Giuseppe De Nittis, Effetto neve
L'esempio più antico di descrizione della gente nella neve che vi propongo è tratto dal Ciclo dei Mesi del Castello del Buonconsiglio di Trento (nella Torre Aquila), una serie di affreschi attribuiti al maestro boemo Venceslao, che li avrebbe realizzati sul finire del XIV secolo. Nella variopinta scena di Gennaio, ambientata nei pressi del castello stesso, si possono notare nove figure, due delle quali, in secondo piano sulla destra, dedite alla caccia con i cani; ma i personaggi più significativi sono quelli più vicini, uomini e donne di alto lignaggio che si divertono a tirarsi palle di neve in una giornata assolata: essi sono descritti mentre colgono la neve, come la ragazza chinata sulla sinistra, che sta forse per essere aggredita dal lancio del suo dirimpettaio o mentre attaccano o si difendono, come sembra fare il personaggio semi-cancellato a destra.Venceslao (?), Ciclo dei mesi - Gennaio, 1397 ca.
Di nuovo i cacciatori compaiono nelle tele di Pieter Buregel il Vecchio, con i Cacciatori nella neve (1565) che, con la loro muta di cani, si avvicinano all'abitato sul laghetto ghiacciato e gremito di pattinatori e, tre secoli più tardi, del pittore realista Gustave Courbet, che dipinge due versioni dei Bracconieri nella neve, riproducendo lo schema iconografico dell'uomo che segue il cane in caccia e di quello che gli sta dietro, spronando l'animale riottoso.
Pieter Buregel il Vecchio, Cacciatori nella neve (1565)
Gustave Courbet, Bracconieri nella neve (1864)
Ha un fucile e un cane, ma non è probabilmente un cacciatore, vista la presenza delle altre figure, che sembrano semmai membri di una famiglia spaurita che si porta dietro, in groppa al cavallo, l'unica fonte di sostentamento rimasta, l'uomo che occupa l'estremità sinistra della Tempesta di neve dipinta da Francisco Goya nel 1786 e conservata al Prado; il dipinto è lo studio preparatorio di un ciclo destinato ad ornare il palazzo dei sovrani spagnoli e aveva forse lo scopo di ricordare ai governanti come, di contro alla loro vita agiata e tranquilla, la gente comune fosse continuamente esposta a pericoli e stenti.
Francisco Goya, La tempesta di neve (1786)
La tempesta, del resto, è una delle manifestazioni di tormento per eccellenza e il grande artista della natura in burrasca, William Turner, non manca di descriverne gli effetti sugli uomini, dedicando al tema due declinazioni: Il passaggio del Moncenisio e Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi (1812). La cornice geografica delle due opere è la stessa, ma diversi sono in contesti storici, più moderno quello della prima tela, antico quello della seconda, certamente più nota, raffigurante l'impresa del condottiero cartaginese che, tanto impetuoso da tentare il superamento del limite naturale per eccellenza, è qui vittima di un attacco stesso della Natura. Schiacciando gli esseri umani nella parte inferiore del dipinto, Turner li riduce a dimensioni piccolissime dedicando la gran parte dell'opera al rivolgimento delle correnti, che si inarcano orribilmente addosso al sole, sottolineando così il senso di impotenza dell'umanità di fronte al potere delle forze meteorologiche, da sempre grandi protagoniste della sua pittura.
William Turner, Il passaggio del Moncenisio
William Turner, Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi (1812)
Ben diversi sono gli attraversamenti di lande innevate da parte del Ragazzo con la slitta di Franz Marc (1902) e della donna che Giovanni Segantini rende protagonista di Ritorno dal bosco (1890); entrambi i soggetti provengono dall'angolo destro della tela e si dirigono verso la loro meta, che per il giovane è una casa isolata nella pianura ghiacciata, per la donna il borgo di Savognino, ma è ovvio che, se il primo personaggio proviene da un momento spensierato di gioco che tristemente volge al termine col sopraggiungere della sera, la seconda figura ha alle spalle una faticosa giornata passata alla ricerca di legno per scaldarsi e non può che avviarsi con speranza alla rasserenante prospettiva della casa riscaldata dal suo sacrificio.
Franz Marc, Ragazzo con la slitta (1902)
Giovanni Segantini, Ritorno dal bosco (1890)
La stessa durezza si legge nei dipinti dedicati da Vincent Van Gogh ai contadini che nella neve lavorano ancor più duramente di quanto non facciano di solito. Anche nei Portatori di arbusti nella neve o in Donne che portano sacchi di carbone, come nella più nota coeva tela dei Mangiatori di patate, emerge la profonda sympàtheia dell'artista nei confronti di questa classe disagiata, della quale condivide l'infelicità e la sofferenza. Più tardo è Donne che zappano le zolle innevate (1890), in cui sono ormai abbandonati la pittura piana e l'uso realistico del colore in favore delle svirgolettate, dei cieli raggianti e di una liberta cromatica che fa spiccare le due figure di un blu intenso nel campo mezzo bianco e mezzo verde.Vincent Van Gogh, Portatori di arbusti nella neve (1882)
Vincent Van Gogh, Donne che portano sacchi di carbone (1884)
Vincent Van Gogh, Donne che zappano le zolle innevate (1890)
Più intenso nei colori e nel tratto, ma non meno nella resa della fatica è il dipinto dedicato da Evdard Munch agli Stradini nella neve (1920), che possiamo immaginare nella fredda Oslo come macchie luminose nella neve bianca che spalano e al contempo cercano di riscaldarsi in vicinanza del braciere. E nella stessa condizione di freddo, ma in una lunga e snervante attesa di partire sono sprofondati i soldati che Luigi Loir ammassa davanti ai binari in Prima dell'imbarco (1893).Evdard Munch, Stradini nella neve (1920)
Luigi Loir, Prima dell'imbarco (1893)
Ma la neve, malgrado tutto, può essere, per qualcuno, in qualche momento anche sinonimo di divertimento, come per le giocose figure tridentine: è in questa prospettiva di serenità e gaiezza che si collocano le descrizioni delle figure a passeggio proposte dallo stesso Loir in Nella neve, da Utagawa Hirosige nel suo Villaggio nella neve (1833), dove la pulizia delle linee dell'arte Ukiyo-e riproduce il senso di quiete e silenzio della nevicata mentre le tre figure colorate in primo piano si avviano verso i loro ripari e nelle quiete passeggiate proposte da Giuseppe De Nittis, Edvard Munch e Gustave Fischer, in cui dominano le figure femminili, cui l'inverno dà l'occasione di esibire abiti, giacche e cappelli (da Munch messi addirittura in primissimo piano, come se dovessero entrare necessariamente in un dipinto sostanzialmente paesaggistico); da notare come De Nittis, in Paesaggio invernale, accompagni alla protagonista un cagnolino, l'animale più presente in queste rappresentazioni di gente nella neve, a simboleggiare la quotidianità dei soggetti e, talvolta, il senso di sicurezza che sovente si lega all'immaginario di questo animale (ciò che in poesia Giovanni Pascoli evidenzia in Nebbia).
Luigi Loir, Nella neve
Utagawa Hiroshige, Villaggio nella neve (1833)
Giuseppe De Nittis, Paesaggio invernale
Evdard Munch, Tempo di neve nel viale (1906)
Paul Gustave Fischer, Frederiksberg Rundel (1908)
Ma la rappresentazione più gioiosa e degna non solo di chiudere il cerchio aperto dal Gennaio di Venceslao, ma anche di prendere congedo da voi compagni di questa passeggiata invernale, è Inverno di Vasilij Kandinskij, opera di inizio novecento e preastrattista in cui la vivacità del colore si fa espressione di un'esplosione di gaiezza rotante in una pattinata danzante attorno alla casa gialla in lontananza, che, col suo forte colore, simboleggia energia e vitalismo.
Vasilij Kansindkij, Inverno (1906)
Spero che abbiate gradito la rassegna e vi ringrazio di averla seguita fin qui: ovviamente se conoscete altre opere afferenti al tema dell'inverno, sarò lieta di andarle ad esplorare con la vostra guida!
C.M.