È uscito lo scorso 12 giugno nelle nostre sale l’ultimo capitolo dell’ormai epica saga di Star Trek, giunta alla sua dodicesima pellicola, e di cui Into Darkness rappresenta il seguito del fortunato reboot che quattro anni fa aveva riavviato la trama ripartendo dalle fondamenta della storia, facendoci così conoscere i personaggi dalle origini, comprendere come sono nati i rapporti che legano i principali membri dell’equipaggio della celebre nave spaziale Enterprise e come si sono evolute le dinamiche tipiche della fortunatissima serie TV. La regia è stata affidata anche stavolta a J.J. Abrams, che sta confermando le sue doti dietro la macchina da presa, dopo essere stato a lungo uno dei produttori/autori di maggior successo del mercato televisivo statunitense (basti pensare alla straordinaria intuizione che ha saputo cogliere in Lost). Il film è, come deve d’altronde essere, di genere fantascientifico, ma non per questo trascura la complessità dei protagonisti e l’intrecciarsi dei rapporti che con lo scorrere della pellicola si intensificano cementando quel gruppo che abbiamo imparato ad amare nella serie originale.
Gli ingredienti ci sono tutti, effetti speciali mozzafiato, un universo futuro completamente immaginato nei minimi particolari, combattimenti spettacolari, navi spaziali che viaggiano alla velocità della luce, ma al tempo stesso non mancano quel sarcasmo e quell’ironia basati sulla contrapposizione tra l’impulsivo Capitano Kirk (Chris Pine) e l’iper-razionale vulcaniano Spock (Zachary Quinto, già molto bravo nel calarsi in questo difficile personaggio nella precedente pellicola, e a mio avviso nota più positiva all’interno di un cast comunque ben scelto ed amalgamato). La trama riprende in parte la famosa pellicola Star Trek II – L’ira di Khan, seppur con particolari differenze rispetto l’originale (la principale è il sacrificio di Kirk, laddove invece nella pellicola dell’82 era stato di Spock).
Il film appare avvincente per tutta la sua durata (oltre 130 minuti), e la trama lineare e ben scritta, priva di quei flashback che a volte confondono la visione di una pellicola, e anzi capace di incollare lo spettatore alla poltrona proprio per la sua apparente semplicità e per il rispetto che sceneggiatori e regista hanno avuto nei confronti dell’originale: cosa sempre più rara oggi nella cinematografia moderna, visti i recenti reboot di Batman e Superman, tanto per citarne due, che snaturano in maniera definitiva personaggi ormai entrati nel cuore di diverse generazioni. J.J. Abrams non lo fa, decide coscientemente di utilizzare al meglio la tecnologia avanzata oggi a disposizione, ma senza farla diventare sovrastante rispetto le personalità dei personaggi e la loro storia.
Senza esagerare definisco questa una delle opere meglio riuscite del 2013, non solo nella sua categoria ma in generale. Ha tutti gli ingredienti che permettono, a quello che comunque per spese e produzione è un kolossal, di essere avvincente anche per i cinefili più preparati ed esigenti. Concludendo, invito gli appassionati a non perdere una piccola chicca, il discorso tra l’amatissimo Spock originale (Leonard Nimoy) e il suo omologo Zachary Quinto: vedere una conversazione tra i due vulcaniani con quella loro faccia volutamente inespressiva e quella loro pacatezza rende la scena surreale e al tempo stesso divertente, nonostante sia inserita in uno dei momenti di maggior tensione della pellicola.