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Intervista su "Avvenire"

Creato il 05 ottobre 2010 da Sylos

Intervista su

 

« Stiamo protestando nell’unica maniera civile e legaleche ci è concessa». Così, in una “let­tera aperta a studenti e genitori”, il Coor­dinamento nazionale ricercatori univer­sitari (Cnru) - 25.435 quelli in servizio, se­condo i dati 2009 del Ministero - spiega le ragioni del blocco delle lezioni in tanti a­tenei, per la decisione dei ricercatori di non insegnare più. A loro sostegno, sono scesi in campo anche i docenti, costrin­gendo i Consigli di facoltà a posticipare l’avvio del nuovo anno accademico.
«I ricercatori – si legge nella lettera aper­ta – si sono sacrificati negli anni, svolgen­do un compito che permettesse di man­tenere la qualità e la quantità dell’offerta formativa e cioè della didattica». In altre parole, scrivono i promotori del Coordi­namento, «il ricercatore, che deve fare ri­cerca e non “insegnare” e “fare lezione”» è stato costretto a «scegliere tra il proprio dovere e l’interesse dell’università e degli studenti». Il tutto per 1.250 euro al mese, che diventano 1.500 dopo i primi tre an­ni, ma restano ben lontani dai 1.800-2mi­la euro mensili degli omologhi francesi e tedeschi.
«Da una crisi – prosegue la lettera del Cn­ru – si esce anche sponsorizzando chi ha lavorato al di là delle proprie competen­ze, perché ha mostrato il proprio valore. Molti, inoltre, perderanno il loro posto di lavoro, perché “precari” o “a contratto”, pur avendo insegnato e seguito gli stu­denti ». Di «vittoria dei ricercatori», parla “Re­te29Aprile”, il «sito della protesta dei ri­cercatori universitari», a proposito del rin­vio al 14 ottobre della discussione parla­mentare del disegno di legge di riforma dell’università. «Ci auguriamo – si legge – che il governo sfrutti questa pausa di ri­flessione imposta, con senso di responsa­bilità e saggezza, dalla Camera dei Depu­tati per dare ascolto al mondo universita­rio e non solo ai rettori e per dare avvio a una riscrittura radicale di questo disegno di legge».
A fianco dei ricercatori sul piede di guer­ra scende anche Francesco Sylos Labini, autore, con Stefano Zapperi, del libro “I ricercatori non crescono sugli alberi” (La­terza), un crudo spaccato sulla realtà di questi studiosi. «Fanno bene a protestare: stiamo andando nella direzione sbaglia­ta », dice Sylos Labini senza troppi giri di parole. «In Italia – prosegue – le università hanno due grossi problemi, collegati tra loro: il reclutamento dei nuovi professori e il pensionamento dei vecchi, il cosid­detto ricambio generazionale. In sostan­za, abbiamo la percentuale più alta di do­centi over 60 anni e la più bassa di quella under 40».
Secondo l’analisi di Sylos Labini, in que­sti anni «l’università si è mantenuta gra­zie ai 50mila precari, docenti “a contrat­to” che, se passa questa riforma, non a­vranno più alcuna possibilità di diventa­re professori a tutti gli effetti».
Del disegno di legge Gelmini, il ricercato­re contesta anche la volontà di «abolire il ruolo del ricercatore, che è una delle po­che “valvole di sfogo” per l’assunzione di chi esce dall’università, e sostituirlo con la tenure 
track americana». «Questa – ag­giunge Sylos Labini – negli Usa,prevede l’assunzione a tempo determinato di 3 o 4 anni. Al termine, chi ha prodotto dei ri­sultati viene nominato professore in via definitiva. Da noi, invece, si resta precari per decenni».


Paolo Ferrario


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