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Intervista agli ELDRITCH

Creato il 13 marzo 2014 da Cicciorusso

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Ho ancora ben presente la primissima sensazione che ebbi quando ascoltai Seeds of Rage. Era praticamente appena uscito e il mio negoziante (uno che non potresti definire metallaro ma che era dotato di un sesto senso incredibile nei confronti dei buoni dischi) mi disse di smetterla di perder tempo appresso ai gruppi ‘stranieri’ che era uscita una band italiana che avrei apprezzato di sicuro. La ricordo bene quella sensazione, ruotava intorno a due concetti molto semplici. Uno: qui dentro ci sono un sacco di idee nuove, spontaneità e stile. Due: se questo è l’album d’esordio sono proprio curioso di vedere cosa si inventeranno per fare di meglio. Ebbene, dopo quasi una ventina di anni, sono qui a testimoniare che le idee ci sono ancora, che la spontaneità incredibilmente è la stessa (ma forte della maturità inevitabilmente acquisita) e che lo stile non è mai stato tradito. Poi, come avrete capito, dopo l’esordio gli Eldritch sono stati capaci di fare anche di meglio. Per voi che ci seguite non devo aggiungere altro, quindi vi lascio alle parole di Eugene Simone, fondatore e membro storico, insieme a Terence Holler, di una realtà della quale andar fieri.

Sono circa tre anni che la formazione degli Eldritch è stabile, circa tre anni che non cambiate label e circa tre anni che non ne sbagliate una. Eugene, facciamo gli scongiuri, sembra che abbiate trovato la ricetta giusta. Cos’è che sta funzionando così bene? Mi spiego, a quale elemento potresti attribuire il merito dalla particolarmente buona riuscita di questi ultimi due dischi?

La stabilità della line-up ha contribuito senza alcun dubbio alla riuscita degli ultimi due lavori, in particolar modo di Tasting the Tears. Gli ultimi membri entrati sono ottimi musicisti e fan della band, sanno qual è il loro ruolo e sapevo quale contributo avrebbero potuto dare. Col tempo mi auguro che l’amalgama aumenti ma è come se suonassimo insieme da molti più anni. Io credo però che l’elemento fondamentale sia la passione che mettiamo in quello che facciamo. Io e Terence non abbiamo mai mollato e abbiamo avuto sempre la fortuna di trovare persone che, come noi, amano questa musica credendo in questo progetto.

In Gaia’s Legacy, disco molto tecnico e a mio parere tra i migliori che abbiate mai prodotto, ho avvertito un senso di grandissima cura per i dettagli, mentre ascoltando Tasting the Tears la sensazione è davvero quella di spontaneità e immediatezza. Parafrasando: se si può dire una cosa in due parole, perché usarne tre?

Sì, è la verità. Gaia’s Legacy voleva essere un disco volutamente tecnico e dettagliato. L’intenzione era proprio quella di “estremizzare” il nostro lato più tecnico soprattutto a livello ritmico, senza però farlo risultare fine a se stesso. Quando curi troppo l’aspetto strumentale, rischi di danneggiare il pezzo. Noi credo siamo riusciti a non farlo. TTT invece è esattamente l’opposto. Il nostro marchio è sempre quello ma abbiamo preferito dare più spazio proprio alla spontaneità e all’immediatezza senza preoccuparci se potesse risultare più o meno tecnico. In soli due mesi e mezzo abbiamo composto e registrato l’album. Mi riallaccio al discorso sulla nuova line-up evidenziando l’apporto di Rudj, l’altro chitarrista, in fase compositiva e l’affidabilità di tutta la band che in così poco tempo si è fatta trovare pronta, dimostrando grande professionalità.

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Veniamo alla vexata quaestio delle tastiere. In seguito all’uscita di Sean Henderson, ai tempi della registrazione di Neighbourhell (o forse già da prima?), avevate addirittura ripreso contatti con Oleg il quale, per via dei suoi impegni in più progetti, dovette rifiutare. Decideste però di continuare a fare senza. Col senno di poi, pensi sia stata una scelta azzeccata?

Non c’è niente di quello che abbiamo fatto di cui siamo pentiti. Parlo a livello artistico. Abbiamo sempre fatto quello che ci è venuto istintivo e quando sei te stesso fai sempre la cosa giusta. Se poi parliamo di scelte commerciali, beh… Ormai penso chi ci segue da tempo lo sappia:  non ci è mai importato molto di cosa sia più trendy. E’ per questo che la vena compositiva non ci abbandona mai, perché facciamo da sempre quello che ci piace. In passato ci fu consigliato di aggiungere parti classiche, doppia cassa, acuti… Mai fatto niente del genere, più di quanto dettato dalla nostra volontà. Si, è vero, per certi versi ti penalizza un po’, per altri ti gratifica. E poi parliamoci chiaro, non credo ci sarebbe cambiata la vita seguendo certi consigli. Conosco molte band che hanno fatto queste scelte e se ne sono pentite amaramente.

Il vostro sound da Portrait a Blackenday era pur sempre riconoscibilissimo ma molti fan della prima ora (tra cui il sottoscritto) avvertivano palesemente che qualcosa mancava. Sono ormai due dischi che le cose sono cambiate. Scelta obbligata, maggiore libertà decisionale o cosa?

Avevamo deciso di intraprendere un percorso senza tastiere perché eravamo convinti di poter dire la nostra anche senza. Arrangiando maggiormente il lavoro delle chitarre abbiamo dato un aspetto nuovo al nostro sound pur rimanendo fedeli al nostro stile. Poi, però, dopo tre album senza keys, abbiamo sentito la necessità di reinserirle per la volontà di tornare in parte alle origini, nonostante in quegli anni avessimo partecipato a molti festival importanti raccogliendo molti consensi. Io credo che, se non fossero esistiti i primi tre album, nessuno avrebbe sentito la mancanza delle tastiere. Avendo iniziato però con le tastiere, capisco che l’orecchio degli ascoltatori possa avere la sensazione che qualcosa manchi. Beh, adesso non è più così, hehe.

Siete tornati anche al tema grafico della rete, che fu una costante da Seeds a El Niño, e sembra che TTT voglia soffermarsi su un certo sound melodico e malinconico tipico proprio di quell’epoca. Personalmente non posso che apprezzare, ma non temete che tutto ciò possa essere interpretata come la solita azione strategica volta a recuperare chi magari si era sentito un po’ deluso dalla precedente virata artistica, se tale può essere definita?

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No assolutamente, non credo che i fan possano ragionare in questi termini. Anzi, penso faccia solo piacere. In effetti il ritorno allo stile dei primi dischi ci ha fatto pensare al riutilizzo della griglia. Ma non lo abbiamo fatto certo per accaparrarci consensi dai vecchi fans, così tanto per non sapere dove sbattere la testa. E’ stata una cosa che a noi personalmente faceva piacere. Anche perché il ritorno alle origini è parziale, nel senso che quello che facciamo adesso ha una maturità ben diversa.

Perdona se insisto, ma quando ho ascoltato Seeds of love la mente è andata indietro nel tempo fino a Seeds of Rage e ho voluto leggerci qualcosa, come un richiamo. Forse mi sbaglio ed è solo un caso che abbiate scelto un titolo del genere?

La verità è che Terence quando ha scritto il testo e quindi anche il titolo, non si è ispirato al nostro primo album. I testi hanno un’unica linea tematica che è l’amore in tutte le sue sfaccettature quindi era quello l’argomento a cui si è ispirato. Il caso poi ha voluto che ricordasse proprio Seeds Of Rage. Infatti ci siamo detti “di sicuro qualcuno penserà che lo abbiamo fatto di proposito” ma in realtà non è così.

Leggo che spesso nelle interviste non volete essere associati al progressive metal o quantomeno incasellati in quel genere. Certo, il vostro sound è a dir poco unico e la vostra cifra stilistica assolutamente riconoscibile (e aggiungo che nel Livequake veramente si capisce quanto amiate il thrash) ma il prog, soprattutto nei primi dischi, lo abbiamo sentito eccome.

Crediamo semplicemente che definirci prog metal sia un po’ riduttivo. Non perché pensiamo di essere qualcosa di superiore ma perché abbracciamo tantissime altre influenze. Molte band definite prog metal negli anni hanno avuto la tendenza a somigliarsi un po’ tutte. E ascoltandole abbiamo sempre notato, e non solo noi, quanto il nostro approccio sia diverso. Questo ci rende orgogliosi ma molta gente purtroppo rimane un po’ spiazzata dal fatto di non riuscire a catalogarci.

Quand’è che ci registrate daccapo Seeds of Rage? Non pensi che quel disco meriti una seconda vita?

Guarda, ci sono anche altri album che vorremmo remixare o registrare nuovamente. Però non penso sia una buona idea… Sarebbe curioso, certo, ma credo che quello che è stato sia la testimonianza di ciò che eravamo all’epoca, con i nostri pregi e i nostri difetti. Adesso sicuramente avrebbe ben altro sound ma perderebbe quasi del tutto il suo aspetto caratteristico.

Ok, passiamo alla domanda alla quale tengo di più: quando vi vedremo suonare a Roma?

Credo che al momento sia una delle tappe più probabili… Ti terremo aggiornato.



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