(intervista originariamente pubblicata sul blog L’angolo del nero)
Inauguro questa nuova sezione del mio blog relativa alle interviste lasciando spazio ad una scrittrice che esordirà a maggio nel panorama letterario italiano con la sua prima raccolta di dodici racconti noir dal titolo “Nella carne”. Lei si chiama Sara Bilotti, classe 1971, napoletana e mi è stata segnalata come uno dei migliori talenti noir emergenti.
“Nella Carne”: come è nato questo titolo?
E’ il titolo di uno dei racconti, ed è stato scelto da Massimo Rainer. Massimo, che ho avuto l’onore di avere come editor, conosce la genesi del libro e sente i miei scritti in modo particolare: il titolo rispecchia la sensazione quasi fisica che ha avuto leggendoli, come se ogni racconto l’avesse segnato “nella carne”.
Napoli è la tua città; passionale, che vive di emozioni sulla sua stessa pelle. Quanta Napoli c’è “Nella Carne”?
Napoli è dentro me come un marchio a fuoco, con i suoi pregi e i suoi difetti. Ma nei racconti c’è tantissimo della piccola realtà in cui vivo da trent’anni: un paese di periferia che ha segnato profondamente la mia adolescenza e parte dell’età matura. E’ un microcosmo in cui si vive cercando affannosamente di soddisfare le aspettative altrui, nascondendo dietro una facciata abilmente costruita una pressoché totale assenza di valori.
In che misura il noir è il mezzo per poter descrivere la realtà che ci circonda?
Non ho la pretesa di definire il noir, è un genere complesso che attualmente, secondo me, sfugge a classificazioni. Però sento che solo attraverso il tentativo di descrizione del Lato Oscuro che è in ognuno di noi si possa trovare una chiave per raccontare la realtà, scovare il nocciolo profondo dell’anima, attorno al quale costruiamo l’immagine del sé, la maschera da indossare per presentarci al mondo.
Quali autori e quali personalità ti hanno ispirato nella stesura dei racconti?
Il mio punto di riferimento è sicuramente il cosiddetto Brat Pack Letterario, formato principalmente da Bret Easton Ellis, Tama Janowitz e Jay McInerney, che negli anni Ottanta cambiarono per sempre il modo di concepire la letteratura. Questi autori descrivevano situazioni efferatissime usando un linguaggio pulito, minimalista, senza ricorrere a effetti speciali. Il risultato era veramente devastante per il lettore, e lo è ancora oggi.
La tua raccolta traccia profili di contesti famigliari in cui il male riversa tutta la sua ferocia. Esiste un rifugio da questo orrore?
La famiglia dovrebbe essere il nido in cui riposare quando il mondo ci crolla addosso, ma non è sempre così. E quando nella famiglia non trovi riparo ma orrore, soprattutto durante l’infanzia, sei condannato a non trovare mai più il tuo nido, in nessun contesto, per il resto della vita. L’infanzia negata, purtroppo, è una condanna.
Prima di dedicarti alla carriera di scrittrice, hai svolto anche i lavori di ghostwriter e traduttrice. Quanto queste esperienze hanno influito nella tua formazione e quanto è effettivamente rimasto nei tuoi racconti?
Della mia esperienza di ghostwriter è rimasto ben poco: solo una vaga nausea al solo sentir parlare di Vampiri romantici. La traduzione invece mi ha dato tantissimo: l’impegno profuso nel costante tentativo di adattare stili e pensieri appartenenti a culture lontane mi ha aiutata a sviluppare una profonda empatia, una visione “dall’alto” delle diverse culture, che mi ha permesso di notare una sorprendente quantità di punti in comune. Credo che solo dalla comprensione e dall’unione di ciò che è diverso possa nascere il Bello.
Sei diplomata in danza classica. Quanto è importante il ritmo in una storia e come definiresti il ritmo delle tue?
Il ritmo è fondamentale, ed è innato. Certo, si può sempre migliorare, ma fondamentalmente lo ritengo un talento: o ce l’hai o non ce l’hai. Spero che le mie storie abbiano la loro musica interiore, ma non ne posso essere certa: purtroppo, o per fortuna (ancora non lo so!), la mia scrittura è molto istintiva, è una sorta di bisogno
primordiale, e analizzarla con la ragione mi risulta impossibile.
Un libro alla cui conclusione ti è capitato di esclamare “Vorrei averlo scritto io”.
Dio di Illusioni, di Donna Tartt, un libro che ho letto e saccheggiato per anni. Una storia di relazioni morbose e malate, il romanzo che mi ha insegnato che la Bellezza non è mai consolatoria, e che i progetti e le utopie condivise possono acquistare una forza che può cambiare la realtà, spesso in modo irreversibile.
Domanda finale ma imprescindibile nella sua banalità: perché hai deciso di addentrarti nel Lato Oscuro della scrittura? C’è un’immagine che fino a questo momento ha fissato la tua esperienza con la penna?
Da ragazzina divoravo i romanzi di Stephen King, avvertendo sulla pelle l’inquietudine e il disagio che erano capaci di infondere. King utilizza una tecnica, se vogliamo chiamarla così, molto particolare. Descrive una situazione assolutamente normale, per qualche rigo. Poi ci butta dentro, a volte addirittura tra parentesi, un particolare anomalo, una sorta di distorsione della realtà, per poi continuare, come se niente fosse, a descrivere gesti e situazioni quotidiane. Ricordo di aver pensato: Ecco, è questo il modo per descrivere il mondo interiore, quello vero, quello dietro la maschera della quotidianità. Il Lato Oscuro nella scrittura non va descritto, va evocato con immagini precise, disturbanti, che allargano e distorcono le maglie fitte della realtà, quando meno te lo aspetti.Per Fralerighe Crime n. 4, L’angolo del nero ha posto a Sara Bilotti altre domande, che seguono:
Addentrandoci nello specifico della raccolta, ci puoi raccontare in breve la genesi di queste storie?
Ho sempre grosse difficoltà a parlare della genesi dei miei scritti. Solitamente accade questo: osservo una situazione apparentemente ”normale”, o ascolto un dialogo tra due persone, e noto un particolare anomalo, un gesto compulsivo, per esempio, o una parola ripetuta troppe volte. Da quel particolare nasce una storia. In questi racconti la normalità, come spesso accade nella vita, è solo una facciata, dietro la quale si nascondono nevrosi e segreti inconfessabili. Solo due racconti hanno una genesi precisa: Farfalla, che riflette la realtà meschina di un piccolo paese di provincia, i cui abitanti sarebbero disposti a uccidere pur di mantenere la loro maschera di persone rispettabili. E Senza Voce, che nasce dalla mia esperienza con i bambini vittime di abusi, dalla difficoltà di rapportarsi a loro. Questi bambini hanno subìto, spesso per tutta la vita, una realtà diametralmente opposta alla nostra: per loro, che non sono abituati alle cure amorevoli, è la tenerezza a diventare violenza.
Le tue storie colpiscono perché sanno essere dure ma corroborate di una leggerezza senza eguali. In Farfalla, racconto che apre il tuo libro, ci descrivi in modo nitido un dramma che ci circonda ma che le persone sottovalutano o peggio fanno finta di non vedere. Hai avuto una qualche testimonianza diretta per descriverlo in maniera cosi nitida ed efficace? (se sono stato troppo indiscreto questa la togliamo)
In tutti i miei scritti è racchiusa la mia esperienza, seppure descritta in modo romanzato. E il dramma descritto in Farfalla riflette una delle tante problematiche che facciamo finta di non vedere, per vigliaccheria e quieto vivere. A me piacerebbe molto riuscire a chiudere gli occhi, ma purtroppo non è nella mia natura. Per fortuna, ho la possibilità di scrivere (ma in generale dedicarsi all’arte) aiuta a liberarsi dal peso del proprio dolore, e anche da quello che gli altri ti scaricano addosso.
Il tradimento che si tramuta in colpa, il rancore che degenera in rabbia selvaggia sono tutti aspetti del Male che descrivi. Passo numero quattro e Niente da perdere presentano due personaggi che cadono vittime di tutto ciò forse vittime dell’Amore. Il Bene, quello con la B maiuscola, è un’effimera illusione o esiste?
Esiste, ma è costantemente accompagnato dal suo opposto, come la luce e l’ombra. Se non accettiamo questa realtà saremo sempre tormentati dall’impossibilità di assomigliare all’immagine ideale che abbiamo di noi stessi. Un ideale irrealizzabile, la maggior parte delle volte.
“ …tra un ossicino ed un nervo si rifugia l’anima“ . Questa citazione tratta da Nella carne, racconto che dà il titolo alla raccolta è stupenda e sintetizza il cuore del racconto. Un personaggio travagliato, incompleto, alla continua ricerca dell’amore. Due battute per descriverla e se, in parte, ti rivedi in lei.
Rivedo in lei alcuni aspetti miseramente umani della mia esistenza, ma anche di quella di tutti noi. Capita di volere a tutti i costi che una persona ci appartenga, al punto da annientarla. Naturalmente questo è l’unico modo veramente sbagliato di amare, ma a volte sfogare le proprie insicurezze e frustrazioni su chi amiamo è un meccanismo inconscio, incontrollabile. Trovare l’equilibrio e star bene con se stessi senza far del male a nessuno è spesso un’utopia.
Athina è libera, il racconto che chiude la raccolta, scritto a quattro mani con Massimo Rainer, ti ha permesso di confrontarti con una tipologia di scrittura diversa dalla tua ma che, a mio modo di vedere, è complementare a te. Aggressiva, diretta e tosta quella di Massimo, leggera e precisa come uno stiletto la tua. E’ stato difficile coniugare le vostre due voci in un unica direzione?
E’ stato molto semplice, in realtà. Io tendo ad assimilare gli stili degli autori che leggo, e nella mia scrittura c’è tanto di ognuno di loro. Ho scritto Athina è libera in pieno “stile Rainer” per ringraziare Massimo del suo immenso lavoro di editing sui miei racconti, poiché la scrittura rappresenta la mia parte più “vera”, ed è il dono più grande che io siacapace di fare. Successivamente, Massimo ha messo mano al testo in più punti e ha ideato il vero colpo di scena del racconto.
“Chi subisce il Male deve condividerlo, da solo non riesce a sopportarne il peso. Anche a costo di scaricarlo sui propri figli”(cit. L’uomo nero). Siamo tutti carnefici e vittime quindi?
Sono convinta di sì. Chi dice di non aver mai fatto del male a nessuno, di aver sempre svolto con razionalità il suo bravo compitino di marito/moglie, genitore, amico, mi spaventa. La natura umana, come dicevo prima, comprende il Bene e il Male, e per controllare il nostro Lato Oscuro è necessario averne consapevolezza, accettarlo, per poi arginarlo.
Sara Bilotti e Giorgio Picarone