di Filip Stefanović
1) Lorenzo, sei una persona che ha viaggiato molto. Questa volta cosa ti ha spinto proprio verso i Balcani, e più precisamente in Serbia e Bosnia? Ci dici, in ordine, le tappe del tuo viaggio e i mezzi usati per spostarti?
A portarmi verso i Balcani è stata, soprattutto, la curiosità e la voglia di nuove suggestioni. Un bisogno “storico”. Sono partito da Roma con Federica, la mia compagna, con un volo per Belgrado. Siamo stati nella capitale serba per poi prendere un treno per Sarajevo. Dopo un soggiorno nella capitale bosniaca abbiamo fatto il viaggio inverso. Le due città distano circa duecento chilometri, la vecchia Šargan 8, la ferrovia a vapore a scartamento ridotto che un tempo collegava direttamente Belgrado, Sarajevo e Dubrovnik è stata chiusa nel 1974, perciò per spostarci in treno siamo dovuti salire a nord, entrare in Croazia, uscire dopo poche ore dalla Croazia per entrare nella Republika Srpska, poi nella Federazione di Bosnia-Erzegovina fino a Sarajevo. Il convoglio è composto da tre vagoni, ferma in ogni località che incontra sul suo cammino (Stara Pazova, Ruma, Sid, Vinkovci, Doboj, Vranduk…), ogni doganiere pone il suo timbro sul passaporto, non ci sono turisti, si avanza con un ritmo d’altri tempi.
2) Negli ultimi mesi i temi della guerra e dei crimini commessi in ex Jugoslavia sono tornati alla ribalta in seguito agli arresti di Mladić e poi Hadžić. Tu con quali intenzioni sei partito? Cosa ti aspettavi di trovare, o almeno cercare in quei luoghi, a quindici anni di distanza?
Principalmente sono partito per trovare suggestioni. A Belgrado mi aspettavo uno scenario metropolitano simile a quello visto a Bucarest o a Sofia (per fare qulche esempio di grosse città dell’est che ho visitato), ma non è così, anche l’architettura del periodo socialista mostra evidenti differenze con quella costruita in Romania o Bulgaria. Pensavo di trovare una metropoli chiusa e più identitaria, invece è la capitale mondiale della vita notturna. Pensavo di trovare tracce dei bombardamenti della NATO e le ho trovate, negli edifici colpiti e semidistrutti vicino alla stazione, e mettono i brividi. A Sarajevo, invece, ero convinto di trovare turismo di massa e una folta presenza militare, invece l’ho trovata una città vivibile, con un turismo discreto e la mancanza di soldati. Mi aspettavo di vedere tracce dell’assedio, e quelle ci sono. Nelle pareti degli edifici non ancora ristrutturati, nelle targhe commemorative dei morti al mercato Markale, al museo di Storia, nei cimiteri che si inerpicano verso Vratnik. Ovunque, se stai attento trovi, purtroppo, segni di quel lungo assedio.
3) In occidente, e molto in Italia, si ha una visione stereotipata di quei luoghi, che quando non negativamente pregiudizievole tende a essere ricondotta a un certo, iconico, folklore gitano, o caotico, scompaginato, allegro barbarismo, potremmo dire, con bande di trombettisti, fiumi di grappa e altre scene alla Kusturica. È stata anche la tua sensazione o no? Cosa ti ha colpito particolarmente?
No, non è stata la mia sensazione. Se escludi una fermata alla stazione di un improbabile paesello fra Sarajevo e il nulla, dove oltre a un bambino e a un capo stazione annoiato non c’era nulla e dove nell’ufficio troneggiava ancora il busto di Tito, non ho avuto molte visioni alla Kusturica. Forse nei paesaggi della Bosnia. Al giorno d’oggi credo che la globalizzazione inghiotta tutti. A Belgrado mi sembra lo stia facendo in modo abbastanza stereotipato e caotico, a Sarajevo in modo molto discreto. E’ quello che mi ha colpito di più: la discrezione e la cordialità degli abitanti della capitale bosniaca.
4) Hai visitato in sequenza Belgrado e Sarajevo, entrambe, per quanto la prima non sia stata direttamente toccata dal conflitto, città emblematiche del processo di dissoluzione della Jugoslavia. Se dovessi metterle a paragone, quali somiglianze e quali differenze ti vengono in mente?
Somiglianze non molte. Differenze moltissime: geograficamente non potrebbero essere più distanti. Lo sviluppo urbanistico di Belgrado è quello di una metropoli, quello di Sarajevo di una città grande, ma che non può svilupparsi oltre le montagne che la schiacciano. A Belgrado si fa molta fatica a trovare volumi interessanti sul conflitto, ma è pieno di volumi sulla storia e l’identità serba, a Sarajevo le librerie sono piene di saggi di storici, non necessariamente di parte, che affrontano i temi della guerra nella ex Jugoslavia. Un tipo di Jugoslavia “titina” è molto più riconoscibile a Sarajevo, a Belgrado vanno per la maggiore le spille delle Tigri di Arkan e le sciarpe della Stella Rossa. Sarajevo alla notte dorme, Belgrado esplode di mille colori, di feste, concerti, balli. A Sarajevo i concerti si fanno alla sera, a Belgrado la sera si cammina sulle vie alla moda del centro. Nel centro di Sarajevo c’è una moschea, a Belgrado la moschea l’hanno saccheggiata nel marzo del 2004 come rappresaglia contro i pogrom serbi in Kosovo.
5) Hai avuto modo di parlare con persone del luogo, sia in Bosnia che Serbia? Come le hai trovate? Hanno elaborato i lutti del passato recente oppure argomenti quali la guerra sono ancora difficili da trattare apertamente?
Penso che la dissoluzione della Jugoslavia e la guerra che ne è scaturita sia dentro ogni abitante di quelle terre. Il lutto ha toccato tutti. La gente non parla dei bombardamenti della NATO, non parla dei cecchini cetnici che sparavano sulla folla inerme. Rimane tutto dentro. Quello che è successo lo vedi: sui muri, sui libri, nelle spillette dei gruppi paramilitari, nei bossoli di fucile usati come portapenne, sulle prime pagine dei giornali che mostrano le facce di Mladić e di Hadžić.
6) Ricapitolando questa tua ultima esperienza, cosa pensi ti abbia lasciato? Come scrittore, hai trovato spunti interessanti da elaborare? Hai già in mente qualcosa?
Come ho detto sono partito perché volevo nuove suggestioni. Da una lato per la mia attività di reporter e di storico ho pensato che fosse interessante visitare Belgrado subito dopo l’arresto di Mladić. Dall’altro, quello del romanziere, sono diversi anni che sto cercando di scrivere una storia che passi attraverso l’assedio di Sarajevo per finire in Kosovo. È stato un viaggio bello e utile, pieno di spunti, di fantasie e di dettagli importanti.
7) Quali sono i tuoi progetti futuri, ci vuoi dare qualche anticipazione?
A fine estate uscirà l’edizione per il mercato tedesco, austriaco e svizzero del mio romanzo Un tango per Victor, verrà edito dall’editore berlinese Chichili Agency. A inizio settembre usciranno per l’editore statunitense LA Case una mia raccolta di racconti (Cartoline dal mondo dei balocchi) e una raccolta dei miei reportage usciti sul quotidiano il reporter, dal titolo Focus Viator, fifteen safety matches. Per novembre invece è prevista la ristampa, in un unico volume, della trilogia noir che vede protagonista l’ispettore Malatesta. Uscirà con Momentum Edizioni, sarà illustrata da Andrea Amaducci e si intitolerà Malatesta, indagini di uno sbirro anarchico.