Abbiamo fatto alcune domande molto personali a Giovanni Montanaro, scrittore veneziano. Il suo più recente romanzo, Tutti i colori del mondo, è stato pubblicato nel 2012 da Feltrinelli.
La domenica mattina, Giovanni, a che ora ti alzi e che cosa fai?
La domenica mattina mi alzo tardi, usualmente. È l’unico giorno della settimana in cui non ho orari. Mi alzo tardi e poi usualmente esco, faccio colazione, giro per Venezia, entro in una chiesa, prendo il giornale, comincio a infastidirmi perché sento che la domenica sta già passando e so che il pomeriggio sarò, come sempre, distratto e triste. Infastidito. Odio la domenica pomeriggio.
Proiettati nella domenica del 2022, come ti vedi? Che cosa c’è attorno a te?
Libri, legno, storie. Persone care, spero dei figli. Credo Venezia. Mi vedo come adesso, scrittore e avvocato, non so se in quest’ordine. Chissà se la mia Golf reggerà fino a quella data, chissà dove mi avrà portato. Sicuramente ci sarà una maglietta dell’Inter, una penna che mi ha regalato mia nonna, tutte le poesie che ho scritto quando ero ancora al liceo.
Venezia è la tua città, raccontaci un colore, un profumo, un sapore, un suono e un’immagine.
Odio il fatto che la percezione di Venezia è di solito artificiale; tutti la pensano così, come opera dell’uomo. Ma Venezia è anche natura. Un colore è il verde dell’acqua, dell’acqua che tocca il fondo. Il profumo è quello di sale, che mi fa sentire a casa sempre quando torno da un viaggio, quell’aria pesante che senti subito quando arrivi a Piazzale Roma. Un sapore è il saor, quel gusto dolce di cipolla che conserva. Un suono è l’acqua. Un’immagine è campo Nazario Sauro, quello dove da bambino andavo in bicicletta; non particolarmente bello, popolare, distante dai palazzi, fatto di masegni dove mi sbucciavo le ginocchia.
Quale idea ti sei fatto dell’editoria italiana?
Che sono stato molto fortunato. Che ci sono persone straordinarie che ci lavorano (una per tutte, Alberto Rollo). Che è un mondo con le sue regole. Che molti autori di talento vengono ignorati. Che purtroppo è più facile puntare su un libro solo che su tanti. Che è uno dei pochi settori della società italiana in cui i giovani hanno spazio. Che l’ebook con tutti i problemi che porterà (librerie in primis) deve essere sfruttato per rilanciare la poesia.
Un nome di uno scrittore italiano contemporaneo che suggeriresti e il motivo.
Daniele Del Giudice, forse il più grande di tutti i viventi. Non devo aggiungere altro.
Qual è il difetto che la tua famiglia non sopporta di te?
Il fatto che io non riesco mai a darmi fino in fondo. Il fatto che ci sono poco. Che sono indipendente, che non riesco mai a far capire alle persone quanto sono importanti per me.
Che cosa ti fa sorridere e che cosa ti fa ridere?
Mi fanno sorridere i giochi di parole, gli occhi da cerbiatto e le cose che trovo dentro i cassetti, che non cerco spesso, ma che trovo quando le cerco. Mi fa ridere Leslie Nielsen ne “La pallottola spuntata”. Ne so lunghi pezzi a memoria. Trovo irresistibile, per esempio, quando lui si traveste da Enrico Pallazzo e canta l’inno nazionale americano biascicandolo. Irresistibile.
Immagina di poter incontrare tre persone già trapassate con le quali conversare, chi e perché?
Marco Pantani, perché vorrei raccontarlo. E capirlo. Capire il dolore, la fatica, la difficoltà di diventare un mito. Thomas Mann, a cui dovrei fare alcune domande precise, su cosa sia per lui la vita e la letteratura, chiedergli perché succedono alcune cose, perché non si riesce mai a essere fino in fondo una sola cosa. E Masaccio, per chiedergli com’era il mondo in cui dipingeva. E perché si è inventato quel modo di dipingere.
Ti ritrovi a essere Presidente del Consiglio dell’Italia per un anno. Elencaci, con precisione, gli argomenti sui quali ti concentreresti e il motivo.
L’energia, la giustizia, e la cultura. L’energia perché tutto il nostro futuro si gioca su indipendenza e dipendenza energetica; finanzierei studi sull’energia idroelettrica. La giustizia perché faccio l’avvocato e non è possibile che vada avanti così. La cultura perché vorrei meno assistenzialismo e più impresa; solo questo consentirebbe di sfruttare la bellezza, la nostra risorsa più grande.
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