Il calciatore che incontriamo ha appena 21 anni (nato nel ‘91), terzino, ma sembra già navigato. Ha rifiutato di andare al Parma quando ancora era un cucciolo, ha militato nelle giovanili della Lazio da adolescente, poi tanta Eccellenza e la Serie D, ma la vera casa l’aveva trovata nella squadra della sua città natale, Ariccia, che purtroppo è fallita. Ci parla Andrea Montellanico.
Puoi raccontarci le tue esperienze per far capire come gira il calcio nelle serie minori?
Giocavo nell’Ariccia, la mia prima squadra, ne ero diventato il capitano, e iniziava a circolare la
voce del fallimento della società, il mister di allora ci chiama a parlare nel cortile antistante lo stadio e ci chiede se volevamo seguirlo nella squadra che gli aveva già offerto un contratto. Mi guardo intorno, eravamo solo in sette. Chiedo al mister come mai, che fine avrebbero fatto gli altri. Lui non risponde. Non mi è sembrato giusto, ho rifiutato di trasferirmi e sono rimasto li, con tutti gli altri non chiamati, a fine anno la società è fallita, ma almeno eravamo rimasti una squadra.
Ci sembra di aver capito che per te non è una questione di denaro, ma siamo curiosi, quantoprendi?
Ora prendo un rimborso spese di 650€ al mese, più o meno siamo su quelle cifre tra la D e
l’Eccellenza.
Ti va di raccontaci qualcosa che ti ha colpito in questi anni?
Mi ricordo, in una delle squadre con cui ho giocato, c’era un centrocampista, una riserva, voleva
giocare a tutti i costi e in allenamento faceva male agli altri centrocampisti per riuscire a mettersi in luce in gara. Per me era follia. Alla Lazio ero la riserva di Cavanda, ma mai mi sono sognato di
fargli male, decide il mister chi gioca.
Perché hai deciso di lasciare la Lazio?
All’inizio era tutto stupendo, giocavo nella Lazio, una squadra famosa, potevi vantarti coi tuoi
compagni di scuola, potevi sognare un futuro in grande. Poi però mi sono reso conto che non c’era
passione, guardavi basso e lavoravi sodo, era solo un dovere, e a 15 anni se lo prendi come un
lavoro non puoi farcela, ti passa la voglia. Ero più felice di andare a scuola che di allenarmi.
Attualmente in che squadra giochi?
Mi sono appena trasferito al Lepanto Marino, è successa una cosa che non mi è piaciuta affatto in
Eccellenza e poi devo finire gli studi, allenarmi tutti i giorni mi toglieva molto tempo.
Puoi raccontarci che cosa è successo?
Una volta stavamo vincendo con una squadra in lotta per il titolo, eravamo avanti 1-0, i dirigenti
dell’altra squadra nell’intervallo si avvicinano al nostro allenatore e gli chiedono di lasciarli vincere, ci avrebbero girato il loro premio partita per intero. Alcuni di noi avevano mutuo e famiglie a carico, e i soldi fanno comodo a tutti. Il mister chiede alla squadra, io ero in panchina, ero il più giovane, non ho detto nulla, ma i miei compagni hanno accettato. Non riuscivano comunque a segnare e il mister si gira e mi chiede se volevo entrare e fare fallo da rigore per farli segnare. Ho risposto di no e ci sono rimasto male.
Pensi che ora sarà diverso nella nuova squadra?
Si, ho deciso di fare due passi indietro e andare in Prima Categoria proprio perché so che mi troverò bene. Conosco già l’allenatore e qualche giocatore, la squadra deve essere una famiglia, non un lavoro, io almeno la penso così.
Andrea prima di salutarti, un’ultima domanda, per che squadra tifi?
Per la Juventus, è una passione che mi segue fin da piccolo, il mio idolo è Del Piero, l’ideale di
campione vero dentro e fuori dal campo.
Grazie di tutto Andrea, per fortuna ancora esistono persone che vedono il calcio come passione e non come interesse economico.
Grazie a voi dell’intervista, e forza Lepanto!!
di Cristian Amadei
Magazine Calcio
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