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Nei fatti, la pellicola è la storia dell'ultimo periodo del compositore, interpretato da Ed Harris, una corsa al momento della morte, con la nona sinfonia da ultimare e presentare al pubblico e gli ultimi quartetti da realizzare. Niente può illuminare uno squarcio di impoverimento umano meglio di uno sguardo "altro", quello di una ragazza, Anna Holtz (Diane Kruger), aspirante compositrice, che gli fa da copista ma è divisa tra l'aspirazione del padre che la vorrebbe suora e perciò la mette sotto la protezione di Madre Canisius (Phyllida Law) e l'amore per l'ingegnere Martin Bauer (letteralmente: "costruttore", operaio, interpretato da Matthew Goode). Anna Holtz non cerca la fama personale, né l'ispirazione, ma si avvicina al genio nel tentativo di carpirne lo spirito, solo che il genio è inafferrabile, le scivola via, perché un artista è colui che ha imparato ad avere fiducia in se stesso.
Beethoven è sordo di una sordità, di un'indisponibilità all'altro, che si fa metaforica, radicale e, da un punto di vista drammaturgico, a dire il vero anche piuttosto facile. C'è anche di più, però, ed è il tentativo di sublimare questa sua astratta intangibilità: Beethoven non è solo il megalomane che se la intende con Dio, colui al quale Dio stesso griderebbe, è anche l'uomo la cui religione è il silenzio, l'uomo che rinuncia alla tonalità nel momento in cui deve esprimere un inno di ringraziamento per il potere che gli è stato dato, nonostante l'offesa di un Dio che non gli consente di godersi la musica pur avendogli riempito la testa di suoni. L'artista dichiara palesemente non padroneggiare i suoni al punto da esserne il maieuta: il suo tentativo di trasformare il nipote dandy Karl (Joe Anderson) in un musicista fallisce, perché la musica attraversa il genio se ne impossessa, ma non è Beethoven il destinatario, bensì le persone capaci di sentirla, siano esse sorde o meno... o, a qualsiasi titolo, incapaci di agire.
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