un po' frenetico e stressante, soprattutto a causa del mio tremendo jetlag. Non mi ricordo precisamente di cosa abbiamo riso, forse eravamo tutti un po' fuori di testa per le scadenze e i cori di Chiesa. Per quanto riguarda il lavoro, non credo che il risultato sia forte come quando creo in condizioni normali, ma il trascorrere del tempo con Giulia, Sarah e Cristina è stato così piacevole che ha dato un senso al tutto. Ho davvero bei ricordi legati alla settimana del BilBOlbul, grazie a queste persone così piacevoli.

All'inaugurazione della tua mostra presso (la pasticceria/libreria) Zoo, mi hai detto che non vuoi fare questo lavoro per sempre. Quello che davvero desideri è diventare un comico... Dicci qualcosa di più sui tuoi sogni e il tuo amore per parole e giochi di parole...
Beh, a essere completamente onesto non mi aspetto davvero di diventare a un certo punto un comico. Mi piace molto l'idea della performance e della risposta immediata, ma sono troppo dipendente dai miei sbalzi d'umore e se sono depresso, divento completamente inutile. Con i disegni posso solo aspettare qualche giorno, ma se dovessi salire su un palco ed essere divertente, non funzionerebbe... Ho fatto dei reading di poesia che erano molto simili a commedie in setting atipico, quindi forse ci proverò ancora. L'Inglese è la mia seconda lingua e sembra essere più adatto ai giochi di parole, rispetto al russo. Penso che i giochi di parole (e in particolare i "calembour") abbiano ingiustamente la cattiva reputazione d'essere la più bassa forma di umorismo. Allo stesso tempo, alcuni degli scrittori più intellettuali e originali hanno mostrato d'essere più che propensi ai calembour, Vladimir Nabokov e James Joyce per dirne due.

Intervista a Roman Muradov: l’importanza dello stile e del processo creativo
Le tue storie brevi sono state pubblicate in Italia da Delebile e Teiera, due dei principali gruppi editoriali indipendenti. Parallelamente, tu stesso stai producendo autonomamente The Yellow Zine. Dicci qualcosa di più sulla tua idea di auto-produzione e editoria indipendente nel mercato del fumetto.
Yellow Zine raccoglie i miei lavori più sperimentali, spesso non sono nemmeno fumetti, piuttosto esperimenti di stile, poemi visuali e storielle. Di solito è la mia materia preferita, dal momento che giocosità e umorismo in queste assumono una posizione centrale e non devo rispondere a nessun direttore o direttore artistico che potrebbe voler abbassare la carica provocatoria dei giochi di parole o adottare un immaginario meno astratto.
Non ho alcuna intenzione di fare di queste riviste una fonte di guadagno in ogni caso, per questo sono stampate in piccole quantità e distribuite direttamente alla gente a cui già piaccio abbastanza.

Ultima domanda: su cosa stai lavorando adesso?
Sto lavorando a un nuovo libro da un tempo ridicolmente lungo (2-3 anni) e non ne ho disegnato nemmeno una pagina, ci son solo scritti, una marea di bozze (ne ho perso il conto da tempo).
Sono attaccato all'idea duchampiana del ritardo, infatti, il fatto di dare alle idee moltissimo tempo per svilupparsi passivamente per me ha un suo senso.
Io vedo le mie passeggiate e i miei sogni come una parte essenziale del processo creativo, probabilmente molto più importante del disegnare e dello scrivere.

Intervista realizzata dal vivo e via mail tra ottobre e novembre 2014

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