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Io a Annie

Creato il 01 luglio 2015 da Jeanjacques
Io a Annie
Ultimamente la mia vita, e con essa le sue certezze, stanno ricevendo molti scossoni. Mentre sto scrivendo ho compiuto venticinque anni da poco più di un mese ed ho finito per addentrarmi in quell'età che non ti fa ancora essere adulto ma, con malevola ironia, ti fa capire che è tempo di smetterla con le cazzate. E' quell'età che, credo, ti faccia stare in un limbo (lo stadio spirituale, non la danza), perché è finita col diventare, specie coi tempi difficili che corrono, come un accentuarsi esagerato dell'adolescenza. Quando mi assalgono queste domande chiedo sempre aiuto ed ispirazione al mio poeta vate, Woody Allen, regista fattomi scoprire in prima superiore da un professore per puro caso e che ho cominciato ad amare in pochissimo tempo. Quanto poi penso all'amore, oltre al bellissimo Se mi lasci ti cancello, la memoria mi va anche a questa pellicola. Una pellicola che comprai direttamente in dvd quando, negli ormai lontani primi anni del Duemila, era uscita in edicola una rassegna bisettimanale di questo strambo autore. E questo risultava essere il suo film capolavoro, tanto da essere stato onorato con quel premio altamente ignorabile che è l'Oscar. Capite quindi la superba emozione di poter vedere quello che era considerato il capolavoro del mio beniamino.

L'attore comico Alvy Singer ha modo di conoscere la bella Annie Hall. Dopo quasi un anno di relazione, il loro rapporto si deteriora, e il comico si mette a raccontare l'ordinaria ma straordinaria storia del loro rapporto.

Devo ammettere che la prima volta che vidi questo film non mi piacque. Avevo quattordici (o forse quindici?) anni, non ero mai stato fidanzato e stavo attraversando uno dei periodi più bui della mia esistenza. Tanto buio che mi aveva costretto a saltare un anno di scuola. Una creatura inesperta che si trovava fra le mani materiale troppo grosso per la sua testa e che, comprensibilmente, aveva finito per non capirlo, parlando a sproposito. Però in giro c'erano tutte quelle recensioni positive, fior fior di critici lo adoravano... avrà pur voluto dire qualcosa. E poi c'era una strano fascino perverso che si nascondeva quatto quatto sotto ogni fotogramma, tanto da spingermi a rivederlo più volte, sempre senza capirlo. Per arrivare a comprendere la grandezza del film ci volle qualcosa di molto semplice e naturale: il tempo. Accadde che crebbi, uscii dal periodo e, in una maniera del tutto anomala (perché ricordate, la mia è stata una vita molto particolare) arrivai a scoprire le ragazze. E fu solo dopo aver passato sulla mia pelle diverse esperienze che, a diciotto anni, mi sedetti sul divano del salotto di casa mia e decisi di rivedere, più attentamente e senza il fastidioso ricordo di quella prima volta, il film. E lo trovai magnifico. Non il mio film di Allen preferito, quello è Harry a pezzi (ai primi posti della mia top10). Un film semplice ma che però, alla fine riesce a parlare di tutto. Un film che ha volutamente una storia molto labile (alla fine è veramente il protagonista che parla della sua vita amorosa, né più né meno) perché ad Allen non importa di raccontare una storia precisa. Vuole raccontare tutte le storie del mondo, partendo da quella che lui ha in mente. Ed  è così che Alvy (come al solito, Allen mette sempre se stesso nei suoi personaggi) e Annie si muovono sullo schermo, mostrando la nascita, l'evoluzione e la distruzione del loro rapporto. Tutto questo in mezzo alle solite, formidabili gag dell'Allen più ispirato ma anche, cosa che rende questo film più particolare degli altri, dalla regia più studiata e sperimentatrice, quella che si concede addirittura uno split screen in una delle sequenza che pre-annunciano l'inizio della fine, a quella che presenta dei sottotitoli per far comprendere i reali pensieri dei personaggi fino alla rappresentazione cartoonizzata degli stessi. E poi tutti che si rivolgono allo schermo, come se volessero parlare e interagire con gli spettatori, perché alla fino fra loro ed essi non c'è molta differenza, Tutto quello sta nella testa di Allen ma serve per raccontare quello che ci succede nel quotidiano vissuto. Non tutti avremmo avuto l'intelligenza e l'acume dell'ebreo più antisemita di Hollywood, così come non saremmo mai vissuti sotto le montagne russe o non avremmo trascorso metà della nostra vita in analisi. Però tutti noi, almeno una volta, abbiamo amato. Questo è indubbio. Ma alla fine cos'è, questo fantomatico amore? A vedere il film, qualcosa che nasce, si evolve e, alla fine, scompare. Ma io penso che anche all'amore possa essere impiegata uno dei principi della fisica: nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Perché se si ha amato veramente una persona, quell'amore, quello che si è provato verso di essa, anche quando un'eventuale relazione ha modo di finire non terminerà mai. Si trasformerò in qualcos'altro, però resta sottopelle. Appena percettibile. Così poco, magari, da risultare invisibile. Ma c'è. E forse è il sapere quello che potrebbe mettere fine a tutto l'affannarsi delle nostre vite. Perché tutti noi siamo alla ricerca di un miracolo, di incontrare delle persone che sappiano crearne uno, quando innamorarsi è già di per sé un miracolo. Allen prova a dirci questo alla sua maniera, con qualche sfottò e delle scene anche abbastanza dissacranti, ma conclude tutto dandoci il suo meglio. Con un finale che forse, a conti fatti, riesce a spiegare tutto. Con la sua solita ironia, che rende tutto più leggero. Anche la vita. E l'amore, soprattutto.

Credo che solo una persona che in vita sua abbia amato veramente possa aver creato un'opera simile. E mi viene sempre da sorridere nel pensare al me quattordicenne (o quindicenne?) che non la capiva...Voto: 

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