Stefano Piedimonte è nato a Napoli nel 1980 e lavora come giornalista, principalmente di cronaca nera, per diverse testate, tra cui Il Corriere del Mezzogiorno. Nel 2012 ha pubblicato, con la casa editrice Guanda, il suo primo romanzo, Nel nome dello zio, in cui offre un ritratto molto diverso della Camorra e dei suoi affiliati, mostrandone i momenti più comici e, soprattutto, le debolezze. Un libro che io ho amato tantissimo, per il suo modo di combattere in qualche modo il male semplicemente ridicolizzandolo.
Il 19 settembre arriverà in libreria il suo secondo romanzo, Voglio solo ammazzarti, in cui protagonista è ancora una volta lo zio.
©Giliola Chistè
Come sei arrivato alla casa editrice che ti ha pubblicato? Avevo scritto un libricino per un piccolo editore locale al quale chiesi di pubblicarlo anche in ebook. Fu quello il mio colpo di fortuna. Il libro cartaceo, nelle librerie non esisteva. L’ebook, però, arrivato secondo nella classifica di vendite di una importante libreria online venne intercettato da un agente letterario (il mio attuale agente) che stava giusto facendo scouting. Si offrì di rappresentarmi, firmammo un contratto, dopo un paio di mesi inviai all’agenzia il testo di Nel nome dello Zio. Dodici giorni dopo, il 23 dicembre, mi telefonarono dicendomi che cinque diversi editori, i più importanti d’Italia, avevano fatto delle ottime offerte per acquisire i diritti del libro e pubblicarlo. Luigi Brioschi, il direttore di Guanda, oltre ad offrire un anticipo lunsighiero inviò al mio agente una lettera che ancora oggi conservo nel mio taccuino, e di cui vado molto fiero. Ci fece capire che credeva molto in me e nel mio libro. Scegliemmo Guanda.
Qual è il tuo rapporto con i critici professionisti e con i book blog? E’ praticamente lo stesso. Le possibilità di trovare delle ottime penne sono le stesse da un lato e dall’altro. Anche quelle di trovare gente improvvisata sono le stesse da un lato e dall’altro, non si creda il contrario. I lettori capiscono bene quando il recensore scrive con cognizione di causa, che si tratti di un blog o di un grosso quotidiano.
Qual è la cosa più bella che è stata detta riguardo a un tuo romanzo? E la più brutta? Corrado Augias, bontà sua, ha detto che sono riuscito a fare in letteratura ciò che Quentin Tarantino è riuscito a fare nel cinema. Non meritavo un complimento del genere, ma uno come Augias non lo contraddirei neanche se dicesse che il mondo è piatto. Roberto Saviano, che da allora è diventato per me come un fratello, ha scritto un lungo articolo dicendo “le pagine mi hanno annodato a loro, l’ho letto voracemente”, insieme a tante altre cose belle. Gian Paolo Serino, col tono ‘rock’ che gli è proprio, scrisse che avrebbero dovuto darmi lo Strega. Il commento che mi ha lasciato più perplesso, invece, l’ha fatto un importante settimanale di cui, fra l’altro, sono un assiduo lettore. Diceva in buona sostanza che il mio libro fa sorridere, ma non è un’arma sufficiente a combattere la criminalità. Forse bisognerebbe ricordare a qualcuno che faccio lo scrittore, non il magistrato o il poliziotto. Sono due ruoli molto diversi fra loro. Quando si incrociano, o si sovrappongono, abbiamo pessimi libri e pessimi magistrati.
Io ho un’ossessione per le copertine dei libri, condizionano tanto la mia decisione di leggere o meno un’opera. Come avete scelto quelle dei tuoi libri? La copertina dell’edizione trade di Nel nome dello Zio l’ha disegnata Guido Scarabottolo. Guido è un genio, un grande artista, ed è pienamente autonomo. Certo, sono stato consultato. Il disegno mi è piaciuto fin da subito. La copertina dell’edizione tascabile è stata disegnata da uno studio grafico per l’editore Tea. Anche quella mi piace molto. Quando disegni una copertina devi capire bene a quale lettore ti stai rivolgendo.
Hai qualche mania come scrittore? Che so, riesci a scrivere solo in un posto preciso o a una particolare ora del giorno o della notte? So che questo farà di me un personaggio meno attraente, ma no, non ho alcuna mania particolare. Accendo il computer un’oretta prima, cerco di disperdere la tensione facendo un po’ di surfing sui social network, poi incomincio a scrivere. Non devo bere, né nient’altro. Devo essere lucido. Al massimo una birretta, ma capita raramente. I momenti in cui mi concentro sono senza schermi, senza tastiere né niente. Penso molto, steso sul letto o sul divano. Prendo piccoli appunti striminziti, che costituiscono grossi nuclei. Quando mi siedo al computer è come se li dissolvessi, stemperandoli nella scrittura. L’unico imperativo categorico, quando scrivo, è: nessuno deve ronzarmi intorno. Nessuno nelle immediate vicinanze. Nessuna interferenza esterna.
Cosa consiglieresti a un aspirante scrittore? Di non stare a sentire quelli che dicono ‘per pubblicare devi conoscere qualcuno’. Io non conoscevo nessuno. Tanti esordienti che pubblicano ogni anno con i grossi editori non conoscono nessuno. Meglio inviare il proprio manoscritto a un’agenzia letteraria, in modo da avere un primo filtro. Un bravo agente sa darti buoni consigli. E poi, quando un editore riceve un manoscritto da un agente che ritiene credibile, lo legge con un’attenzione diversa e più rapidamente.
Cosa pensi dell’editoria a pagamento? E dell’autopubblicazione? L’editoria a pagamento, per quel che mi riguarda è una truffa. So bene che per la legge italiana non è così, ed esprimo quindi il mio parere personale. Qualcuno può non condividerlo. Se un editore crede in un testo, investe energie e denaro per pubblicarlo e promuoverlo. Se un editore ti chiede soldi per pubblicare un libro vuol dire che non crede nel tuo romanzo o che non ha gli strumenti per promuoverlo. In entrambi i casi non ti condurrà molto lontano. L’autopubblicazione? Dipende da come ci arrivi. Anche in quel caso le possibilità di arrivare lontano sono quasi pari a zero (i casi di grossi bestseller partiti da un’autopubblicazione sono così pochi da risultare praticamente irrilevanti ai fini statistici: sono le classiche eccezioni che confermano la regola), ma può rappresentare una scelta, e va rispettata. Certo, se arrivi all’autopubblicazione dopo essere stato rifiutato da cento editori, sarebbe il caso che prima tu dessi un ulteriore sguardo al tuo manoscritto. Una volta gli editori erano dieci. Essere rifiutato da dieci editori può voler dire che stanno sbagliando. Se sono in cento, a dirti di no, è probabile che tu debba riconsiderare ciò che hai scritto.
Ebook o cartacei? (o entrambi) Li compro entrambi. Diciamo che quando c’è un bel romanzo che voglio leggere, lo compro su carta. Quando vedo super offerte su buoni titoli, compro in ebook. Sarebbe bello se gli editori dessero a chi compra un libro cartaceo un codice per scaricarne la versione ebook. Questo incentiverebbe la gente a comprare gli ereader e a leggere gli ebook. Alla fin dei conti, è della stessa opera che stiamo parlando.
Qual è il tuo romanzo preferito? Non credo possa esistere un unico romanzo preferito. Sicuramente, uno di quelli che mi hanno scosso di più, e che ritengo un capolavoro assoluto, è Le particelle elementari di Michel Houellebecq.
Un autore/autrice italiana che stimi tantissimo? Consigliaci un suo libro. Niccolò Ammaniti, Io non ho paura. Maurizio de Giovanni, I bastardi di Pizzofalcone. Teresa Ciabatti, Il mio paradiso è deserto. Marco Missiroli, Il senso dell’elefante. E poi, per la serie ‘libri che dovrebbero leggere tutti’, l’ultimo di Roberto Saviano, ZeroZeroZero. E’ uno di quei libri che ti aiutano a conoscere meglio il mondo in cui vivi. Se non lo leggi, ti sei perso una puntata . Hai letto le Cinquanta Sfumature? No.
Qual è il tuo colore preferito? Il nero. Ma che domanda è?