Magazine Cinema
8.5 su 10
La storia di Jafar Panahi è diventata espressione internazionale di ingiustizia e mancanza di democrazia dell'Iran, dopo la virata fondamentalista degli ultimi anni. La sua impossibilità nel partecipare al Festival di Berlino come giurato, la sua condanna a sei anni di reclusione e ad un periodo lunghissimo di inattività, è l'emblema di una Paese che vede nella "non-conformità" al regime un motivo di esclusione, di boicottaggio, di punzione, di violenza. In maniera diversa da "Il cerchio", che ha avuto una diffusione nel nostro paese, "Offside" non ha visto la luce delle sale italiane. Film del 2006, ancora durante il primo mandato di Ahmadinejad, è un'opera che gioca sui contrasti sapienti, carica di una vitalità che quasi la fa paragonare ad una commedia, con un soggetto leggero, che maschera le problematiche profonde sapientemente messe sullo schermo dal registe. "Offside" è un'evidente dissertazione sulla mancanza di democrazia di un paese, ma è anche un film carico, fino all'ultimo, quasi fosse un sogno ad occhi aperti, di speranza, in cui la brutalità viene sostituita dall'innocenza, dalla complessità delle personalità, dal buon carattere, dal confronto. A fare di "Offside" un gran film è il suo sapore, la sua arguzia, la sua intelligenza, la sua semplicità. Si parte da una ragazza che, sotto mentite spoglie, cerca di entrare nello stadio dove si disputa la partita di qualificazione del paese ai Mondiali in Germania 2006. Il suo sguardo inquieto e impaurito non è l'unico, e a lei si aggiungono altri visi, mentre altri riescono a confondersi tra la folla abnorme nello stadio. Alle donne è infatti severamente vietato l'ingresso all'interno del comprensorio sportivo, per motivi quali la bestialità delle parole dei corrispettivi maschi e il loro eccesso di zelo comportamentale. Il film è una girandola geniale legata all'unico "non-luogo" del film, un piccolo "recinto" delimitato da transenne posto sopra allo stadio, nella parte esterna, in cui le donne sorprese durante la perquisizione, sono condotte, in attesa di passare dalle mani dell'esercito alla buoncostume. Ed è nel "Non-luogo" che veniamo a conoscenza delle particolarità dei personaggi, rappresentati con tocco umano e di modernità, oltre che di gioia vitale, incredibili e ribelli, considerando l'immagine che ci viene offerta spesso dal paese. Panahi crede che il suo popolo sia pronto al cambiamento, al dialogo, al venirsi incontro e piuttosto che ai singoli attribuisce la responsabilità della "Non-democrazia" a chi si chiude a riccio nei palazzi, a chi esercita una forma di potere ricattatorio su qualsiasi forma di petere ad esso soggetto, anche quello militare. Panahi salva, senza "se e senza ma", tutti i personaggi della scena, li considera come "erba" di una rivoluzione verde possibile e guarda lontano, ad avvenimenti molto più tardi storici e tragici. Ma il suo film, tra neorealismo e indiscussa bravura attoriale, non può che essere un sogno, come nel finale, mentre l'Iran sceglie strade diverse, non si sa con quanta cognizione di causa. Come altri paese che si dicono, beffa ultima, democratici.
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