UN PO’ COME QUANDO TI SEI RIMESSA CON L’EX: NON SEI PIÙ SOLA, MA SEI LUNGI DAL CHIAMARLO AMORE
Ho seri problemi di relazione con la domenica sera.
Attendo il weekend con la consueta euforia mista a impazienza che caratterizza ogni madre. Sì, lo ammetto, sono una mamma a tempo quasi pieno il che equivale, per le meno informate, a non godere di reale distinzione tra giorni feriali e giorni festivi. Eppure, credetemi, il venerdì ore diciotto è il suggellare del mio amore coniugale.
Non per improbabili uscite di coppia, non per quel vis-à-vis che si vede nei film (e che tutte ricordiamo nelle buone intenzioni pre-maternage), non per un cinema una cena un minuto una fuga. Ma semplicemente per la vecchia, tradizionale, epocale teoria dello scarica-barili: finalmente non sei più sola.
Un figlio si sgola dal cesso? Mathias, via tu.
Un altro si sveglia all’alba? Mathias, ti chiama.
Vogliono giocare? Sì, dai che c’è papà.
Un lavoretto creativo? È ingegnere e amante del bricolage. Non molto creativo nel senso artistico del termine, ma più disposto della sottoscritta a ridisegnare la fisionomia della cucina, luogo cult dei lavoretti.
Leopardiana nell’indole, del tipo “Sabato del villaggio”, amo infinitamente quel trancio di tempo che va dalle suddette ore 18 del venerdì (anche se mio marito non rincasa prima delle 18.40), nella tiepida attesa del sollievo prossimo a venire, fino a diciamo la sera del sabato. Sabato bistrattato poi nel reale tra spesa e faccende di casa, ma comunque sia pregno di promesse e buone intenzioni.
Una prima, debole tendenza all’ammoscio inizia a palesarsi però già la domenica mattina, al suono intimidatorio di campane spacca sonno (per non dire altro) di una chiesa troppo vicina e soprattutto poco conforme alle necessità genitoriali di riposo (dove anche prole concedesse uno strappo alle abituali sette del mattino… ci pensa fra martino). Nel dormiveglia confuso normalmente mi sorprendo a chiedermi con ansia crescente: “Oddio, che giorno è? No, non è lunedì, però neanche sabato”, e realizzare che è domenica con un sentimento misto tra il sollievo e la rassegnazione. Un po’ come quando ti sei rimessa con l’ex: non sei più sola, ma sei lungi dal chiamarlo amore.
E dire che spesa e pulizie sono sbrigate: non ti resta che gioire.
Ti inventi la torta della domenica, ti chiudi a scrivere in cucina contornata da 3 su 4 degli altri componenti della famiglia (mentre la n.4 è a letto per il pisolino), acconsenti al classico giretto del giorno festivo, raccatti due foglie in autunno, due sassetti in inverno, cazzeggi alla tv.
E arrivi alle 18. L’ora X.
Non so perché, ma, a meno che lunedì sia spudoratamente festivo, ho profondi problemi di relazione con la domenica sera. Troppo presto per cedere allo stato vegetativo. Troppo tardi per darsi una sferzata che ti porti, chessò, sulla provinciale a riprogettare l’arredamento di casa in qualche grande centro del mobile, o ad ammazzarti all’Ikea, o anche solo inseguire due minuscole commissioni nelle botteghe del circondario inesorabilmente chiuse. Troppo triste per abbandonarsi ai sogni, troppo giovane per consegnarsi alla rassegnazione del lunedì.
Stai lì a rimuginare gli ultimi sussulti del pranzo e, semmai, della merenda, fai le chiamate previste dal palinsesto parentale del fine settimana, lavi i bambini, e in quel profumo di Baby Johnsons’ rincorri l’eco felice dell’ennesimo weekend destinato all’estinzione, lo carezzi chiudendolo stretto come un tesoro, e infine soccombi del tutto all’evidenza di questi scampoli domenicali: sei riuscita di nuovo a non fartene niente.
Anche sta volta sei sprofondata in poltrona, una pasta bianca sul fuoco, i bambini alla tv.