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Intervistando Neal Adams (parte 1 di 4)

Creato il 07 febbraio 2013 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco
Speciale: Neal Adams: supereroi e mito

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Siamo stati gentili ospiti di Neal Adams presso il Continuity Studio a New York per una lunga intervista. Ci ha fatto dono del suo tempo passando con noi due ore a raccontare delle storie; perché, come ci ha detto, ama raccontare storie, scrivere storie, disegnare storie…

Di seguito troverete quanto ci ha detto; abbiamo tagliato qua e là qualche parola e frase. Abbiamo tolto anche alcuni lunghi passaggi di argomento scientifico per equilibrare l’intervista e mantenerla più centrata sui fumetti e sulla sua carriera. É comunque possibile trovare l’intervista completa sul nostro canale YouTube. Dal video ci si rende conto della grandezza di Neal Adams (anche) come attore ed intrattenitore.

Iniziamo… Il lavoro di Neal Adams sulle più importanti serie di supereroi ha affascinato così tanti lettori che….
Sta dicendo che sono “I Beatles” dei fumetti? Bene. Sono i Beatles dei fumetti. Tutti e quattro.

Senza dover dividere i soldi con gli altri…
Beh, io e Ringo, noi siamo così (incrocia le dita in segno di rapporto stretto).

Ho letto alcune interviste e riletto alcuni tuoi lavori prima di venire qui. Ho fatto i miei compiti e credo che una “linea rossa” che attraversa la tua vita è la “passione”. La prima è quella che nutri per i fumetti.
Certo. Forse. Direi piuttosto il raccontare storie, cosa che non puoi fare davvero bene nell’illustrazione. Mi interessa anche l’illustrazione, ma non si può raccontare una storia molto bene solo con illustrazioni. Beh, forse Norman Rockwell può, io, qualche altra persona può… ma le possibilità di raccontare una storia nel fumetto sono maggiori che nell’illustrazione. Quindi da questo punto di vista mi considero un illustratore di fumetti. Più o meno, non essendo più bravo in una cosa piuttosto che nell’altra, ma questa è la concretizzazione delle mia capacità perché adoro raccontare storie. Raccontare storie per me è più importante dell’arte.

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Ad un certo punto della tua carriera hai cominciato a scrivere le storie che disegnavi…
In realtà lo facevo anche agli esordi. Ho scritto Superman Vs Mohamed Ali, la maggior parte delle storie di Deadman che ho disegnato, le storie di Ben Casey, da giovanissimo, ed anche fumetti pubblicitari. Ho scritto fumetti e materiale pubblicitario. In realtà ho una grande esperienza nello scrivere.

Alla DC ti chiedevano solo di disegnare?
Non è che mi chiedevano solo di disegnare, è che non ero pagato a sufficienza per occuparmi sia della scrittura che del disegno. Ogni tanto scrivevo una storia; l’ho fatto per la Marvel Comics… Ma in quel periodo non ero neanche io ad occuparmi dell’inchiostratura. Fondamentalmente facevo la cosa per la quale mi pagavano meglio che era disegnare fumetti, non scriverli né inchiostrarli. A volte ho inchiostrato alcune storie. Se mi toccavano in maniera particolare o se sentivo il mio “mojo” (talento, capacità quasi magica -ndr)  accendersi inchiostravo, ma non ho mai avuto scrittori perché pensavo fossero più bravi a scrivere di quanto lo fossi io. Era tutta una questione di praticità. Dovevo guadagnarmi da vivere, mettersi seduti e scrivere richiede un certo tipo di disposizione mentale. E realizzavo anche tanto lavoro pubblicitario…

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Arrivasti alla Dc Comics, infatti, già con un lavoro…
Sebbene ci lavorassi per anni, il settore pubblicitario non mi garantiva la stessa stabilità lavorativa del fumetto. Puoi fare un lavoro e non averne altri per due o tre settimane. La cosa buona dei fumetti è la continuità; c’era sempre del lavoro sulla scrivania e se avessi fatto della pubblicità mi sarebbe stata pagata quattro o cinque volte di più… in pratica ciò che accadeva è che quando portavo a termine un lavoro pubblicitario potevo fare un fumetto e così potevo avere entrate continue… Tiravo su una famiglia, avevo cinque figli, ho nipoti ora…
Quindi, in un momento in cui gli artisti erano pagati così poco e dovevano arrabbattarsi per sopravvivere facendo altre cose io me la cavavo molto bene. Me la son sempre cavata bene durante tutta la mia vita. Da quando ero alle superiori perché non sono mai stato un artista nel senso da sacrificarmi per l’arte. Sono stato concreto.

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Hai detto che c’è sempre modo per portare “la propria arte” nel mercato…
E infatti, se sei in qualche modo un artista puoi sempre trovare il modo di esprimere te stesso. La cosa buona dei fumetti era nella loro maggiore libertà; quella cattiva è che pagavano così poco che son rimasto fuori dallo scrivere fumetti. Ma sono stato così fortunato da trovare, sia alla National (DC) che alla Marvel i due migliori scrittori che avevano, quindi non ho niente di cui lamentarmi….

Hai detto che qualche anno dopo essere arrivato alla Dc eri in grado di sceglierti i lavori…
Direi anche un po’ prima. Quasi subito. Ero sempre…Mi sforzavo di soddisfarli ed ero sempre abbastanza contento di occuparmi delle cose che facevo, del resto quando avanzavo una richiesta veniva di solito accontentata…

Ho letto la storia di Stan Lee che ti chiese cosa volessi disegnare per la Marvel al quale rispondesti chiedendo quale fosse quella che vendeva di meno…
Beh, era interessante che Stan Lee chiedessi cosa mi sarebbe piaciuto fare aggiungendo che potevo fare qualsiasi serie.

Intervistando Neal Adams (parte 1 di 4)> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="280" width="306" alt="Intervistando Neal Adams (parte 1 di 4) >> LoSpazioBianco" class="alignright wp-image-65774" />Di sicuro c’erano già dei team di artisti al lavoro ma lui disse “No, no, puoi prendere la serie che vuoi”. Io dissi “Wooo…perché dici così Stan” e sembra un po’ rude ma disse “Ad essere sinceri Deadman è il solo titolo (edito dalla DC e disegnato all’epoca da Adams – ndr)  che leggiamo alla Marvel”. In pratica era dell’idea di farmi fare quel che volevo…e andò molto bene alla Marvel visto che dopo quei 10 albi (The Uncanny X-Men dal n.56 al n.65 -ndr) abbiamo creato la leggenda degli X-Men che dura ancora oggi.

Ci hai detto che fin dagli inizi la passione per i fumetti era legata all’amore per il raccontare. Oggi vale lo stesso?
Si, amo raccontare storie. Mi piace farlo nelle interviste, durante le lezioni, nelle conversazioni, amo raccontare delle storie su carta. Credo che raccontare sia quel che è l’essere umano. Una cosa che trovo particolare è che così poche persone siano interessate allo studio della storia, e la storia con la “s” maiuscola è fatta di tanti racconti… infatti se vuoi studiare il cinema al di là dei film per famiglie o gli show televisivi oppure il genere supereroistico trovi romanzi storici, telefilm storici, film storici… Alessandro Magno, tutte quelle storie che costituiscono il corpo della nostra letteratura, quindi non solo l’unico che ama raccontare storie. Tutti amiamo raccontare storie e vederne. 300 di Frank Miller è la riesposizione di una famosa vicenda…
Ogni artista vuole raccontare delle storie e la cosa triste è che ad oggi fino ai fumetti siamo stati tenuti troppo lontano dal raccontare storie. L’idea di dipingere un quadro, metterlo su tela, incorniciarlo ed appenderlo sulla parete di casa di qualcuno, secondo me, è un totale spreco di tempo ed energia di un artista. Voglio dire, siamo destinati a comunicare e infatti siamo passati attraverso questo processo nel corso della storia dipingendo sulle pareti delle grotte per raccontare una storia a realizzare affreschi, mosaici che raccontano storie nelle nostre stesse case dipingendo sui muri e raccontando ovunque, dall’Egitto alla Mesopotamia… Quel che stavi leggendo era raccontare storie. Quel che leggevi è ciò che qualcuno immagina fossero parole, qualcuno immagina fossero disegni… in sostanza si sta leggendo un fumetto. Una striscia.
Leggi un pittogramma e vedi l’immagine di un uomo e sua moglie e chissà che altro….di fatto non è una serie di disegni ma di una sequenza narrativa. Così è stato fino al Medioevo, fino a quando non siamo entrati per un millennio in questa millenaria oppressione religiosa tanto da sostanzialmente farci distruzione la narrazione. Nella Grecia antica, o a Roma, c’erano storie anche sui vasi…eravamo dei narratori fino al Medioevo e abbiamo ricominciato a farlo quando è finito. All’improvviso tutto consistette nel decorare le pareti; i ricchi pagavano per abbellire le loro case, farsi fare statue a tema religioso, decorare i soffitti e questo era tutto ciò di cui erano capaci gli artisti… Non entrammo solo in una età oscura per la cultura, ma anche per l’arte. E tutto ciò che trovi in un Museo è solo un piccolo tentativo di riportare l’arte nell’unico contesto davvero disponibile. Non era quello che gli artisti avrebbero dovuto fare e fu davvero un periodo terribile.  Cerco di immaginarmi ai tempi di Rembrandt quando girare il volto di qualcuno nel dipinto poteva bastare per farti perdere una commissione e del resto di cosa si trattava?  Ritrarre delle facce. Gran bella cosa, davvero, gran bella cosa.
Quello che stiamo vivendo adesso è il vero Rinascimento. É questo, non quello. Quella fu la rinascita dell’arte ma questo è il Rinascimento.

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Sapevamo come fare le cose ma non le realizzavano in realtà….
Be, che cosa facevano? È come, prendi la Monna Lisa… Capisco che qualcuno cerchi di tirarci fuori qualcosa dalla Monna Lisa ma è una noiosa schifezza (letterale “boring piece of crap”). A chi interessano le schifezze? Voglio dire, mi spiace, ma io non ce lo vedo un sorriso su quella faccia…. Si cerca di cavarci qualcosa ma resta una schifezza. Non sono il tipo di persona che di solito resta colpito dalle schifezza. Non so perché.

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Ho detto prima quanto i tuoi lavori hanno scioccato i giovani lettori degli anni  settanta. É una domanda stupida ma confido in una risposta brillante…. Come ti senti ad essere considerato una vera e propria icona nel campo del fumetto supereroisitico? Sei considerato un maestro dai veri artisti a quali non ha mai realmente insegnato…
Se dai degli insegnamenti, questi restano. Voglio dire che se gli insegnamenti sono buoni funzionano sempre.

É per questo che i tuoi albi degli anni settanta sono ancora utilizzati come testi nelle scuole di fumetto.
Beh, è per questo che sono stati ristampati e che vengono ristampati di continuo. E diventano sempre più costosi. Sono pubblicati e ripubblicati ancora perché sono un documento duraturo. Devi capire che ho iniziato ad imparare le mie lezioni quando ero molto piccolo ed ero davvero una spugna nell’imparare dagli altri. Vedi, le persone hanno un ego, tutti hanno un ego ed il mio in qualche modo era tremendo e volevo esprimermi. Ma quando mi sono imbattuto in opinioni e punti di vista diversi da miei non ero nient’altro che una spugna. Il mio ego si buttò dalla finestra. Tutto quello che mi importava era ascoltare le opinioni altrui ed i loro punti di vista, capire come fare le cose,  e volevo solo scoprire il perché di quello che facevano. Per me era una vita fottutamente meravigliosa quella fatta di insegnamenti e scoperte. E succede anche oggi. Ho avuto una riunione con la mia famiglia e stavamo discutendo di quello che avremmo fatto nella prossima convention ed ho imparato più di quello che ero in grado di esprimere perché avevano notato delle cose che mi erano sfuggite così adesso sto imparando da loro. Non ho un ego così grande, davvero.

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Ti senti più responsabilizzato in quello che fai e dici ora a causa del tuo essere “icona”?
No. Fanculo. Non me ne può fregare di meno.
La mia responsabilità è verso me stesso. E verso il lavoro che faccio. E suppongo che chiunque sia un artista abbia la stessa responsabilità. Tutti noi condividiamo questa sensazione di provare a colpire le persone con i lavori che facciamo e di sperare che le persone ne subiscano l’influenza, perché questo è il motivo per cui lo facciamo. Una volta che questo è successo puoi spostarti su qualcos’altro. Io ho fatto Batman: Odyssey e un sacco di gente l’ha criticato, ma alla fine io ero davvero molto felice. Quando succedeva ho chiesto loro se avevano solo letto quello che era stato detto in internet o se avessero letto il tredicesimo capitolo. Come puoi avere un’opinione negativa senza aver letto l’ultimo capitolo? Capisci cosa intendo?
Nei fumetti cerco di fare cose nuove ogni volta. Ho detto che stavo per scrivere un libro che aveva dodici capitoli (poi diventati tredici); tu non saprai cosa è il libro prima di aver letto tutti i dodici capitoli. Non è una serie di storie. E’ come Ulisse. Hanno detto di non aver capito il primo libro… Era un libro in tredici capitoli!  Così sarà visto in futuro perché si concentreranno e vedranno che c’è un tredicesimo capitolo e diranno: “Oh, mio Dio, devo tornare al primo capitolo perché tutta la roba era lì e avrebbe portato al tredicesimo capitolo”…
Abbiamo parlato dell’energia all’idrogeno, abbiamo parlato dell’approccio di un individuo alla vita e alla morte. Tutte queste cose ed altre ancora più grandi e tutto ciò che stai facendo è leggere un comic book.
Bene, arriva un momento in cui ti devi svegliare.
Ho fatto una storia per The Spectre: si chiamava Stop that kid before he wrecks the world (Ferma quel ragazzino prima che distrugga il mondo; si può leggere integralmente qui). Parlava di una creatura di un altro mondo che entra in un ragazzino e inizia a combinare tutti questi disastri. Spectre prova a fermarlo, ma deve fermare tutti i disastri prima di fermare il bambino, ma alla fine si trova di fronte alla decisione di… se prova a prelevare la creatura dal ragazzo, il ragazzo muore. Così il bambino è l’agnello sacrificale e allo stesso tempo è colui che può fare cose terribili. Solo Spectre può distruggerli, così Corrigan, il suo alter-ego, dice “guarda, ammettilo, non c’è altra scelta” e così realizza che il punto era questo perché il potere che aveva il ragazzo era così grande che avrebbe dovuto farlo fuori e quindi fare quella scelta. E questo è il suo dilemma: dice “No, non ucciderò il bambino. Dovessi anche passare il resto dell’eternità a fermare quello che combina, lo farò. Non ucciderò il bambino.” (testuale qui).

Intervistando Neal Adams (parte 1 di 4)> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="412" width="274" alt="Intervistando Neal Adams (parte 1 di 4) >> LoSpazioBianco" class="wp-image-65797 alignright" /> Il punto è che il suo retroterra morale è basato sul concetto che egli avrebbe sacrificato qualsiasi cosa per non distruggere sé stesso e questo era il piano di questa creatura che voleva prendere il bene più grande sulla terra, che in quel momento era The Spectre, corromperlo e poi distruggere il mondo attraverso questa corruzione. Per me questo è un tipo di fumetto che merita la lettura. C’è una lezione morale e penso che da più punti di vista la lezione finale dei valori è ciò che ho datto con Batman. Sai, Batman nel tredicesimo capitolo sembra uccidere un personaggio, ma non lo fa. In realtà gli dona una nuova vita e Robin ad un certo punto dubita di lui… e Batman gli dice “solo spettacolo, ragazzo, solo spettacolo…” e ovviamente dice “te l’ho detto, non ucciderò mai nessuno. Pensi io ti dia la mia parola poi me la rimangi? Mai.” Così attraversa tutto questo processo per arrivare allo stesso punto. Buona storia, buona idea. Mi piace.

FINE PRIMA PARTE – CONTINUA

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