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Intervista a Samuel Giorgi

Creato il 31 ottobre 2013 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Da Fralerighe Crime n. 9

Intervista a Samuel Giorgi
AT: Ciao Samuel. Per una volta farai la parte dell’intervistato e non quella del redattore. Allora, come ci si sente? Spero bene.

SG: Parafrasando un famoso film francese, diciamo: “Fin qui, tutto bene!”.

1) AT: Let’s go. Com’è nata l’idea per il Mangiateste?

SG: L’idea è nata dall’incontro tra una mia ossessione personale e un fatto di cronaca. Mi riferisco al tema del ’suicidio’. Alla fine della mia adolescenza l’idea che qualcuno di molto vicino a me potesse togliersi la vita, diventa improvvisamente un fatto reale: due miei amici si tolgono la vita in modo estremamente drammatico e violento. Da allora il ricordo dei loro ultimi istanti abita in me, tornando regolarmente a ricordarmi come la nostra esistenza sia regolata da un fragile equilibrio tra follia e normalità. Il fatto di cronaca, invece, è uno di quegli eventi che ti investono mentre stai attraversando distratto un incrocio, un impatto che non riesci a evitare perché sei paralizzato dalla paura, e i cui segni li porterai sulla tua pelle per il resto della vita. Per me lo è stato la triste vicenda di Bridgend County. Dal 2007 al 2009 in una cittadina nel sud del Galles sono avvenuti ben settantanove suicidi, in gran parte adolescenti dai tredici ai diciassette anni. Fino a oggi nessuno è riuscito a scoprire le ragioni di tale tragedia.

Intervista a Samuel Giorgi
2) AT: Perché hai scelto di ambientare la storia a Grazzeno, in Val d’Ossola? Perché il Piemonte e non la Lombardia, che è la tua regione?

SG: L’idea era appunto di ricostruire quella vicenda in Italia, cercando una località che si avvicinasse il più possibile alla Death Town inglese (come la stampa ha ribattezzato Bridgend County). Avevo ben in testa come dovesse essere il paese, e confrontandomi con amici ho scoperto che la collocazione ideale era proprio la Val d’Ossola. Lì ho trovato le atmosfere e le tradizioni adatte a tessere la mia trama di orrore e desolazione.

3) AT: Quali letture ti hanno influenzato maggiormente? E quali hai odiato? (Ammettilo: anche tu come tutti noi a volte detesti dei libri…)

SG: Ah, saperlo! È difficile dire quali fantasmi hanno la voce più alta nel dettarmi le visioni e gli incubi che decido di trasferire sulla carta. Il mio immaginario, grazie al cielo, sta evolvendo continuamente, ogni libro che leggo, ogni storia che ascolto e faccio mia, così come la vita di tutti i giorni, le biografie di coloro che incontro tutti i giorni, diventano materiale che volente o nolente tornerà in superficie in tutte le storie alle quali saprò dar vita. Faccio fatica a metterle in ordine di importanza. Per farti comunque felice, ti dirò che negli ultimi anni mi sono dedicato soprattutto ai grandi del thriller americano e ancora più recentemente sto scoprendo le voci del brivido nostrane. Per la seconda domanda, ammetto che anche io ho dei libri che ho amato meno, ma che tuttavia non mi hanno procurato particolare sofferenza: se non riesco a leggerli fino in fondo li mollo dove sono arrivato. Nessuno ci obbliga a leggere per intero un libro che non ci piace. Nelle grosse città è pieno di bancarelle di libri usati.

4) AT: Hai iniziato a scrivere da pochi anni. Cosa ne dicono amici e parenti?

SG: Grande sorpresa all’inizio, soprattutto per il genere di storie che scrivo che non trova riscontro nel tipo di persona che loro conoscono. Ma noi due, mio caro Aniello, sappiamo assai bene che il male e l’orrore adorano camuffarsi sotto l’ordinario e il quotidiano. La normalità (anche un volto solare e sorridente come il mio) spesso è il rifugio preferito per le ombre fitte e i demoni sanguinari.

5) AT: Il Mangiateste ha una certa componente horror. Ci racconti un aneddoto spaventoso legato a questo romanzo? O, se non ne hai, anche un aneddoto spaventoso e basta. Ma che sia vero.

SG: Potrà sembrare strano o costruito, ma da quando è uscito il romanzo stanno accadendo fatti e coincidenze talvolta inquietanti. Alcune estremamente drammatiche. Senza entrare troppo nei dettagli, sappi che qualche giorno dopo la pubblicazione, i miei due vicini di casa sono stati trovati morti nel loro appartamento: il marito ha ucciso la moglie strangolandola sul divano e poi si è impiccato alla trave del soffitto. Non sto scherzando. Amici e lettori, poi, mi riportano testimonianze di misteriose coincidenze tra episodi narrati nel mio romanzo e fatti reali. Per farti un esempio, una ragazza originaria delle valli ossolane mi ha rivelato che dalle sue parti c’è ancora l’usanza di ascoltare i racconti dei vecchi di montagna la sera con il camino acceso, alla luce di piccole candele. Si raccontavano storie di basilischi, contrabbandieri, piccoli nani e caproni, dove i caproni altri non sono che i defunti che decidono di prendere le anime dei vivi. Ecco, nel Mangiateste uno dei personaggi, prima di suicidarsi, è visitato proprio da due figure molto simili a un nano e un caprone. Credimi se ti dico che di queste storie ossolane, non avevo mai sentito parlare in vita mia.

6) AT: Il Mangiateste, però, è anche un romanzo piuttosto ironico. Ci racconti un aneddoto divertente legato a questo libro?

SG: L’unica cosa che mi viene in mente è legata proprio al titolo. Come sai ho due figli. Mi è sempre risultato difficile raccontargli le classiche fiabe della buonanotte. È stato così che per loro ho inventato le avventure dei Mangia- Mangia, una simpatica collezione di mostri dotati di voci e accenti molto differenti tra di loro, ma ugualmente inquietanti. C’è, tanto per fare qualche nome, oltre al Mangiateste, anche il Mangiapancia, il Mangiaorecchie, il Man- giapiedi e via di questo passo. I bambini si divertivano un mondo, un po’ meno la loro mamma, ma almeno non facevano troppi capricci per addormentarsi.

7) AT: E Luna Fontanasecca, da dove spunta?

SG: Bella domanda. Forse rappresenta il mio lato femminile, tutti ne abbiamo uno. Il mio un giorno è uscito così: strambo, con la testa sempre persa a leggere i pensieri della gente, ma poco incline a dare confidenza agli sconosciuti.

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8) AT: Quanto tempo ci hai messo per scrivere la prima stesura?

SG: Più o meno un anno.

9) AT: Quale aspetto della scrittura ti ha dato più filo da torcere?

SG: Sicuramente è stato complicato trovare uno stile narrativo personale, il lavoro per dar vita a una forma narrativa costruita dall’intreccio di registri molto differenti tra di loro. Ma anche, se non soprattutto, dare al mio testo una fluidità di lettura alla quale sono arrivato a costo di terribili limature e rinunce. Togliere, semplificare, riscrivere. Una, due, dieci, mille volte. Un lavoro estenuante e spesso noioso. Ma preziosissimo.

10) AT: Pubblicare un romanzo con una grande casa editrice ti ha cambiato la vita in qualche modo? O ti ha reso solo un “Vip”?

SG: La mia vita è stata cambiata non tanto dalla pubblicazione, quanto dalla scrittura stessa. Ha portato ritmi e manie che prima di allora non avrei mai sospet- tato potessero far parte del mio mondo. La pubblicazio- ne in sé non ha portato grosse novità, tranne quella di aver incontrato nuove persone, di sapere che ce ne sono molte che mi leggono e che poi desiderano comunicarmi tramite internet quello che hanno provato. Ogni volta è una gioia immensa.

11) AT: Hai mai pensato di scrivere un romanzo comico, una commedia?

SG: In verità, mai, neppure un istante. Non credo si possa decidere di cosa scrivere. Per me, almeno, non lo è stato. Quello che hai dentro, nel profondo, se decide di uscire all’aria aperta lo fa nella forma e nello stile narrativo che la magia e il mistero dell’ispirazione decidono per te. A quel punto, tu sei solo un mezzo. O almeno mi piace pensarla così.

12) AT: Ci parleresti di un qualcosa a piacere legato al tuo libro di cui non abbiamo ancora trattato?

SG: C’è una cosa di cui parlo poco, il modo in cui scrivo, nel senso dei luoghi e dei tempi che facilitano la mia scrittura. Non so se è una cosa particolare, condivisa da altri (a dirti la verità, conosco ben pochi scrittori), ma la prima stesura la riesco a realizzare solo in luoghi particolarmente affollati. I vagoni della metropolitana nelle ore di punta, i bar, i centri commerciali. Nel silenzio del mio studio faccio molta più fatica a sviluppare le idee, a lasciar fluire la storia, lì mi dedico ad altro, all’editing, alla trascrizione dei manoscritti, alle ricerche. Ah sì, dimenticavo, mi piace anche scrivere a penna e solo dopo a trasformare il tutto in pixel. Di solito cerco luoghi dove difficilmente rischio di incontrare persone conosciute. Se ne intravedo qualcuna, scendo e cambio vagone, o comunque mi allontano infastidito dal luogo in cui mi trovo. Se non ne ho la possibilità, faccio finta di non averli visti, senza alzare gli occhi dalle pagine e stringendo ancora più forte la penna nera tra le dita paonazze. Il ritmo lo prendo dalle voci di sottofondo della folla. Talvolta pesco addirittura parole e mezze frasi e le inserisco all’interno del testo, ma succede di rado, solo se mi blocco e ho bisogno di guardare in un’altra direzione per ‘svegliare’ la storia. Adoro farmi ispirare dalle associazioni casuali, setacciare dal flusso di pensieri e parole che mi circondano, che siano scritte pubblicitarie, titoli di giornali, slogan stampati sulle magliette dei ragazzi o graffiti colorati sulle pareti dei palazzi. Nulla, forse, avviene per caso, oppure è proprio il caso che regola il nulla al quale tentiamo ogni giorno di dare un significato.

13) AT: Progetti per il futuro?

SG: Come tutti quelli che si lasciano sedurre dal dolce tormento che è lo scrivere, il mio progetto è avere la possibilità di continuare a pubblicare le mie storie, e magari che un giorno questa diventi la mia unica, splendida, occupazione.

14) AT: I personaggi de “Il Mangiateste” torneranno?

SG: Per quanto riguarda la squadra di indagine legata a Bruno Widmann e Luna Fontanasecca, direi proprio di sì. Almeno per il fatto che sto lavorando alla loro terza storia. Se ti riferisci, invece, a tutti gli altri personaggi che si incontrano nel Mangiateste, a questo purtroppo, non posso ancora dare risposta. Dovrai attendere un po’.

15) AT: Ma Samuel Giorgi che pensa della situazione letteraria italiana?

SG: Tutto il bene possibile, in termini di autori, di ricchezza e varietà di voci e generi. Meno positiva forse è la situazione sul fronte dell’editoria, soprattutto nei confronti degli esordienti, per i quali la mancanza di risorse e la scarsa abitudine alla lettura dei nostri compaesani, spesso determinano carriere e fortune assai brevi. Anche quando, come nel mio caso, si ha la grazia di passare dalle grandi case.

AT: L’intervista è finita. Salutaci alla maniera del Mangiateste.

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SG: il Mangiateste non saluta mai le sue vittime: non avrebbe senso sprecare fiato per dei cadaveri! Un abbraccio a tutti!

Samuel Giorgi e Aniello Troiano 



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