Nella settimana tra il 20 e il 28 Aprile 2013sono state organizzate le #INVASIONIDIGITALI, un progetto ideato da Fabrizio Todisco in collaborazione con la Rete di travel blogger italiani di #iofacciorete, Officina turistica, Instagramers italia e l’Associazione nazionale piccoli musei. L’iniziativa prevedeva l’organizzazione di diversi mini-eventi (invasioni) presso musei e luoghi d’arte italiani e si rivolgeva a blogger, instagramer, appassionati di fotografia e a qualsiasi persona attiva sui social media. L’obiettivo era quello di diffondere la cultura dell’utilizzo di internet e dei social media per la promozione e diffusione del nostro patrimonio culturale Ogni invasione era organizzata secondo la formula del blogtour e tutti i partecipanti potevano realizzare i loro contenuti utilizzando il tag #invasionidigitali, utilizzando Facebook, Twitter, Instagram, Pinterest & Youtube. I partecipanti agli eventi in programma erano invitati a invadere i musei con smartphone, video e fotocamere e condividere la propria esperienza sui social media, oltre a realizzare un filmato video di non più di 3 minuti dove ogni partecipante esprime il suo modo di vedere il “museo”. Tutti i contenuti video, oltre ad essere caricati sul canale youtube ufficiale del progetto, sono utilizzati per la realizzazione di un video rivolto alla promozione del nostro patrimonio artistico.
Nel MANIFESTO di #INVASIONIDIGITALI si partiva dalla considerazione che l’Italia è il primo paese al mondo per turismo e cultura, ma permane una tendenza ad una gestione conservatrice della cultura, mentre all’estero
“si è già da tempo avviato un processo di cambiamento che va di pari passo con l’evoluzione della società e quindi anche dei suoi progressi tecnologici. L’accelerazione della rivoluzione digitale può contribuire in maniera esponenziale allo svecchiamento delle istituzioni culturali e favorire una concezione “aperta e diffusa” del patrimonio culturale. Siamo ormai da anni di fronte ad un radicale cambiamento fondato, soprattutto, su quelle nuove forme di socializzazione e di interazione con la domanda, grazie alle nuove piattaforme digitali e sociali del web. Attraverso di esse, si tende ad incoraggiare la conoscenza e la partecipazione a livello educativo e creativo dell’utenza, aumentando e personalizzando l’appeal dell’offerta culturale, e ad attivare nuovi meccanismi di interazione e confronto della produzione e fruizione della proposta culturale. … Crediamo in un nuovo rapporto fra il museo e il visitatore basato sulla partecipazione di quest’ultimo alla produzione, creazione e valorizzazione della cultura. Crediamo che le piattaforme che mettono in connessione fra loro visitatori, esperti, studiosi, appassionati, che permettono all’utenza di collaborare all’offerta museale tramite contenuti personali UGC (User Generated Content), possano favorire processi co-creativi di valore culturale. Crediamo in nuove esperienze di visita dei siti culturali, non più passive, ma attive, dove la conoscenza non viene solo trasmessa ma anche costruita, dove il visitatore è coinvolto ed è in grado di produrre egli stesso forme d’arte. Crediamo che internet ed i social media siano una grande opportunità per la comunicazione culturale, un modo per coinvolgere nuovi soggetti, abbattere ogni tipo di barriere, e favorire ulteriormente la creazione, la condivisione, la diffusione e valorizzazione del nostro patrimonio artistico. Crediamo che Internet sia in grado di innescare nuove modalità di gestione, conservazione, tutela, comunicazione e valorizzazione delle nostre risorse. Contribuisci anche tu a Liberare la cultura, aderisci al manifesto e partecipa alle invasioni digitali.”
Una serie di osservazioni quasi in poesia di Giancarlo Dall’Ara,”Qui non si possono fare foto”, esprimono molto bene qual è la situazione di molti musei italiani.
“C’è bisogno di un nuovo modello di gestione dei musei.
Devo riconoscere, a malincuore, che ancora una parte dei musei italiani si riconosce
in un modello gestionale che si potrebbe definire il modello del NO:
Non toccare,
Non fare fotografie,
Non parlare,
Non entrare col passeggino,
Non sedersi,
Non portare l’ombrello,
Non entrare con lo zainetto,
Non disturbare,
Non calpestare…
Ma anche:
Riservato a …,
Entrare uno alla volta…,
Entrare solo se …,
Vietato a…
Certo qualche “no” è necessario, anche se va ricordato che ci sono molti altri modi più gentili ed efficaci per gestire informazioni e divieti; ma non entro nel merito e mi limito a constatare che i risultati di questo modello sono sotto gli occhi di tutti: i musei sono poco accoglienti, e più di qualcuno è a rischio chiusura, visto il modestissimo numero dei visitatori.”
Nel suo articolo “I musei nell’era di Facebook e Twitter: istruzioni per l’uso” di Caterina Pisu l’autrice
“il museo è sempre stato lo specchio della società nel tempo; un museo ottocentesco non è più in grado di rappresentare le comunità dei nostri giorni. Ed essendo, la nostra, l’epoca della comunicazione globale, dovrebbe essere del tutto naturale, direi fisiologico, che i musei sentano la necessità di una maggiore interazione e capacità di dialogo con i visitatori e le comunità di riferimento.”
La Pisu, però, non ha un’acritica ammirazione per le capacità salvifiche del web:
“Il bisogno di rinnovamento, quindi, è giustificato ed è realmente urgente trovare nuovi modelli di fruizione per salvare le tradizioni culturali, senza “mummificare” le nostre istituzioni museali ma anche senza sconvolgerne la naturale vocazione. Si è riconosciuta nella “rivoluzione del web 2.0” una delle “ciambelle di salvataggio” che potranno modernizzare rapidamente i musei, ma è necessario comprendere attraverso quali modalità ciò potrà avvenire. Il web 2.0 può essere anche un ambiente insidioso perché alla sua capacità di coinvolgere milioni di persone e di rendere la ricerca delle informazioni del tutto nuova rispetto a decenni fa (grazie alla possibilità di accedere simultaneamente a un gran numero di fonti, all’interscambio di dati e di contenuti, all’utilizzo degli strumenti del project management 2.0), si accompagna, simultaneamente, il rischio di autoreferenzialità o peggio di “protagonismo”, o ancora il pericolo di restare affascinati da «strategie persuasive» prodotte dall’informazione che fa «rumore».”
Infatti la Pisu osserva:
“L’autoreferenzialità è un pericolo costante e può avere come conseguenza la diffusione di contenuti non corretti, ma ugualmente convalidati dall’approvazione del popolo del web. L’istituzione museale può svolgere senza dubbio un ruolo importante nella verifica dei contenuti, tanto più efficace quanto più è consolidata la sua autorevolezza negli specifici settori di specializzazione. Questo ruolo del museo non è inconciliabile con il sistema di relazioni che questo intreccia con il proprio contesto di riferimento, tenendo conto, appunto, dell’importanza sempre crescente che ha assunto il visitatore del museo nella creazione e diffusione di contributi “dal basso” che lo hanno reso «protagonista attivo e partecipe ai processi di valorizzazione del museo, finanche nella fase della loro progettazione.” E inoltre: “Questa operazione, così come altre legate alla comunicazione museale, non può svolgersi in modo “astratto” ma necessita di figure professionali specifiche che sono, appunto, i comunicatori museali, e che riassumono, innanzitutto, quelle che sono le competenze proprie di un esperto di comunicazione, ma non solo. Altrettanta importanza è data, per esempio, alla conoscenza delle dinamiche turistiche. Ma dal punto di vista della formazione, c’è ancora una separazione tra le scienze del museo e gli «insegnamenti relativi al turismo ed ai cambiamenti in atto nel settore, in cui è facilmente collocabile anche una ridefinizione del ruolo e delle funzione del museo stesso. Rispetto alla tradizionale idea di “luogo di conservazione” ci si sta avvicinando a quella di “strumento di comunicazione”, rivolto ad un pubblico di soggetti sempre più ampio». Il cambiamento dovrà partire, dunque, anche da una riprogettazione della formazione universitaria.”
Infine la Pisu mette il dito sulla piaga delle proibizioni, in particolare su quella, che trovo assolutamente odiosa perché arbitraria e insulsa, di fare fotografie.
“Se alcuni musei consentono lo scatto di fotografie e non sono stati riscontrati problemi per la regolare fruizione della visita, non si vedono ragioni perché il consenso non possa essere esteso a tutti. La stessa crescente diffusione di smartphone, tablet e macchine fotografiche digitali, sono un invito a fotografare e condividere le immagini; continuare a imporre divieti che potevano forse ancora essere accettati dieci anni fa, è anacronistico e autolesionistico per i nostri musei. L’impulso al cambiamento dovrà arrivare ancora una volta dal mondo del web, come ha dimostrato il fenomeno #invasioni digitali.”
Da quel che ho visto fu Facebook, per il momento non ci sono foto dei musei, ma foto dei gitanti al museo, spero che poi vengano anche postate foto dei musei e dei loro contenuti anche su FB, magari con osservazioni che non siano proprio solo da gita scolastica. Come osserva Pisu, il web non è la panacea di tutti i mali e l’impulso dal basso non può schiacciare il valore dei contenuti.
Nei prossimi post, descriverò alcune esperienze personale fatte in vari musei. Se qualcuno ha esperienze da condividere, ben venga!