A 75 anni dalla sua scomparsa, immaginiamo di intervistare una delle voci letterarie più significative del Novecento: Luigi Pirandello. Ripercorreremo con lui le tappe che hanno segnato la sua vita da un punto di vista letterario e personale, come se fosse a condividere con noi questo spazio virtuale.
Signor Pirandello, il bello della letteratura è quello di mettere in relazione scrittori e lettori oltre ogni confine e limite. Quindi siamo lieti di chiacchierare con lei. Cosa può dirci delle sue origini e degli anni della sua giovinezza?
Sono figlio del “Caos”. Questo era il nome della tenuta di mio padre, dove sono nato il 28 giugno 1867, a Girgenti, l’odierna Agrigento. Mio padre Stefano era un garibaldino e mia madre, Caterina Ricci-Gramitto, proveniva da una famiglia tradizionalmente antiborbonica. Ho cominciato a studiare presso l’Istituto Tecnico. Ah, vi confiderò un segreto: a conclusione del primo anno il mio voto finale in italiano è stato 5 per lo scritto e 9 per l’orale; l’anno dopo, però, ho composto la mia prima tragedia in 5 atti intitolata “Barbaro”. Poi mi sono trasferito a Palermo e ho proseguito con gli studi liceali. Dopo mi sono iscritto contemporaneamente alla Facoltà di Legge e a quella di Lettere dell’Università di Palermo, per poi frequentare Lettere presso l’Università di Roma. A causa di un diverbio con il preside della Facoltà e docente di Latino Onorato Occioni, mi sono visto costretto ad allontanarmi dirigendomi all’Università di Bonn.
Non ho avuto il piacere di conoscerla di persona, eppure la considero un uomo affascinante, non solo dal punto di vista intellettuale. Sono sicura che tante delle donne che ha incontrato condividono il mio pensiero. Quante ne ha amate?
Il primo amore non si scorda mai, specialmente se non è corrisposto! Quand’ero a Bonn mi sono innamorato di una ragazza di nome Jenny Schulz-Lander, alla quale ho dedicato il secondo volume delle mie poesie. Tornato a Roma, ho sposato nel 1894 Maria Antonietta, che mi ha regalato 3 figli: Stefano, Rosalia e Fausto. Poi, però, lei si è ammalata ed è stata ricoverata in un ospedale psichiatrico. Diversi anni dopo, nel 1925, ho conosciuto Marta Abba, che è stata la mia compagna per il resto della mia vita.
Può capitare di scrivere e non essere accolti come si crede. Quando è arrivato il successo?
Era il 1904, quando la critica ha accolto con successo Il fu Mattia Pascal, apparso prima a puntate sulla rivista Nuova Antologia, con cui avevo cominciato a collaborare nei due anni precedenti, e successivamente tradotto in tedesco. Prima di allora avevo pubblicato liriche, raccolte di novelle e altri due romanzi: L’esclusa nel 1901 e Il turno l’anno seguente.
Le sue opere sono pregne di spunti e riflessioni sui più svariati temi dell’esistenza: l’amicizia, la follia, la democrazia. Come definisce la vita?
La vita è un flusso continuo di energia che si espande in tutto l’universo. L’uomo, con le sue idee, l’arte, la scienza, la filosofia, tenta – invano – di fermarlo, dandovi differenti forme ovvero maschere, finzioni quali convenzioni, doveri, ruoli.
Al di là di un interesse letterario, non possiamo dimenticare l’uomo dietro lo scrittore. Ha mai avuto momenti difficili?
Nel 1893 la miniera di zolfo di mio padre, in cui avevo investito la dote di mia moglie, si è allagata e sono andato incontro ad un vero dissesto finanziario. Poi il 1915 è stato davvero negativo: mio figlio Stefano, partito volontario per il fronte, è stato fatto prigioniero quasi subito e poi è morta mia madre, alla quale ero molto legato anche per via dei comportamenti di mio padre.
Le sue opere teatrali sono le più rappresentate dopo quelle di Shakespeare. Cosa l’ha spinta a dedicarsi anche al teatro?
Il teatro mi ha permesso di sviluppare quel binomio tra vita e forma, che cominciava a germogliare ne Il fu Mattia Pascal e che ho poi affrontato nel saggio L’umorismo, dove si mischiano pianto e riso, ironia e pietà. Ho avuto a lungo contrasti con Benedetto Croce. Lui considerava l’arte un valore autonomo. Per me, invece, era indispensabile la riflessione sia nel momento di concepimento dell’opera che a conclusione. I miei personaggi, rifiutando il mondo, scoprono se stessi. Questa loro a-normalità diviene condizione esistenziale e l’arte, coscienza critica, dovere morale.
Cos’ha provato quando ha ricevuto il Premio Nobel il 10 dicembre del 1934 direttamente dal re di Svezia?
Nel discorso agli Accademici mi sono definito un buon allievo, non alla scuola, ma nella vita; un buon allievo che ha cominciato raccogliendo con un’intera buona fede tutto ciò che apprendeva.
Pirandello si è spento a causa di una polmonite esattamente due anni dopo questo riconoscimento mondiale. Ha lasciato incompiuta l’ultima opera teatrale I giganti della montagna. Secondo le sue ultime volontà è stato cremato e le sue ceneri tumulate sotto il pino del “Caos”. Il funerale si è svolto in totale povertà, senza alcun accompagnamento. Un classico moderno, un avanguardista che ha fatto della follia e della dissociazione i “temi” dominanti di tutta la sua produzione.
Grazie Luigi!
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Quiz: vita e opere di Luigi Pirandello
Susanna Maria de Candia