di Maria Di Piazza
Alessandro Gallo (Napoli, 1986) è scrittore, attore e regista. Ha ricevuto dei riconoscimenti per il suo lavoro e lavora anche nelle scuole di Bologna, occupandosi di legalità. Temperamente ha recensito il suo nuovo libro, Scimmie.
Salve, Alessandro. Ho letto con interesse il suo romanzo e sono rimasta colpita dalla storia, dalla capacità di descrivere con immediatezza i personaggi, dallo stile vivace ed espressivo. Vorrei porle delle domande che, sono sicura, interesseranno anche i lettori di Temperamente. La prima, e forse la più scontata, è: da dove nasce questo libro? Quali necessità espressive l’hanno spinta a scriverlo?
Scimmie nacque dall’esigenza di dover raccontare ad un gruppo di studenti del nord l’egemonia della camorra a partire dagli anni più violenti: gli anni 80. Non ho avuto particolari necessità, dico sempre che il romanzo è nato da solo, giorno dopo giorno ne scrivevo un capitolo a partire da ciò che raccontavo durante le mie incursioni nelle classi superiori.
Il testo tocca la tematica, molto attuale, della criminalità organizzata in Italia, e in Campania nello specifico. Pensa che un libro come il suo possa essere utile per diffondere la conoscenza su un argomento di cui si parla molto, ma spesso non a ragion veduta? Qual è la sua opinione sul valore didattico e di insegnamento per i giovani di un romanzo come il suo?
Da nord a sud non possiamo credere di combattere la camorra e tutte le altre mafie solo con gli arresti o le confische dei beni. Ci vuole informazione sui fenomeni ma soprattutto formazione alla legalità, senza un buon progetto culturale le mafie non si sentiranno mai contrastate e per fare questo bisogna partire dal basso, dalla radici: educare i giovani per sottrarli ai giochi violenti, perversi e squallidi delle mafie e credo che Scimmie possa contribuire, nel tempo, a tutto questo.
Sappiamo che ogni autore mette molto di sé nei propri libri. Quanto c’è di autobiografico in questo romanzo? Quanto è evidente il suo portato personale nella figura del protagonista? Quante tracce ci sono, nei diversi personaggi, di persone che conosce nella sua vita reale?
Non smetterò mai di dire che in Scimmie, se pur ambientato in un periodo storico molto distante dalla mia adolescenza (io sono nato nel 1986 e ho vissuto gli anni 90), sono stato mille volte Panzarotto, mille volte Bacchettone, mille volte Pummarò ma oggi mi sento mille volte Giancarlo.
Il suo stile è personale e intenso. È complicato armonizzare la forma e il contenuto? I protagonisti sono tre adolescenti. È stato difficile rendere la freschezza e la spontaneità espressiva di tre ragazzini?
A tutte queste domande delego sempre la “colpa” al teatro: io non mi sento uno scrittore ma un buon narratore che dopo aver ascoltato il mondo non fa altro che, per questioni di praticità, scrivere. Scrivo ciò che vedo, ciò che sento e spesso mi capita di scrivere di getto, di pancia, e ciò credo che si traduca in una scrittura fresca e spontanea proprio come il registro teatrale che amo usare quando recito.
Nel testo è frequente l’inserimento di espressioni in dialetto napoletano. Non ha pensato che potesse essere un rischio?
Sì, ma ho pensato che era più rischioso non far sentire la visceralità della lingua napoletana mischiata con un linguaggio ricco di slang. Sarebbe stato per me e per i miei personaggi una forzatura che non avrei sopportato.
La storia che ha raccontato è ambientata nella Napoli degli anni Ottanta. Come si è documentato sull’argomento?
Quando nasci in un quartiere di periferia ad alta densità mafiosa è inevitabile non crescere ascoltando storie e leggende legate a personaggi della camorra come è inevitabile che tu non cresca provandone perfino aspirazione. È inevitabile che il sorriso della tua adolescenza venga spezzato dal dolore che la camorra provoca, dentro o fuori le mura domestiche. Si diventa vittime, inconsapevoli, ma nello stesso tempo si è consapevolmente carnefici.
Il personaggio di Giancarlo è liberamente ispirato alla figura di Giancarlo Siani. Per quale motivo? Pensa che i giovani conoscano a sufficienza la figura del giornalista Siani, ucciso dalla camorra nel 1985?
Giancarlo fin dalla mia adolescenza è sempre stato una figura presente, un simbolo costantemente vivo al quale non potevo non dedicare il mio lavoro. Mi piace sempre ricordare a tutti i miei lettori che da piccolo mi avvicinai al mondo della scrittura e del teatro grazie ad una punizione perché ero un bullo irrequieto e scostumato. Il primo spettacolo che scrivemmo e mettemmo in scena vinse il premio Giancarlo Siani. Grazie a quel premio mi legai a quel mondo che oggi sembra, se pur con ancora un pizzico di incredulità, sia il mio lavoro.
Sappiamo che il suo romanzo ha vinto un concorso letterario nazionale, Giri di Parole, promosso da Navarra Editore. Cosa ne pensa dei concorsi letterari? Qual è la sua esperienza? Si sentirebbe di consigliarli ai giovani che vogliono approcciarsi alla scrittura?
Credimi se ti dico che la mia è stata “buona la prima”, non avevo mai spedito nulla a nessun concorso letterario. In passato, anche con esiti buoni, ho sempre inviato i miei testi teatrali ma mai un racconto o romanzo. Sono stato convinto da un’amica scrittrice e giornalista, Marina Indulgenza, già autrice di Navarra, a tentare di partecipare al concorso. La ringrazio ancora oggi. Quindi non posso che dire a tutti i giovani come me di non smettere mai di parteciparvi. Scrivere, impacchettare e spedire il proprio lavoro.
Passando ad altri argomenti, quali sono gli autori che predilige, e quali quelli che pensa abbiano influenzato in maniera maggiore il suo modo di scrivere?
Dal teatro ho preso il cinismo e l’ironia della scrittura di un autore contemporaneo, Mario Gelardi (autore e regista di Gomorra a teatro) diventato oggi amico e collaboratore. Per la letteratura: Irvine Welsh, “Trainspotting”. Diego De Silva, “Certi Bambini”. Silvia Ballestra, “Il disastro degli Antò”. Antonio Pennacchi, “Il fasciocomunista”, Nicolai Lilin, “Educazione siberiana”. Già che ci sono ti dico pure i miei due autori/registi di cinema preferiti: Matteo Garrone e Paolo Sorrentino.
Infine, ci faccia una confidenza: sta preparando un nuovo romanzo? Quando uscirà? Ci puoi accennare qualcosa della storia? La tematica dell’impegno alla legalità sarà ancora presente?
In verità sto preparando lo spettacolo tratto dal romanzo che debutterà durante il festival del libro di Palermo “Una Marina di libri”. Sì lo so, speravi che ti dicessi un titolo in anteprima, che ti raccontassi una storia ma, come ho già detto prima, non è colpa mia se non riesco a scrivere romanzi, è “colpa” del teatro.
Alessandro, la ringrazio davvero per averci tenuto compagnia nel salotto virtuale di Temperamente, e per aver avuto la pazienza di rispondere alle mie domande. C’è qualcosa che vuole dire a me e ai suoi lettori e che io non ho chiesto? Grazie ancora, e ancora complimenti!
Faccio io una domanda a te e ai lettori.
Da grandi voi cosa pensate di fare? Io poter tornare adolescente…
Per maggiori informazioni, potete consultare la scheda del libro.