Io e il tricolore

Da Bibolotty

(il nostro è) un popolo di santi, poeti, navigatori, nipoti e cognati. (Ennio Flaiano)

A parte una maestra che tutte le mattine ci faceva cantare l’inno di Mameli e che poi ci bacchettava sulle mani come si usava durante il ventennio, non sono stata allevata con il culto della nazione e nemmeno allo spirito nazional popolare.
I miei genitori, disprezzando i programmi TV domenicali del "Pippo nazionale" mi mettevano in mano un buon libro. Mio padre non si è mai sognato di portarmi sulle spalle alla parata del 2 Giugno, in visita al monumento del Milite ignoto o al cambio della guardia al Quirinale in compenso, mi educava alla cultura recitando Pascoli, Manzoni, Ungaretti e Montale, mi prendeva per mano e mi mostrava dipinti di Donatello, Michelangelo e Caravaggio, mi obbligava ad ascoltare Verdi, Puccini e Monteverdi.
La domenica, attraversando le strade interne della Puglia ancora polverose e semi deserte, raccontava a me e mia sorella dei moti contadini di Andria, dei briganti e dei preti che vendevano indulgenze in cambio di favori e denaro, e di quelli che s’infilavano nei letti delle spose i cui mariti erano dispersi in guerra o curvi sulla terra rossa.
Mio padre mi ha anche insegnato a valutare i fatti e mai le parole, i programmi elettorali e le persone e non le ideologie o le bandiere.
Da quando io ero bambina le cose sono andate peggiorando e quel poco di "rettitudine" e buona educazione civica è scomparsa del tutto.
Il sentimento nazionale non risiede qui, ne sono più che certa, e tutto questo sbandierare il tricolore mi da una certa nausea.
Il sentimento nazionale l’ho visto - ed è oggi sotto gli occhi di tutti - in un paese come il Giappone, l’Inghilterra, la Francia e non qui, nel bel paese creativo e individualista, in questa lingua di terra dove tutti si pensa al proprio tornaconto, a portare l’acqua al proprio mulino e dove, se l’erba del vicino è più verde, invece di ammirarla preghiamo che l’attacchi presto la gramigna.
L’Italia è bellissima e me ne accorgo ogni giorno e ringrazio Dio o chi per lui per essere nata qui, ma per favore, evitiamo la retorica di cui per altro siamo maestri.
Il sentimento nazionale è nella solidarietà verso gli altri cittadini e nel rispetto per la res publica e le sue regole. L’amore per la bandiera è nella cura per il territorio che si esprime attraverso la raccolta differenziata, l'amore per i parchi e le riserve naturali, la parsimonia nell’uso di acqua e petrolio – se non si usasse così tanto l’auto non ci sarebbero tanti obesi e morti per ictus e infarto- è nella solidarietà civile e disinteressata.
Il sentimento nazionale è quello che ci insegna a rinunciare al nostro personale tornaconto per il bene dell’altro, quello che fa sì che Ministri e amministratori delegati ladri o superficiali si prendano pubblicamente le proprie responsabilità senza scaricare i soliti barili sul capro espiatorio di turno.
Il sentimento di amore verso la propria nazione si esprime pagando le tasse.
L’Italia non è unita, la mia nazione è ancora divisa in feudi, è fatta di alleanze – sante e maledette - di “amici meritevoli” e sconosciuti di scarso talento, di impicci e imbrogli, e lo sappiamo tutti e alla fine, purtroppo, siamo abituati così. Questa la sola via praticabile.
Siamo quelli che al supermercato fregano e vengono fregati sul peso di frutta e ortaggi, i soliti che cercano di entrare a sbafo in qualunque posto, non importa quale ma è bello farlo, gli stessi che sfregiano opere d’arte nei musei e insozzano i muri delle città di scritte incomprensibili, siamo quelli che votano l’amico dell’amico perché non si sa mai, perché si spera in un favore, e pazienza se a discapito di un’altro, non importa se non saremo all’altezza del compito: l’importante è tirare a campare e far fesso il nostro prossimo.
L’Italia è il paese degli affitti in nero, del magna magna sulle disgrazie altrui.
Siamo quelli che si lavano la coscienza facendosi un breve segno della croce, poco importa se non abbiamo domandato scusa, se non ripareremo mai a quell’errore.
I Giapponesi, di cui ho abbracciato più di vent’anni fa culto e cultura, usano le mascherine non per difendersi dai microbi, ma per non contaminare gli altri: è una regola civile, un atto di coscienza. A Oriente non esiste il perdono, ogni azione avrà un effetto, il pentimento è consigliato ma difficilmente saremo esentati dal pagare il conto.
Quando vedrò i miei concittadini rispettare la fila agli sportelli e ai bar, quando non saranno più impegnati nel cercare disperatamente scorciatoie per i concorsi, quando negli uffici pubblici saranno assunti impiegati meritevoli e non parenti e non si camperà più grazie all’inciucio, solo allora si potrà parlare di unità nazionale, solo quel giorno esporrò alla mia finestra il tricolore al momento ben ripiegato in un cassetto.

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