William Bavone, collaboratore di Eurasia, ha intervistato Bruno Amoroso (nato l’11 Dicembre 1936) docente emerito di Economia Internazionale e dello Sviluppo presso l’università Roskilde in Danimarca
Negli ultimi anni la Francia ha visto naufragare il suo ambizioso progetto di Unione del Mediterraneo. Forse, concentrandosi sull’intento di eguagliare la Germania quale riferimento per un’aggregazione di Stati (Unione Europea), la Francia non è stata accorta nella lettura dell’evoluzione politica dell’Area Sud-Mediterranea così portando al naufragio l’interazione socio-economica dell’intera area. Cosa ne pensa lei dell’involuzione di questo progetto?
Il progetto aveva una valenza potenziale positiva, che poteva essere la sua forza. La valenza positiva era dovuta al fallimento del processo di Barcellona nato azzoppato per la chiara regia europea incapace di vedere al di là dell`accordo di libero scambio e chiaramente improntata a uno sciocco eurocentrismo sul piano culturale. Il progetto poteva riempire questo vuoto colmandolo laddove aveva mostrato i suoi maggiori limiti: ponendo al centro della partecipazione europea i Paesi dell`Europa mediterranea (Francia e Europa del sud), sia per le maggiori affinità culturali sia per un interesse obiettivo a creare una zona mediterranea di co-sviluppo e di pace. Dopo il siluramento della proposta da parte tedesca, non interessata a un rafforzamento economico e politico dei Paesi dell`Europa mediterranea, la Francia è tornata a una gestione coloniale dei rapporti mediterranei rialleandosi con le vecchie potenze europee. Penso che dopo il massacro del popolo libico e dei suoi governanti sia difficile pensare a una cooperazione euro-mediterranea per molti anni a venire. Il fallimento dei partiti “democratici e liberali” ai quali l´Occidente aveva affidato il successo della sua “primavera araba” inaugurate da Obama ne dà conferma e questo è un dato destinato ad inasprirsi almeno fin quando l`Europa non sarà scossa da una vera primavera dei popoli europei.
Il progetto francese poteva benissimo collegarsi alla Sua teoria dei CERCHI DELLA SOLIDARIETA’. Lo vede come la dimostrazione che la teoria è difficile da applicare alla realtà o come un punto di partenza per lo sviluppo della stessa teoria?
La proposta della creazione degli “anelli della solidarietà” tra i popoli mediterranei, trasformata poi da Romano Prodi in quella dei “cerchi degli amici” dell`Occidente nella elaborazione successive della Commissione per le “politiche di vicinato”, tenta di dare contenuti e metodo agli obiettivi del co-sviluppo delle politiche europee mediterranee mettendo al centro il criterio di partner uguali e di pari dignità, e il ruolo delle comunità e società mediterranee riconosciute nella diversità dei loro sistemi produttivi e delle istituzioni che le politiche dei governi dovrebbero seguire e sostenere. Si tratta cioè di mettere in moto un meccanismo di sostegno alle scelte prese liberamente da ciascun Paese ponendo al centro il dialogo interculturale e interreligioso su basi di rigorosa non ingerenza. Gli “anelli della solidarietà” hanno alla base lo stabilirsi di rapporti tra le persone, le comunità e gli attori della società civile espressi dai vari contesti politici, economici e culturali. Questa era la base prevista dal processo di Barcellona ma poi modificata a proprio uso dai Paesi europei che hanno ritenuto di avere il monopolio dei concetti e delle definizioni da applicare arrogandosi il diritto di legittimare gli attori della società civile in altri Paesi. La proposta francese dell`Unione per il Mediterraneo sembrava contenere alcuni di questi elementi rimettendo al centro del processo i Paesi e le società mediterranee, sia europee sia del nord Africa. All`interno dell`Unione Europea la proposta poteva riequilibrare i rapporti con l`area tedesca bilanciandone l`egemonia e la prepotenza con un`area mediterranea di pari dignità insieme a quella scandinava. Ma il carattere leaderistico della proposta, concepita esclusivamente come un`alleanza tra governi per bloccare e non favorire le forti richieste dei popoli mediterranei per la difesa e il rafforzamento dei propri sistemi produttivi e culturali si è ben presto rivelata il vero obiettivo dell`operazione. Probabilmente è stato il tentativo della Francia, a conoscenza del blocco di potere che gli Stati Uniti stavano costituendo con i Paesi del Golfo (Quatar e co.) per riprendere con strategie di destabilizzazione il controllo della regione, di rientrare nel gioco, come ha poi dimostrato con la frettolosa e insensata guerra alla Libia.
Le rivolte arabe non sembrano arrestarsi al caso libico: la Siria è in forte agitazione, l’Iran vede crescere su di se l’ombra della mano armata occidentale, l’Iraq e l’Afghanistan vanno attentamente osservati una volta che le truppe della coalizione occidentale torneranno a casa. Secondo lei siamo realmente ad un cambiamento mediorientale o si tratta di una rivoluzione “gattopardiana” – tutto cambia affinché nulla cambi?
Le rivolte arabe, intrecciatesi con le rivolte islamiche, e intensificatesi dagli inizi del Duemila sia nella forma passiva dei processi migratori verso l`Europa sia nella forma attiva della organizzazione dal basso delle proprie comunità, sono destinate a rafforzarsi e a continuare. Il tentativo di deviarle con l`orchestrazione della “primavera araba” di Obama e con le aggressioni militari della Nato e dell`Europa rivolte a rimuovere quei leader e quegli Stati (Libia, Siria, Iran, ecc.) che maggiormente fanno da ostacolo ai progetti Europei e Israeliani di colonizzazione delle risorse rimette in luce il vero volto dell`Europa che dai tempi della rivolta araba contro l`impero ottomano tenta di impossessarsi e mantenere il controllo delle ricchezze della regione soffiando sulle braci delle divisioni interne nel mondo arabo. L`accelerazione delle ripresa del controllo sui Paesi arabi, che fa seguito a quanto già fatto in Iugoslavia e in Iraq, guarda molto più lontano: è cioè sull`ipotesi di un conflitto con la Cina nel futuro per il quale l`Occidente non vuole avere ostacoli intermedi. Ovviamente si tratta di un disegno folle ma che tuttavia resta nel campo delle probabilità.
E in tutto ciò l’Europa vive sempre più sull’orlo di un precipizio. Si opta per riforme di breve periodo senza discutere la riparazione dell’intera struttura importante nel medio/medio lungo periodo. Che prospettive vede per la Comunità Europea stretta tra le crepe interne, i vicini conflitti mediorientali e l’incombere dei capitali cinesi?
Nell’occhio del ciclone della pluriennale crisi che ci coinvolge ci sono i sistemi creditizi…cosa ne pensa della possibilità di analizzare e prendere in considerazione altre forme di credito come quella ideata da Muhammad Yunus?
Il primo deragliamento all`idea di Europa, elaborata nel Manifesto di Ventotene come una comunità di popoli europei costruita sulla cooperazione economica e la pace, si è verificato con la “guerra fredda” e la divisione dell`Europa che vi ha fatto seguito. Le possibilità di riprendere il percorso europeo di pace e cooperazione dopo il “crollo del muro” del 1989 fu nuovamente frustrato e deviato dalla Globalizzazione che dagli anni Settanta ha imposto ai Paesi europei politiche di competitività e di contrapposizione che hanno riaffermato il primato eurocentrico dell`Europa occidentale sia rispetto agli altri Paesi europei (nordici e mediterranei) sia rispetto alle altre aree mondiali come l`Oriente e il Mediterraneo. La finanziarizzazione dell`Economia che ne è seguita, ha importato in Europa una organizzazione dei mercati finanziari e del credito che hanno prodotto “la più grande truffa economica della storia” (J. K. Galbraith) che ha fornito le basi per la trasformazione del “pensiero unico” liberale in “potere unico” , che sta azzerando le forme e i contenuti delle democrazie europee (dal welfare al warfare, e da Stato del benessere e imprenditore allo Stato predatore). Poiché il nuovo potere predatorio si annida nei meccanismi e nelle istituzioni della finanza (banche nazionali di investimento, borse e mercati finanziari) e di lì che bisogna ripartire denunciando l`illegalità delle loro operazioni e chiudendo le loro istituzioni come le borse e gli strumenti dei mercati finanziari (le leggi esistenti consentono di intervenire contro l`”inside trade” delle società di rating in combutta con le grandi banche di investimento, con la chiusura delle borse per “disturbativa d`asta”, contro i consiglieri tecnici dei governi assunti oggi al ruolo politico istituzionale senza alcuna cura dei conflitti di interessi che portano con se. In Europa, e in Italia, esistono le istituzioni bancarie che possono sostituire il sistema esistente. Il settore della banche di credito popolare, della banche di risparmio cooperativo, della casse di risparmio ecc. va rimesso al centro del sistema di gestione della moneta e del credito con il compito di demonetizzare le funzioni politiche e economiche, di riportare le operazioni bancarie al loro giusto costo reale con una lotta di mercato e legale contro ogni forma di usura delle banche quando i tassi di interesse superino la fascia del 2-3 %. Le banche nazionali oggi esistenti vanno nazionalizzate, riunite in un`unica banca che abbia solo funzioni di servizio per il sistema bancario e non possa operare in modo autonomo sul mercato del credito nazionale e internazione. La Banca d`Italia va abolita perché in contrasto con i principi costituzionali della sovranità popolare e le sue funzioni ricondotte dentro quelle del Ministero del Tesoro che ha la responsabilità politica del settore. Disarmare la finanza significa estendere gli stessi principi del sistema bancario al mercato dei titoli di Stato. L`interesse non può superare quello indicato per il sistema bancario, e richieste maggiori vanno perseguite come forme di usura con il sequestro dei titoli posseduti senza rimborso e misure penali. Resta il problema di come convincere i capitali accumulati a investire in titoli e attività produttive. La risposta è quella della tassazione al 90 % dei capitali immobilizzati in conti bancari o altre forme di risparmio private che superino i limiti del giusto risparmio cautelativo delle famiglie e dei singoli. La moneta ha il ruolo di agevolare la circolazione dei beni e dei servizi, non di divenire strumento di accumulazione privata e di potere. Infine la moneta nazionale deve consentire quelle operazioni necessarie a livello nazionale, mentre le economie regionali e locali possono agire tramite monete locali per gli scambi di beni e servizi più consoni al funzionamento delle economie cooperative, delle piccole e medie imprese, delle attività associative dove parte delle attività svolte si basano sull`utilizzo di forme diverse di lavoro, compreso il lavoro volontario, su scambi diretti di beni e servizi, sulle “banche del tempo”, ecc. Accordi con i sistemi locali del credito possono fornire la gestione necessaria alla creazione di questo nuovo legame virtuoso tra economie sociali e di solidarietà, le istituzioni locali e i mercati locali. Tutto questo significa muoversi sulla linea delle esperienze del microcredito di Yunius che nelle condizioni del suo Paese sono state di certo appropriate, ma noi dobbiamo muoverci, per gli stessi obiettivi, nel quadro più complesso della moneta e della finanza.
*Bruno Amoroso (nato l’11 Dicembre 1936) è docente emerito di Economia Internazionale e dello Sviluppo presso l’università Roskilde in Danimarca, coordina programmi di ricerca e cooperazione con i Paesi dell’Asia e del Mediterraneo. Presiede il Centro Studi Federico Caffè e tra le sue pubblicazioni si annoverano:Europa e Mediterraneo (2000); Sistemi produttivi e di nuova formazione in 10 paesi della riva del sud del Mediterraneo (2002); Il futuro dell’Unione Europea: tra l’allargamento verso il Nord e il Mediterraneo (2005);Costruzione europea e regione mediterranea (2007); Per il Bene Comune. Dallo Stato del Benessere alla Società del Benessere (2009).
*William Bavone è laureato in Economia Aziendale (Università degli Studi del Sannio, Benevento)