Visto da sotto sembrava un gigante, anzi era Gulliver spaventato, ritto in un prato verde popolato da Lillipuziani in maglietta colorata e pantaloncini. Qualcuno gli intimò di fermarsi ma ormai il peggio era compiuto, le pantofole killer non avevano lasciato scampo e i due nipoti, a terra sul pavimento dell’ingresso, non sapevano quale fosse la procedura di emergenza. Il nonno era fotofobico ma non indossava mai gli occhiali perché le persone anziane sono testarde e una volta lo erano ancora di più, non seguivano i consigli di nessuno, compresi medici, mogli e figli. Passava il tempo sul terrazzo sotto il sole a curare i suoi vasi, metteva le casse del giradischi rivolte verso la finestra e trasmetteva musica folk tutto il dì. Rigorosamente esposto alla luce di intensità doppia, riflessa anche dal mare. Poi la sensibilità degli occhi aumentò tanto che al passaggio tra luoghi all’esterno e ambienti al chiuso gli calava una barriera nera sulle pupille, una sorta di cecità temporanea che con il tempo aveva prolungato a intervalli preoccupanti la capacità della vista di adattarsi all’inferiore livello di luminosità. Così il nonno, procedendo nel suo buio, non aveva notato la presenza di un telo verde sul marmo sottostante e di due ragazzini intenti a spingere a ditate omini in plastica poggiati su piattaforme basculanti verso una pallina grande poco più di una biglia, con l’intento di lanciarla verso una porta in miniatura. Il nonno mosse i suoi passi come un orco delle favole e si fermò proprio a centrocampo, solo perché allarmato dalle grida dei due ragazzini sotto che si aggrapparono alle sue gambe omicide implorando pietà. Un portiere e altri sette calciatori di entrambe le squadre giacevano già a terra in diversi punti del campo divelti dalla loro base di sopravvivenza, con le teste o le braccia o le gambe mozzate. A quel punto il nonno si rese conto del pericolo in corso e accettò la resa, la nonna corse in aiuto degli inermi omini e aiutò i nipoti ad evacuare la zona di gioco. Ecco nonno, ora puoi proseguire. Il campo venne liberato, ma la partita fu interrotta e mai più ripresa. Quel giorno, una maledetta domenica di morte, viene ricordato ancora oggi negli annali del Subbuteo come la triste ricorrenza della “strage dell’orbo”.
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