Ho scoperto questa poesia guardando Invictus, un film allo stesso tempo strano e bello su Nelson Mandela.
Invictus
Out of the night that covers me,
Black as the pit from pole to pole,
I thank whatever gods may be
For my unconquerable soul.
In the fell clutch of circumstance
I have not winced nor cried aloud.
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.
Beyond this place of wrath and tears
Looms but the Horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds and shall find me unafraid.
It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll,
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.
***
Dal profondo della notte che mi avvolge,
Buia come un pozzo che va da un polo all’altro,
Ringrazio qualunque dio esista
Per l’indomabile anima mia.
Nella feroce stretta delle circostanze
Non mi sono tirato indietro né ho pianto forte.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
Il mio capo è sanguinante, ma indomito.
Oltre questo luogo d’ira e di lacrime
Si profila il solo Orrore delle ombre,
E ancora la minaccia degli anni
Mi trova e mi troverà senza paura.
Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.
***
Figlio di William Henley, di professione libraio, e di Mary Morgan, discendente del critico e poeta Joseph Warton, William Ernest Henley era il maggiore di sei fratelli.
Allievo della Crypt Grammar School nel periodo 1861-1867, venne profondamente influenzato dalla personalità di Thomas Edward Brown, nel breve periodo (1857-1863) in cui questo fu preside della scuola. Henley lo definì “man of genius – the first I’d ever seen”.
Fu l’inizio di una lunga amicizia e Henley scrisse in seguito un memoriale in cui era evidente l’ammirazione per Brown, su New Review(dicembre 1897).All’età di 12 anni Henley si ammalò gravemente di tubercolosi. Quando la TBC colpisce in giovane età i batteri responsabili possono migrare e colpire anche altri organi come nel morbo di Pott che colpisce le ossa. Nel caso di Henley fu necessaria l’amputazione della parte inferiore della gamba sinistra per permettergli di sopravvivere (nel 1865 o qualche anno dopo, forse nel 1868-1869).
Il suo amico Robert Louis Stevenson creò la figura del pirata Long John Silver ne L’isola del tesoro basandosi sulla figura di Henley: il figlioccio di Stevenson, Lloyd Osbourne, avvalorò la cosa, dicendo che Henley si presentava come “un grosso, sanguigno individuo dalle spalle larghe con una gran barba rossa e una stampella; gioviale, sorprendentemente arguto, e con una risata che scrosciava come musica; aveva una vitalità e una passione inimmaginabili; era assolutamente travolgente”.
La malattia non gli diede tregua per l’intera esistenza, ma Henley era dotato di una forza d’animo fuori dal comune: si diplomò nel 1867 e si trasferì a Londra per iniziare la professione di giornalista. Nei successivi 8 anni venne spesso ricoverato per lunghi periodi in ospedale, in quanto anche il piede destro era a rischio di amputazione. Henley si oppose alla seconda operazione e accettò di diventare paziente di Joseph Lister (1827-1912), uno dei pionieri della chirurgia, al The Royal Infirmary di Edimburgo.
Dopo tre anni passati in ospedale (1873-1875) venne dimesso e, sebbene la cura di Lister non fosse del tutto riuscita, questa gli permise di vivere in modo autonomo per 30 anni.Nel 1875, mentre si trovava in ospedale, scrisse la sua poesia più celebre, Invictus, dedicata a R. T. Hamilton Bruce (1846-1899).
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