Illustrazione di Dave Cutler
La domanda "come sei riuscito a conoscere o a farti conoscere dalla casa editrice che ti ha pubblicato" era volta proprio a scoprire questo, a capire se davvero senza raccomandazioni nell'editoria non si arriva da nessuna parte. Le risposte ottenute hanno dimostrato nella maggioranza dei casi esattamente il contrario. Ora, non so se che un campione di otto autori possa essere valido a fini statistici, ma è comunque un buon punto di partenza, che secondo me mette in luce il fatto che, oltre a una buona dose di fortuna, ci vada soprattutto la bravura.Vediamo quindi come hanno risposto gli otto autori intervistati finora:
Marco Missiroli Avevo scritto Senza Coda, l’avevo inviato a 10 case editrici. Sergio Fanucci mi ha chiamato per primo, gli era piaciuto il romanzo a lui e al suo direttore editoriale, Luca Briasco. E a una editor speciale: Chiara Belliti. A loro devo i grazie più potenti.
Stefano Piedimonte Avevo scritto un libricino per un piccolo editore locale al quale chiesi di pubblicarlo anche in ebook. Fu quello il mio colpo di fortuna. Il libro cartaceo, nelle librerie non esisteva. L’ebook, però, arrivato secondo nella classifica di vendite di una importante libreria online venne intercettato da un agente letterario (il mio attuale agente) che stava giusto facendo scouting. Si offrì di rappresentarmi, firmammo un contratto, dopo un paio di mesi inviai all'agenzia il testo di Nel nome dello Zio. Dodici giorni dopo, il 23 dicembre, mi telefonarono dicendomi che cinque diversi editori, i più importanti d’Italia, avevano fatto delle ottime offerte per acquisire i diritti del libro e pubblicarlo. Luigi Brioschi, il direttore di Guanda, oltre ad offrire un anticipo lusinghiero inviò al mio agente una lettera che ancora oggi conservo nel mio taccuino, e di cui vado molto fiero. Ci fece capire che credeva molto in me e nel mio libro. Scegliemmo Guanda.
Marco Malvaldi Grazie ad un uso accorto della statistica, unito ad un fenomeno chiamato “colpo di culo”: ho inviato il mio primo romanzo, La briscola in cinque, ben rilegato e con tutti i dati sul frontespizio, a circa quindici case editrici. Mi ha risposto solo una. Grazie alla parte anatomica di cui si diceva sopra, è stata Sellerio: quella a cui tenevo di più, tanto che in un primo momento non glielo avevo nemmeno inviato. Mi sembrava di mirare troppo in alto.
Paolo Pasi Ho scoperto la casa editrice Spartaco qualche anno fa, alla rassegna Galassia Gutenberg di Napoli. Fui attratto subito dai loro titoli, e d’istinto parlai loro del romanzo che avevo cominciato ad abbozzare. Era appunto la storia dell’anarchico sabotatore… Tra l’altro alcuni testi pubblicati da Spartaco si sono rivelati importanti per la stesura del libro: ad esempio l’Autobiografia mai scritta di Errico Malatesta e il bellissimo romanzo La suora anarchica di Antonio Rabinad.
Fabio Bartolomei Sono riuscito a farmi scoprire nel modo più semplice: ho seguito le indicazioni del sito E\o sull'invio dei manoscritti.
Simona Baldelli Sono stata finalista al Premio Italo Calvino 2012. Ormai le case editrici, specialmente le maggiori, corteggiano moltissimo gli esordienti del PIC. Io, personalmente, a 72 ore dalla cerimonia di premiazione, avevo già ricevuto proposte editoriali da cinque case editrici.
Paolo Cognetti Io sono fortunato: pubblico con quella che, da lettore, era la mia casa editrice preferita. Mi sono formato sugli americani di minimum fax, Carver prima di tutto ma anche Moody, A.M. Homes, Charles D'Ambrosio, Peter Orner e tanti altri. A venticinque anni, quando ho avuto in mano un po' di racconti che mi sembravano buoni, sono partito per Roma e sono andato a portarglieli, approfittando di un evento pubblico. E' andata bene, un anno dopo quei racconti sono diventati il mio primo libro.
Stefania Bertola Ho avuto un andamento insolito. Per il mio primo romanzo Luna di Luxor ho usufruito di una corsia super preferenziale, perché avendo lavorato per sei anni all’Einaudi, conoscevo molte persone nell'ambito editoriale. In particolare, conoscevo il mio ex principale, Ernesto Ferrero. Ho fatto leggere il libro a lui, gli è piaciuto, lo ha dato lui a Mario Spagnol della Longanesi et voilà, fatto. Poi però ho scritto un altro libro che mi è stato rifiutato da tipo 30 case editrici. Si chiamava Ragazze Mancine, proprio come quello che sta per uscire adesso, ma in comune hanno solo un personaggio. Anzi, due personaggi.
Quindi c'è chi si è presentato dal vivo, chi ha seguito le normali regole per l'invio dei manoscritti (aspettando ovviamente i lunghi tempi delle risposte), chi è stato intercettato da agenti letterari grazie a un ebook in classifica e chi ha partecipato ai concorsi (e il premio Calvino è davvero una buona rampa di lancio, quasi tutti i finalisti arrivano a pubblicare). Poi certo c'è anche chi ha goduto di corsie preferenziali, come la Bertola, ma sono abbastanza convinta che se non ci avessero visto nulla, all'Einaudi non l'avrebbero pubblicata (anche perché il romanzo a cui fa riferimento è del 1989). La fortuna ci va, questo è indubbio. Ma dalle parole degli autori quello che emerge è soprattutto un discorso di bravura. Gli editori hanno letto il libro e hanno creduto in quel libro e in quell'autore. Credo che uno dei problemi maggiori di adesso è che ci sono davvero troppe persone che scrivono, troppe persone con un romanzo nel cassetto. E riuscire a farsi notare in mezzo a questa quantità esagerata non è sicuramente semplice. Però sono anche convinta che, se una persona è davvero brava, se davvero ha qualcosa da raccontare, prima o poi arriverà il suo momento, senza dover ricorrere a nessun triste espediente.