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Invisibili agli occhi

Creato il 31 agosto 2012 da Dbellucci

Quando scoprimmo che la chiesa di Sant’Anna esiste davvero, capimmo che si trattava del luogo giusto. C’è anche una chiesa più grande, in basso, dai tratti gotici color della roccia. Si chiama chiesa del Redentore. Alza il suo campanile di fronte ad una piazzola, circondata da case dove il bianco è sempre presente. Sono case belle e minuscole, bordate con cura a tinte vivaci. Alcune, sullo stipite, portano anche la data: ne abbiamo viste del ’700.

Dalla chiesa del Redentore vedi tutta la strada, rattoppata da grossi blocchi ben levigati, e il marciapiede è alto mezzo metro, tanto che se ti distrai ti spezzi una caviglia. La strada arriva più in basso, fino ad un torrente che sembra anche pulito, nonostante il nome. Si chiama Rio Preto, che vuol dire fiume nero. Lo abbiamo letto subito, sulla targhetta blu mitragliata dai sassi. Qui non sono passate le nostre guerre, ne sono arrivate altre, quelle che non ricordiamo.

Nel Rio Preto, che attraversa il paese, i bambini si buttano scalzi e raccolgono girini. Io e te, per inerzia, ignoriamo anche la sorgente del fiume, oltre che le guerre. Gli amici ci parlano d’una pozza scura, una ventina di chilometri dopo la curva che cinge il massiccio della Serra. È verso l’alto, sulla montagna. Manuèl, che passa col carretto e il bidone del latte, ha detto che un giorno ci porta e quel giorno darà biada doppia al suo cavallo.

Al mattino le pozzanghere ai lati del fiume, poco profonde e limacciose, si riempiono di girini. Sono fiori nerastri, lucidi, chicchi della nostra uva che spacchiamo per farne del buon vino. I bambini saltellano e lanciano pietre, li schiacciano, li pestano urlando. Tu ti affacci a guardare colmandoti di serenità. Io spesso mi ritrovo ispirato, inconsapevole, dallo sbudellamento dei girini.

Nei mesi di settembre e ottobre svolazzano le cicale. Sono esseri mitologici per la loro bruttezza, ciechi e imbranati, dalla corazza grassa e opaca. Sembrano streghe con ali da mosca. Attraversano gracchiando lo spazio libero oltre le nostre teste, mentre noi sudiamo agghiacciati. Poi ripenso ai ragazzini che legano ad uno spago la cicala e la portano a passeggio, tanto cicciona da far ombra; loro fanno questo, scalzi e col mare negli occhi, ed io non dormo che con una fitta zanzariera, terrorizzato al contatto con quegli spettri.

Sul Rio Preto, che si guada a piedi nella stagione secca, passano quattro ponti, il principale dei quali guarda in faccia la chiesa del Redentore. Se la cosa fa piacere, si può scendere al fiume con facilità. Dalla strada le scalette di cemento ti portano sin sull’acqua, e di notte sono sempre piene di ragazzi e ragazze, vicini che non li distingui, sotto le luci dei lampioncini. Tu passeggi raccontandomi Galeano, e i lampioncini gialli fendono l’acqua rigandola da un lato all’altro.

Ci sono muretti e sui muretti cocci di bottiglie e sopra i cocci le calze ad asciugare. I ragazzini lustrano le scarpe tra bancarelle da frutta coi teloni verdi, alterna malinconia, maracuja glabro che strappa i denti, avocado dalla pelle di burro, arance, tante da farne una storia, mamao impilati a piramide, acerola aspra e libera per riempire le caraffe col sapore della nostra terra, frutti corposi che sembrano stelle, le mele neonate in eterno fra quelle grandi del caju con la sua virgola di legno, ben salata. Accanto al telo verde mi parlano spesso due cartomanti che masticano foglie, le pozzanghere belle s’incartocciano e gli avvoltoi badano tanto alle palme quanto ai tornei di calcio. Allora senz’altro la noia è più che universale, ci racconta vangeli invisibili agli occhi.



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