Di PIERLUCA D’ANTUONO
Intervista tripla insieme all’editor di Future Fiction, Francesco Verso e a due autori della collana, Clelia Farris e Giovanni De Matteo
Cos’è il progetto Future Fiction?
Ho preso il termine Future Fiction da una definizione data dallo stesso Anthony Burgess ai suoi romanzi “Arancia Meccanica” e “Il seme inquieto”. Trovo che questa definizione sia molto calzante per la nostra linea editoriale: narrativa di speculazione rivolta al futuro prossimo.
Naturalmente non abbiamo preclusioni nei confronti della fantascienza classica (esplorazione spaziale e incontri con altre forme di vita senziente) tuttavia preferiamo temi che affondino le loro radici nel presente: fisica quantistica, intelligenza artificiale, l’etica della clonazione e della bioingegneria, e ancora transarchitettura, postumanesimo, gli artigiani del 3D printing, l’economia virtuale dei bitcoin e quella che viene definita come “singolarità tecnologica”. Tutti concetti che hanno una valenza sia scientifica sia sociale, oltre che antropologica, e quindi umana.
E come si sviluppa il progetto?
Future Fiction ha due linee guida principali, la multiculturalità e la crossmedialità:
Da editor, cerco racconti provenienti sia da paesi di lingua inglese che dal resto del mondo. Fin ora abbiamo pubblicato: l’autore americano James Patrick Kelly (La casa di Bernardo), il greco Michalis Manolios (Aethra/L’altra mamma), Clelia Farris, autrice sarda, (La Pesatura dell’anima), il canadese Robert J. Sawyer (La mano servita), Cristian M. Teodorescu (Big Bang Larissa e Caso 74) dalla Romania, Ian McDonald dall’Irlanda del Nord (Un buon partito), Giovanni De Matteo (Riti di Passaggio), Paul McAuley dall’Inghilterra (Guerre Genetiche / Rocket Boy) e Efe Tobunko dalla Nigeria (Risoluzione 23) oltre che una nuova edizione digitale di “UFO e altri oggetti non identificati” di Giorgio Manganelli.
Per quanto riguarda la crossmedialità Future Fiction collabora con il teatro contemporaneo: insieme alla performer Katiuscia Magliarisi, l’attrice Chiara Condrò e al musicista di theremin Simone De Filippis abbiamo messo in scena lo spettacolo “The Milky Way: A show on diversity quite unlike itself”, con storie di Fredric Brown, Robert Sheckley, e mie.
Da ultimo, stiamo lavorando con la New Media Agency BCAA per adattare alcune storie, come ad esempio Flush, in un progetto che prenda la forma di un audiolibro, di film e di un’installazione audiovisiva con proiezione 3D e motion capture.
L’intento è sempre lo stesso: spargere i semi del Futuro ovunque sia possibile e con qualsiasi modalità espressiva consentita dalla tecnologia attuale.
Passiamo adesso la parola a due autori di Future Fiction, prima Clelia Farris e poi Giovanni De Matteo.
Clelia Farris: sei autrice di molti romanzi e racconti. Il tuo nome circola da anni sulla bocca degli intenditori di fantascienza italiana, eppure nessuno, o pochissimi, hanno avuto modo di vederti, di farti i loro complimenti dal vivo, di persona. Perché questa scelta? Pensi che l’autore debba parlare e farsi conoscere solo attraverso i propri scritti?
Sì. A questo punto, per coerenza, dovrei tacere, ma temo di dover spiegare meglio la mia posizione. Non mi sto nascondendo, non sono timida, semplicemente ritengo che la mia voce siano le mie opere. Io stessa, come lettrice, non sono interessata più di tanto alla vita o all’aspetto fisico di un artista; se leggo qualcosa che mi piace, cerco il nome dell’autore su Google per sapere quali altre opere ha pubblicato, e come posso procurarmele, non per sapere se ha avuto due mariti o tre mogli o se fuma il sigaro e la mattina beve caffè senza zucchero.
Gli artisti, e gli scrittori più di tutti, visti da vicino sono banali e noiosi come l’inquilino del sesto piano che attacca bottone in ascensore. E non citatemi Oscar Wilde. Oscar Wilde non era uno scrittore, era una rockstar. Per quanto mi riguarda, sono un’antenna. Capto segnali emessi involontariamente dagli altri esseri umani, percepisco umori, sensazioni, gioie e paure; condenso tutto in un’emissione coerente, articolata in capitoli, un coro polifonico di personaggi, ed ecco scritto il romanzo.
La tua scrittura è complessa, le trame si presentano come molto articolate, le ambientazioni fondono paesaggi esotici (l’estremo oriente in Nessun uomo è mio fratello, un mediterraneo futuribile nella Pesatura dell’anima e nella Giustizia di Iside) a realtà che invece si sviluppano nella loro quotidianità più semplice e riconoscibile, mentre il lessico rappresenta un misto – ottimamente riuscito – di neologismi e riscoperte linguistiche piene d’inventività. Cosa vuoi trasmettere ai tuoi lettori? Quale tipo di futuro, alternativo, trasfigurato, verosimile, intendi lasciare nella mente di chi legge?
A volte, soprattutto nei romanzi, ho bisogno di fondare un mondo nuovo. E’ una necessità legata allo sviluppo dell’idea-base della storia: quale tipo di società farebbe da sfondo a una squadra di poliziotti che scambiano l’anima di un omicida con quella di una vittima? Solo una che dà molta importanza all’oltretomba e alla giustizia post mortem, e dunque gli Egizi.
Oppure: il mio protagonista ha una memoria infallibile, granitica, eccelsa. Quale tipo di società può aver bisogno di un Ricordante? Il mondo senza memoria della Luna in Rupes Recta.
Mi piacerebbe che i lettori entrassero nei miei romanzi come in un parco dei divertimenti e solo in un secondo momento notassero le somiglianze tra il posto in cui sono stati e la realtà che vivono ogni giorno. Credo di parlare molto dell’oggi, ma guardo al futuro quando costruisco personaggi coraggiosi, altruisti, generosi. Penso che sarà quella l’umanità del futuro, altrimenti non sarà.
L’ultima domanda è per Sirah, un personaggio dei tuoi romanzi che parla in modo molto buffo e stravagante. Chiedo a lui – sapendo che la conoscenza è reciproca – cosa ne pensa dei romanzi di Clelia Farris? E cosa dobbiamo aspettarci dalle sue storie? Infine pensa che avrà un ruolo in qualche prossima narrazione dell’autrice?
Oh, dico, mi zimbelli? Non sono mica uno di quei tonchi che salgono in bigoncia e ti sbozzolano cosa è luce e cosa è ombra! Clelia è una mongrellina, ma quando verga agganghera i lettori e i suoi romanzi scombugliano forte. Ti pispiglio una combusta verità: ha una nestaia di idee nella zucca e quando le avrà depentolate tutte smetterà di fare la gnagnera.
Se mi chiama per un nuovo truglio, io ci sarò. Ma al momento ci sono altri fontanazzi che scroccano. Fine della cicalata.
Giovanni De Matteo: la tua fantascienza spazia da scenari a noi molto prossimi sia nel tempo sia nello spazio (Sezione PiQuadro, Corpi spenti) a orizzonti lontanissimi (Riti di passaggio, Terminal Shock) per citarne alcuni. Il tuo interesse nei confronti del genere pare non avere confini, né tematiche predefinite e questo ti rende leggibile da molteplici tipologie di lettore/lettrice. È una scelta voluta – questo eclettismo che nel tuo caso specifico è definibile come “connettivismo” – oppure è qualcosa che nasce via via, storia dopo storia, senza una fascinazione precisa?
Partiamo subito una domanda scomoda… A dire il vero non mi sono mai posto il problema! Sono un appassionato di fantascienza in tutte le sue espressioni e declinazioni. Mi piace tutta, senza eccezioni. Quando mi metto all’opera su un nuovo progetto mi comporto come in genere faccio da lettore nella scelta di un libro o di un racconto: seguo le suggestioni del momento. Ci sono idee che mi sembrano adattarsi a un mood piuttosto che a un altro, e allora finisco per declinarle seguendo un registro che le porta a svilupparsi all’interno di un particolare filone. Ma per fortuna la fantascienza è un genere ricchissimo e una parte significativa del divertimento, nel lavoro dello scrittore, credo che consista proprio nella fase di pianificazione, quando ci tocca scegliere quale scenario e quale macro-tematica andremo a sviluppare. Questa varietà si riflette tipicamente nell’approccio di tutti gli autori connettivisti.
Accanto alla narrativa di genere, sei anche una delle voci più interessanti nel panorama della saggistica di fantascienza italiana: lettore onnivoro con influenze disparate, sul tuo blog https://holonomikon.wordpress.com/ è possibile farsi un’idea molto puntale circa lo stato dell’arte e le direzioni lungo cui si sta muovendo la fantascienza mondiale. Come concili questi due aspetti? Ti senti più narratore oppure saggista? O forse ci piace indossare entrambi i cappelli?
Se riesco a esprimermi sia come autore di articoli che come autore di racconti e romanzo lo devo solo alla mia personalità dissociata. Credo che tutto nasca sempre dalla passione per il genere: ho iniziato a scrivere occupandomi di recensioni di libri e film di fantascienza e contemporaneamente cimentandomi nella stesura dei primi racconti, e poi ho sempre proseguito su questo doppio binario. Cerco di seguire l’evoluzione del genere, le novità del mondo anglosassone e le discussioni che lo coinvolgono. Spesso tutto questo è uno stimolo e una fonte di spunti che finiscono per tornarmi utili quando rifletto sui miei progetti. E così riesco a ripagarmi la fatica di tenere dietro a tutto tramutandola in benefici per la scrittura.
A cosa stai lavorando? E quale pensi sia la forma di narrazione più congeniale ai nostri tempi accelerati?
Entro il prossimo anno mi sono prefisso di completare una serie di racconti che sono in incubazione da un po’ di tempo. Sono in dirittura di arrivo con un romanzo breve, di cui presto comincerò la revisione. E poi forse mi metterò all’opera su un nuovo romanzo, ma è ancora presto per dirlo.
Grazie per queste domande e per gli spunti che sono riuscite a far emergere!
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