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Intervista a Vincent Spasaro

Creato il 31 dicembre 2013 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

tbh bbrhrIn occasione dell’uscita del romanzo Il demone sterminatore per le trevigiane edizioni Anordest, conversiamo di questa produzione con Vincent Spasaro, autore polidimensionato, nonché figura emergente nel panorama fantastico nazionale.

- Vincent, benvenuto sulle pagine di Fralerighe Fantastico! Per parlare del tuo “Demone sterminatore” come prima domanda mi piacerebbe che ci illustrassi la trama del libro.
Il romanzo narra di una caccia, di un inseguimento in cui la preda si dimostra per certi versi l’incarnazione delle paure più profonde dei cacciatori. È fondamentalmente un romanzo d’avventura intesa nel senso più ampio. Non riconoscerete le geografie né le storie narrate come geografie e storie reali, ma di viaggio di scoperta si tratta. Provate a immaginare che qualcuno distrugga ciò in cui avete sempre creduto, tutto quel che vi ha aiutato a vivere, le fondamenta stessa della civiltà. Cosa fareste? Ecco, questi cacciatori, veri e propri segugi armati di qualcosa che va oltre le lame e la forza, sono chiamati a inseguire l’autore di quel crimine, braccarlo, trovarlo e riportarne indietro la testa. Buona fortuna.
Per complicare le cose, i segugi si trovano a vagare in un luogo di frontiera, insidioso e opprimente, sconosciuto alle mappe, e non hanno notizia della presenza di altri inseguitori, per cui la ricerca diventa un gioco di bugie e tradimenti, sospetti e paure.

- Essendo in parte una commistione di generi, in quale categoria collocheresti il romanzo, science-fiction, science-fantasy o altro ancora?
La tua domanda È particolarmente interessante. Si tratta di un romanzo fantasy? Sicuro, in quanto tutto è inventato di sana pianta. Ma non solo. È science fiction? Se considerate ancora fantascienza la SF planetaria, è anche quello. è un horror? Certamente, e va dallo splatter agli orrori cosmici. La verità è che nel mondo anglosassone la commistione di generi è una realtà da tempo, mentre qui da noi, se non riesci a collocare la tua vena creativa in uno scaffale polveroso con una bella dicitura che t’identifichi, non esisti.

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- Com’è nato “Il demone”? Sei partito da un’immagine che ti ha suggerito una storia, oppure l’hai costruito come se fosse un meccanismo, per successivo assemblaggio di episodi?
L’immagine mi ha suggerito l’ambientazione principale, e si è trattato di un sogno. L’idea di base era però creare un romanzo di ampio respiro, con più storie e intrecci, colpi di scena e accelerazioni, per cui l’assemblaggio era necessario. Ma non parlerei di episodi bensì di fili che si annodano a creare una solida fune. Le trame sono collegate e diventano una cosa sola. La sfida era questa: tante storie, una sola trama, e tutto calcolato al millesimo come in un giallo.

- Dal momento che hai scelto un’ambientazione apparentabile al fantasy, in che modo ti sei voluto porre rispetto gli schemi classici del genere? Convivenza? Rottura iconoclasta? Par condicio tra i due atteggiamenti?
Guarda, il fantasy ha una tradizione più vasta rispetto agli stanchi epigoni di Tolkien o agli amanti dei manga. Fantasy era Howard, ad esempio, fantasy erano tanti racconti di Smith e molto Lovecraft. Nel romanzo c’è sicuramente qualcosa di quel weird. Il cosiddetto dark fantasy ha una sua storia solida. Chiamalo fantasy per adulti, se preferisci, ma non si tratta certo di un genere nato con l’ultimo Martin. Pensa anche a Moorcock, Vance, Le Guin, Holdstock e tanti altri. M’interessava creare delle solide basi religiose, sociali, anche biologiche dove far giostrare personaggi, conflitti e drammi. Metterci dentro molta epicità, tragedia, atmosfere oniriche e tanto sangue. In definitiva spero di aver creato qualcosa di originale.

- Cosa puoi dirci dei tuoi personaggi? C’è qualcuno di essi in cui ti identificheresti o in cui si potrebbe identificare maggiormente il lettore?
Probabilmente il lettore s’identificherà principalmente in Onnau, il centauro, poiché incarna una versione abbastanza solida dell’eroe, sebbene non rientri pienamente nei cliché del genere, non essendo armato di spada né di forza sovrumana. Ma il mio intento è quello di rompere gli schemi consolidati, cercare di levare i punti di riferimento, fare in modo che l’identificazione passi da un personaggio all’altro a seconda della situazione, e che il lettore possa saltare qua e là e vivere per un po’ le vite di tutti i personaggi principali col loro corredo di ricordi, personalità e ambienti.

- Domanda 4 bis: c’è una scena in particolare che ritieni rappresenti il cuore del romanzo?
Per forza di cose, in una narrazione così vasta, non riesco a identificare una scena madre che riassuma le altre e le riempia di significato. Ce ne sono varie cui mi sentirei di attribuire questo ruolo, ma ho notato nei lettori opinioni piuttosto differenti: per alcuni una scena era epocale mentre per altri era piena di significato quella successiva. Credo che dipenda anche dalla diversa conduzione stilistica delle sottotrame, per cui alcuni si trovano meglio con una narrazione lirica, altri con una epica e altri ancora con un incedere opprimente e gravido di promesse maligne.

 - In ogni tuo libro adotti un registro narrativo differente, così come cambia il tipo di linguaggio che usi. Si tratta di un processo spontaneo? È una necessità obbligata dall’atmosfera del romanzo che stai creando?
È vero. Mi piace variare molto. Posso dirti che si tratta sia di una scelta obbligata che di un processo spontaneo. Se penso a un certo tipo di atmosfere, mi trovo a ragionare con i termini e lo stile che ritengo adatti. Non credo insomma di far troppa fatica a calarmi nel tipo di ritmo che voglio dare alla storia. Apprezzo tra l’altro molto chi ha questa capacità di variare prospettiva. Un esempio che posso farti è la mia amica Lorenza Ghinelli che si evolve di romanzo in romanzo nelle direzioni che ritiene più utili andando dall’horror al mainstream.

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- La stesura del tuo precedente romanzo uscito per Mondadori, “Assedio”, È vicina nel tempo a quella al “Demone”, pur trattando temi e atmosfere profondamente lontani. A tuo modo di vedere c’è un salto stilistico significativo nella scrittura delle due produzioni? Passando dalla bozza definitiva alla pubblicazione, hai apportato molte modifiche?
No. Assedio e Il demone sono stati scritti a distanza di due anni circa. Lo stile È variato solo in relazione alla narrazione: storie differenti, stili differenti. In entrambi i romanzi non ho apportato modifiche di peso nella trama tra la stesura originaria e la pubblicazione. Nel caso del demone ho eliminato alcune sottotrame che, pur interessanti, disperdevano un po’ l’attenzione del lettore.
- Concludiamo questa conversazione. Non abbiamo dimenticato che hai un grosso bagaglio di esperienza come editor presso la collana de Il Foglio – “Fantastico e altri orrori”, ora in veste di autore ti sei confrontato con l’operato di altri redattori. È stato un rapporto complicato? Hai trovato differenze interessanti nel modo di editare un libro con le varie case editrici con cui hai pubblicato?
L’esperienza con Il Foglio, magnifica, è stata festosa e amatoriale. Gordiano Lupi, l’editore, è una persona rara, uno che qualsiasi casa editrice con la testa sulle spalle dovrebbe assicurarsi come talent scout. Non sto qui a indicare tutta la gente che ha scoperto ma, solo a scorrerne il curriculum, rimani a bocca aperta.
Con i ragazzi di Anordest non ho trovato grosse differenze, a parte il fatto che Il Foglio è orgogliosamente underground e Anordest È invece una casa editrice di peso cui piace sperimentare e accetta le sfide. Il fulcro del lavoro mi è parso simile: scremare sempre più affinché un romanzo perda gli orpelli e possa essere apprezzato da un lettore qualsiasi, al di là delle differenze di distribuzione.

 

 Fabio Lastrucci

 



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