Il fumetto. Com’è entrato a far parte della tua vita?
Ricordo che la prima idea di cosa fosse un fumetto l’ho avuta quando avevo cinque o sei anni. Ero al letto malato, avevo la febbre, e mia madre per tenermi tranquillo era tornata a casa con un numero di Topolino contenente una storia di Carl Barks. Ovviamente non conoscevo l’autore ma ero rimasto estasiato da questi racconti che si capivano anche senza bisogno di leggere, ed io allora non sapevo ancora farlo. Da quel momento il fumetto mi è entrato nelle vene! Appena guarito andai a cercare il numero successivo, e poi un altro, e un altro ancora… praticamente entrai in un mondo che fino a quel momento mi era del tutto sconosciuto. La cosa che è immediatamente seguita a questo evento è stata quella di copiare quello che vedevo sulle pagine dei giornalini, per cui con matita e carta mi divertivo non a rifare le stesse cose ma a cercare di inventare qualcosa di mio, cosa assurda perché non sapendo né leggere né scrivere facevo delle cose strampalate! Il mio approccio al fumetto è stato questo, emozionale e intuitivo, è stato un impatto tanto forte che ho stampata nella memoria la vignetta con Qui, Quo e Qua nel frigorifero nella storia di Barks. La prima immagine di un fumetto che io ricordi. Ho cominciato bene, con Barks!
Quali sono stati i tuoi studi, la tua formazione?
Iniziai a frequentare la Scuola d’Arte ma dopo due anni capii che in fondo non m’interessava. C’era un conoscente di una mia parente che aveva uno studio grafico, faceva pubblicità, mi invitò ad andare da lui con la prospettiva di iniziare quella professione qualora fossi portato e avessi delle idee. Era il 1958 o 59, andai e fu una bella esperienza, mi piaceva. È lì che imparai anche a fare costruzioni di lettere e titoli, che allora si facevano rigorosamente a mano anche se, come nelle vecchie tipografie, si utilizzavano anche i caratteri mobili alla Gutenberg! Si lavorava per lo più a piccola pubblicità cittadina, ma capitavano anche cose più importanti. La cosa insomma non mi dispiaceva, ma io sul disegno tecnico ho sempre avuto un po’ di idiosincrasia, le cose troppo precise non fanno per me… inoltre, titoli a parte, nonostante avessimo a disposizione i caratteri tipografici anche gli altri testi andavano scritti a mano con il tecnigrafo e il tiralinee… un casino della madonna! Mi piaceva quando c’era da fare qualcosa di libero, che fosse riprendere qualche monumento della città o disegnare una torta per il pasticcere all’angolo. Anche fare titoli e testate mi piaceva perché era una cosa più libera e creativa, quando invece c’era da fare altri testi diventavo matto, macchiavo dappertutto! Comunque andai avanti tranquillamente pensando che quella fosse la mia strada.
Il fumetto intanto continuava ad essere una presenza costante nella tua vita? Quando e come è diventato la tua professione?
Si, nel frattempo continuavo a seguire i fumetti, vidi le prime pubblicazioni di Bianconi con i lavori di Carpi e li trovai bellissimi, così iniziai a pensare a come potermi inserire in quel settore. Credo che la fortuna abbia un peso piuttosto grande in questo mestiere, e lo aveva ancor di più in quegli anni in cui, pur essendoci molti disegnatori professionisti, era difficile trovarne di disponibili a farti vedere “come si faceva”. Invece io, per caso appunto, sono venuto a sapere che Pierluigi Sangalli aveva da poco iniziato questa attività. Non lo conoscevo di persona ma, su invito di alcuni conoscenti comuni, mi presentai a casa sua. Ci presentammo e lui, che da pochi mesi stava lavorando per Bianconi, mi raccontò la sua storia, la sua amicizia con Motta conosciuto all’oratorio, dove disegnavano e Sangalli era invidioso perché Alberico era più bravo di lui! Parlando mi disse che non amava molto fare il ripasso a china e allora mi chiese: “Ti andrebbe di provare a vedere se riesci a interpretare il mio disegno? È abbastanza chiaro, prova!”. Come si suol dire da cosa nasce cosa, ho provato e dopo due o tre tavole avevo già un segno che poteva essere passabile per Bianconi. Era fedele, mi aiutavo un po’ col pennino per gli occhi e i dettagli più piccoli. Sangalli aggiunse: “Ovviamente non posso decidere se va bene o no, devo mostrare le tavole all’editore”. Così si presentò in redazione dicendo che per lui sarebbe stato più comodo avere un aiuto sul ripasso e Bianconi, che era un opportunista colse la palla al balzo chiedendogli: “Va bene, ma se lei si fa inchiostrare ha del tempo libero per farmi altre cose!”. La nostra collaborazione è stata così utile per entrambi, Sangalli da subito s’è messo a produrre di più mentre io mi sono introdotto nell’ambiente, lasciando il lavoro allo studio grafico. Quando ho conosciuto Bianconi, sapendo che avevo fatto anche titoli e testate, mi disse: “Ma allora perché non fai mezza giornata e mezza giornata? La mattina vieni qui in redazione e curi le testate e tutti i titoli delle storie, il pomeriggio a casa fai il ripasso delle tavole”. Fino a quel momento i titoli li componevano ritagliando delle lettere da grandi fogli prestampati e incollandole sulle tavole! Così cominciai a frequentare la redazione e a conoscere bene tutti quelli che ci lavoravano, Sbattella, Gazzarri, la Lia Guccione, che era la moglie di Bianconi, la signora Pina che era quella che consegnava i giornaletti a noi autori, e tutti gli altri. La cosa è andata avanti per sei o sette mesi, poi cominciò a pesarmi perché magari restavo un po’ indietro con il ripasso e allora proposi a Bianconi:
Sandro Dossi con un cartonato di Geppo
“Facciamo una cosa, io sto a casa, ci sentiamo per telefono, le misure dei titoli tanto sono più o meno sempre quelle, lei me li fa dettare e quando sono pronti glieli porto”. Da lì ho iniziato a lavorare a casa facendo l’uno e l’altro, il ripasso per Sangalli e i titoli e le testate, che mi venivano pagati a parte.
Per quanto tempo è andato avanti questo tipo di impegno?
Dopo un po’ di tempo cominciai a sentire l’esigenza anche di disegnare e ne parlai a Sangalli. Così lui coinvolse una sua cugina che, pur non sapendo disegnare, con un po’ di allenamento imparò decentemente la tecnica del ripasso. Così il lavoro che facevo io passò a lei, che lo portò avanti per parecchi anni fino a quando gli subentrò un’altra cugina di Pierluigi, la bravissima Agnese Fedeli, che in seguito avrebbe lavorato anche con Alberico Motta ripassando le sue storie per la Disney e Fix & Foxi per la Germania. Di conseguenza io mi son messo a disegnare Felix, del quale nel frattempo Bianconi aveva preso i diritti, e successivamente passai anche a Braccio di Ferro, Geppo e tanti altri.
E arriviamo quindi a Geppo, che dopo essere stato pubblicato in appendice a Volpetto e poi a Soldino, con storie di Giovan Battista Carpi, Luciano Gatto e poi Sangalli, nel 1961 debuttò con una sua testata autonoma. Tu all’epoca lavoravi proprio alle tavole del buon diavolo…
Si, ho iniziato proprio inchiostrando Geppo! Tutti i primi numeri sono ripassati da me comprese le copertine, tranne alcune che le ripassava Sangalli a penna. Con lui spesso pensavamo assieme anche ai soggetti. Quando andavo a consegnargli le tavole mi diceva: “Dai, stai qui mezza giornata e magari insieme viene fuori qualcosa di divertente, buttiamo giù quattro o cinque canovacci per delle storie future”. Così passavamo il pomeriggio a ridere e scherzare e qualche idea veniva fuori, lui prendeva nota e poi le sviluppava in seguito sceneggiandole.
Quando hai iniziato a disegnarlo?
Ad un certo punto venne fuori il problema di Braccio di Ferro, i cui diritti furono offerti a Bianconi assieme a quelli di Felix. Giuseppe Vita Editore lo aveva pubblicato in un’edizione che era stata un mezzo fiasco, mentre Bianconi, che aveva la mania di Topolino, voleva riproporlo nel formato libretto. Ci chiese un parere ma Sangalli era impegnato su Geppo e non sapevamo chi avrebbe potuto realizzarlo. Nicola Del Principe stilisticamente non era adatto, per cui Bianconi lo affidò inizialmente a Mario Sbattella, che ha fatto le prime due o tre storie per vedere se il personaggio veniva fuori e come lo si poteva interpretare. In seguito Motta si offrì per le sceneggiature, mentre Sangalli propose di spostarsi su Braccio di Ferro passando a me Geppo. Quindi ci siamo scambiati i ruoli! Qualche tempo più tardi io stesso cominciai a lavorare a Braccio di Ferro, Motta smise di disegnare e si mise a scrivere sceneggiature per tutti. Lui produceva 600 o 700 tavole al mese di sceneggiature e noi disegnatori facevamo oltre 100 tavole disegnate al mese, Sangalli anche qualcosa di più! In questo modo perciò sono subentrato a Sangalli su Geppo, e l’ho portato avanti per molti anni. Lui ha comunque proseguito a disegnarne tutte le copertine fino all’ultimo, perché voleva comunque restare legato al personaggio.
Ovviamente avendo lavorato già sulle sue tavole il tuo stile di riferimento fu quello di Sangalli, ma guardando più indietro gli altri autori che avevano realizzato Geppo hanno in qualche modo influenzato la tua versione?
No, io mi sono basato soprattutto sul lavoro di Sangalli, le versioni degli altri erano un po’ datate…
Infatti una cosa molto evidente è che tra le primissime versioni del personaggio e quella di Sangalli, e poi la tua, c’è un notevole salto stilistico del segno in senso “moderno”. Dal dinamismo delle figure alla morbidezza del tratto…
Questa ad esempio è la stessa cosa che ci disse Hy Eisman riguardo al nostro Braccio di Ferro. Lui mostrava ai suoi allievi i nostri albi per evidenziare la scioltezza dei personaggi, il dinamismo dei movimenti all’interno della vignetta che nei fumetti americani non veniva fuori bene a causa del formato a striscia. Lo stesso vale per Geppo. È un po’ nello stile bianconiano quello di far “saltare” i personaggi, e tutto questo ci deriva forse inconsciamente dall’aver visto e rivisto le tavole di Del Principe. In ogni vignetta i suoi personaggi non sono mai fermi! Pronti ad assorbire ogni cosa che ci potesse interessare, parte della nostra crescita è dovuta probabilmente all’aver visto i suoi lavori.
L’altra grande novità che tu e Sangalli avete portato nelle storie di Geppo è l’ampliamento del parco dei personaggi di contorno, che permettono di sviluppare tematiche nuove, gag e situazioni comiche…
Infatti, è un arricchimento dei personaggi a disposizione, altrimenti avevamo solo i dannati e pochi altri elementi.
Queste novità nascevano da vostre esigenze o su indicazione dell’editore?
No assolutamente, dall’editore no! Fiammetta è nata per caso quando ci siamo detti “Ma perché non ci mettiamo una che si innamora di Geppo?”. Ma non doveva essere una dannata…
E infatti tra i dannati le donne sono apparse molto di rado…
Erano poche perché avevamo paura di scatenare qualche problema! C’era venuta qualche idea con delle donne, ma si andavano a toccare magari dei tasti un po’ equivoci per cui facevamo finta di niente… è un po’ per questo che abbiamo introdotto Fiammetta, che se vogliamo è un po’ la Puffetta della situazione! Per avere una giustificazione l’abbiamo fatta diventare la figlia di Satana, un po’ più che adolescente. Così era intoccabile, anche per i critici. Era la figlia di Satana e quindi… Poi per contrastare il loro amore abbiamo inserito Belzebù, ma pian piano è sparito ed è rimasta Fiammetta. Altri personaggi come il gatto Caligola, il serpente Salvatore o il cane Cerbero, quando venivano fatti da Sangalli erano piuttosto stilizzati, io invece li avevo rielaborati a modo mio. Per Cerbero m’ispirai a Sansone (il Marmaduke di Brad Anderson), gli misi semplicemente tre teste! Caligola lo resi più morbido, più disneyano rispetto a quello di Pierluigi, stessa cosa per Salvatore che lui faceva più filiforme e io più grassoccio. Inoltre quando curavo anche le sceneggiature inserii gli angeli del Paradiso e l’Arcangelo Gabriele, sempre alla ricerca di spunti nuovi. C’era bisogno ogni tanto di qualche novità, di qualche elemento in più.
E l’idea di inserire Dante Alighieri?
Nasce da subito! Nel primo numero di Geppo, che abbiamo pensato insieme io e Sangalli, abbiamo fatto saltar fuori anche lui che si affacciava su Firenze, ma si trattava di un’apparizione occasionale ed è finita lì. È capitato un’altra volta con Sangalli, un’altra comparsata, e poi io l’ho ripreso nell’episodio Un viaggio insolito, da cui nacque poi l’idea di Inferno 2000.
Veniamo dunque a Inferno 2000…
L’idea iniziale era molto più complessa perché io mi ero messo in testa, nella mia megalomania, di fare tutto l’Inferno girone per girone, di seguire fedelmente la Divina Commedia facendone una vera e propria rivisitazione! Ma sarebbe venuta fuori una cosa che non finiva più e quindi Bianconi mi ha detto: “No, no! Metti insieme qualche storia, intramezzala con qualcos’altro perché sennò rischi di farla diventare pedante, noiosa…”. Io sognavo addirittura di farla in più volumi, magari uno l’anno, lui invece non ha voluto. È stato un peccato… Quanto a spunti e idee i gironi si prestavano, erano una miniera d’oro! Quando avevo steso il primo canovaccio che comprendeva appunto tutti i gironi, pensavo che ne sarebbe uscito un bel librone, veniva bene! Purtroppo non s’è potuto…
Sarebbe stato un bel libro per ragazzi da vendersi nelle librerie!
Secondo me doveva essere solo quella storia, senza l’inserimento di altri episodi come poi è stato nell’albo uscito nel 1984. I due episodi di Geppo alle prese con il piccolo Berlicche e il diavolo Beotone spezzavano si il ritmo, e magari per chi non era interessato alla lettura ironica della Divina Commedia potevano essere un diversivo, ma per avere un risultato più organico doveva essere diverso. Sarebbe stato bello, ma ormai è tardi!
I due episodi con Berlicche erano stati realizzati in precedenza e usati come riempitivo, oppure sono nati con il preciso intento di essere inseriti tra i canti di Inferno 2000?
No, nacquero col preciso intento di alleggerire la narrazione dello speciale. Il personaggio di Berlicche, che viene adottato da Satana, lo avevo creato io poco tempo prima. Lo spunto avvenne così, un po’ casualmente, come succedeva spesso allora, per essere poi infilato di brutto tra le storie… anche i giochini che c’erano nell’albo del 1984! Bianconi mi disse: “Mettici anche dei giochini!” e io: “Mah, forse è meglio fare una storiella che sia inerente, o dare delle notiziole su Dante magari sempre in chiave ironica…”, e ancora lui: “No, no!”. Insomma, erano storie fatte come riempitivo leggero, un diversivo senza alcun riferimento alla storia principale. Ma forse pensandoci bene Bianconi si sentì un po’ forzato a fare questa pubblicazione, perché non è che ci credesse molto… quando gliela proposi non disse subito di sì, ci pensò un po’ su. Poi anche Motta gliene parlò sostenendo la mia idea, sottolineando come potesse essere un’idea interessante, comunque legata al mondo di Geppo. Poi a furia di dirglielo s’è convinto e ne fece un numero speciale.
Si, un albo speciale come formato e foliazione anche se inserito nella numerazione della serie regolare. Hai citato anche Un viaggio insolito, storia precedente a Inferno 2000 che ne racchiude in 16 pagine lo stesso spunto…
Si, è da lì che iniziai a pensare ad una cosa più lunga, o addirittura lunghissima, che è poi stata ridimensionata da Bianconi…
A dispetto della serie regolare di Geppo, all’interno di Inferno 2000 sono pressoché assenti i comprimari classici. Fu una scelta o il tipo di storia, la sua struttura, ti hanno portato a limitare le presenze a Satana e Dante?
Diciamo che è stato un po’ casuale, le cose che servivano erano quelle… si sarebbe potuto inserire anche altri elementi, però siccome si avevano poche pagine, un filo narrativo da seguire e una conclusione che dovevi avere canto per canto, si andava via più lisci possibile per non avere troppe interruzioni. Che magari potevano diventare comiche o ampliare il discorso, ma non c’erano il tempo e gli spazi per farlo.
Come tutti gli altri fumetti da voi realizzati in quegli anni, anche queste storie negli anni seguenti sono finite nel giro del “riciclo”, del riutilizzo pressoché infinito tipico di Bianconi. Mi è capitato di trovare i frammenti di Inferno 2000 riproposti, rimontati, anche con sostanziali modifiche nel testo!
Si, era così all’epoca. Bianconi basava parte della sua produzione sul riciclo continuo. Era un continuo, tagliare, rimontare, riciclare, che era pure un bell’impegno! C’erano testate come Geppo Story che rimontavano i fumetti in tavole da 8 vignette, una bella fatica che noi autori consideravamo inutile, ma lui evidentemente no perché se li faceva aveva di certo le sue ragioni.
Hai continuato a realizzare storie di Geppo fino alla fine, fin quando la casa editrice, oramai orfana di Renato Bianconi, tentò di rilanciarlo nel 1996. La tua professione nel frattempo ti aveva portato anche lontano dalla realtà bianconiana, andando a raccogliere soddisfazioni anche in casa Disney, ma a Geppo sei rimasto in qualche modo sempre legato. Non è un caso che sei l’autore più prolifico della serie! Guardandoti indietro cosa ha rappresentato per te questo personaggio?
Geppo è stato importante per la mia carriera! Pur avendo avuto gratificazioni con altri personaggi farà sempre parte della mia vita! Ho trascorso gli anni della giovinezza e della maturità con “quel diavoletto” al mio fianco! Quando lo riprendo per qualche nostalgico che mi chiede dei disegni mi sembra di non aver mai smesso di disegnarlo…… e mi prende la nostalgia! Intervista tratta da Geppo Inferno 2000. Ringraziamo l’autore per averci messo a disposizione alcune delle fotografie contenute in quest’articolo.