Io e loro

Creato il 08 aprile 2011 da Pioggiadinote

 

E’ l’imbrunire di una giornata limpida di marzo, perciò la luce è soave e come sempre accarezza le rovine del Palatino, uno scenario – potrei dire un fondale  – al quale in realtà non ci si abitua mai del tutto. In un momento di (indesiderata) pausa li osservo da una finestra del primo piano mentre percorrono il passaggio verso la porta a vetri dell’entrata, entrando e uscendo soli o a piccoli gruppi, certi discorrendo, altri dirigendosi verso il bar.  A colpo d’occhio appare subito che ai due indirizzi della danza, classico e contemporaneo, corrispondono anche per ciò che riguarda l’aspetto due differenti mentalità, che si riconoscono non solo quando indossano la divisa, ma anche nelle vesti di tutti i giorni. Di queste due correnti di pensiero, una tende alla sublimazione e scivola quindi nella conformazione verso un modello che è fatto di armoniosità e accuratezza nei dettagli, mentre l’altra esclude l’idealizzazione e pretende la molteplicità di soluzioni, di forma e di colore, comprendendo anche il disarmonico. In apparenza,  questa seconda risulta  più favorevole all’emergere dell’individualità, e la prima meno; dico in apparenza perché attraverso la mentalità che richiede  l’omologazione verso un modello di ballerina già adulta ad ogni età risaltano ugualmente e forse ancora meglio la peculiarità del singolo, per quanto riguarda le scelte estetiche – che sono comunque un riflesso del carattere.

E’ difficile non affezionarsi, specialmente agli allievi ed allieve più giovani: perché anche il pianista stabilisce con loro un rapporto di amicizia, stima e talvolta complicità. E’ naturale per me sentire affetto nei loro confronti, e in alcuni casi una speciale sintonia di carattere o una particolare empatia. Percepisco sempre se apprezzano la musica che suono per loro, anche quando sono nei posti alla sbarra più lontani da me. E ci sorridiamo in modo amichevole o ci scambiamo eloquenti occhiate quando si accostano al pianoforte prima di iniziare un passo in diagonale.

Affacciata a quella finestra, penso. Penso che vorrei restare sempre qui,  non perché coltivi l’illusione che si possano realizzare qui tutte le mie aspirazioni professionali, né che questo rappresenti un luogo di lavoro ideale (ma esisterà, poi?), ma perché sento che è il mio posto. Forse invece sono di passaggio anch’io, chissà. Ma potendo scegliere di fermarmi, mi fermerei qui.

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