AT: Ciao Stefano, benvenuto su Fralerighe.
SP: Ciao.
1) AT: Partiamo dal principio. Era un giorno come tanti, ma all’improvviso al nostro eroe venne l’idea per scrivere un romanzo. Come gli venne, questa idea?
SP: Era un’idea che gli frullava per la testa fin da ragazzino. I primi esperimenti, racconti scritti quando avevo tredici o quattordici anni, furono disastrosi. L’idea, però, non m’è mai passata. Ho fatto il giornalista per una decina di anni scrivendo di cronaca, e soprattutto di cronaca nera. E’ stata un’ottima palestra, ho imparato molte cose sulla criminalità organizzata e su certi ambienti borderline. Poi ho deciso che dovevo mettermi in gioco, ci ho provato. Ho detto “se mi va male, ho comunque una vita intera per leggere i romanzi degli altri”. Mi è andata bene. E ho comunque una vita intera per leggere romanzi.
2) AT: Sei laureato in lingue e letterature straniere e lavori come giornalista presso il Corriere del Mezzogiorno: che peso ha avuto la tua formazione nella stesura di questo romanzo?
SP: Non lavoro come giornalista al Corriere del Mezzogiorno. Ho lavorato lì fino al 2012. Scrivere di cronaca nera mi ha permesso di visitare le case confiscate ai boss, di conoscere le loro facce, le loro storie, le loro bizzarrie. Ho allestito un vero e proprio museo delle cere, poi l’ho riversato nel mio primo romanzo.
3) AT: Nel nome dello Zio è soprattutto un romanzo divertente. Raccontaci un aneddoto simpatico legato a questo libro.
SP: Beh, provate ad andare su YouTube e a cercare “ragazzo frizzantino”.
4) AT: Se dovessi riscrivere questo romanzo, cambieresti qualcosa? E perché?
SP: Cambierei molte cose, ma non perché non mi piaccia il libro che ho scritto. Sono orgoglioso di ciò che ho scritto. Solo che il tempo ti cambia. Se fai lo scrittore, ti cambia ancora più rapidamente. Il giorno dopo sei una persona diversa, e il tuo modo di scrivere è diverso. Per te, almeno. Magari chi ti legge vede sempre la stessa persona. E’ una cosa totalmente soggettiva, riguarda la percezione soggettiva di se stessi, i libri che hai letto, quelli che ti hanno più colpito, le cose che ti sono accadute.
5) AT: Lo Zio. Ce lo descriveresti fisicamente?
SP: E’ un uomo sotto i cinquanta, capelli scuri, di una certa presenza. Io so com’è lo Zio, ma lo descrivo in modo che il lettore possa disegnarlo a sua volta. Mi piace che ci sia una certa interazione (cooperazione?) fra chi scrive e chi legge. Il tentativo di esplorarsi a vicenda.
6) AT: Anthony è sia un delinquentello che un ingenuo. Una combinazione che a qualcuno potrebbe sembrare incoerente. Quanto c’è di verosimile in Anthony e quanto di fittizio?
SP: Sinceramente, di gente come Anthony ne ho conosciuta parecchia, e il suo tipo mi sembra tutt’altro che incoerente. Anzi. I giovanotti di quel tipo lì, spesso sono di un’idiozia e di un’ingenuità allarmanti. Non è un personaggio reale, ma allo stesso tempo in lui non c’è nulla di fittizio. Basta farsi un giro nei Quartieri Spagnoli di Napoli.
7) AT: L’atteggiamento camorristico che trovi più grottesco.
SP: Quello di chi ammazza la gente e poi va in chiesa la domenica. Quelli che si fanno disegnare la Madonna sull’impugnatura della pistola.
8) AT: L’atteggiamento delle forze dell’ordine che trovi più grottesco.
SP: I poliziotti corrotti (così come i carabinieri, i finanzieri e i vigili urbani), per pochi che siano, sono uno dei più grossi esempi di mediocrità nella nostra democrazia.
9) AT: L’atteggiamento di Stefano Piedimonte che trovi più grottesco.
SP: Sono capace di grande bontà, ma anche di grande cattiveria.
10) AT: Ci riscriveresti uno stralcio del tuo romanzo in stile Roberto Saviano?
SP: Roberto è Roberto. Non saprei imitarlo. I suoi libri mi hanno dato tanto. Quando è Roberto a scrivere, tutto diventa mani, piedi, ossa, sangue, terra. E’ capace di dare una fisicità, un corpo e un odore a certi concetti che in mano ad altri sono impalpabili, se non insignificanti.
11) AT: Libri di denuncia. Libri per protestare. Libri per cambiare le cose. Perché i libri non possono essere semplici libri?
SP: Assolutamente sì. I romanzi, per come la vedo io, devono essere romanzi e basta. La pedagogia è un’altra cosa. L’etica è un’altra cosa. La morale è un’altra cosa.
12) AT: Ci parleresti di un qualcosa a piacere legato al tuo libro di cui non abbiamo ancora trattato?
SP: L’editing del testo è stato veramente minimo. E’ uscito praticamente così come l’avevo scritto. Eppure ci sono stati dei consigli, delle dritte, da parte della editor di agenzia, Serena Di Battista, e di quella di Guanda, Laura Bosio, senza le quali il romanzo non avrebbe avuto la stessa fortuna. Sono due persone in gamba, e non è un caso che siano entrambe donne.
13) AT: Mo basta con lo Zio. Parliamo del libro nuovo. Che ci dici al riguardo?
SP: Si intitola “Voglio solo ammazzarti”. Comincia da dove finisce il primo, ma non mi piace vederlo come un sequel. E’ una storia a se stante, chiusa e completa, perfettamente comprensibile an- che per chi non ha letto “Nel nome dello Zio”.14) AT: I personaggi de “Nel nome dello Zio” torneranno?
SP: Sì. Ci sarà lo Zio, sua moglie Gessica, e un altro paio di vecchie conoscenze.
15) AT: Ma Stefano Piedimonte che pensa della situazione letteraria italiana?
SP: Permettimi di parlare bene, una volta tanto, della mia città.
Napoli sta dando tantissimo alla letteratura italiana. E’ una città che sforna un talento dopo l’altro. Gli scrittori napoletani pubblicano tutti con editori del massimo prestigio, sono geniali, forti, carnali, innovativi. Sono arrabbiati. E’ come se il sangue gli ribollisse nelle vene. Qualcuno parla di una “scuola campana”. Non so se esista una scuola campana o no. Sta di fatto che Napoli, e in generale la Campania, dal punto di vista letterario è una miniera di diamanti.
AT: L’intervista è finita. Salutaci in stile frizzantino.
SP: Un abbraccio circolare a tutta la fascia d’ascolto. Zio vi benedica.
Stefano Piedimonte e Aniello Troiano