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Io faccio il tifo per il toro

Creato il 01 settembre 2015 da Astorbresciani
Io faccio il tifo per il toro
Voglio subito sgomberare il campo da un probabile malinteso. Non sono tifoso del Torino Football Club, per quanto i granata mi siano simpatici e mi auguro prevalgano ogni volta che affrontano la Juventus nel “derby della Mole”. Il toro cui mi riferisco è il nobile mammifero appartenente alla famiglia dei bovidi. Più precisamente, il toro è un bos taurus (bue domestico) che ha oltre quattro anni di vita e che a differenza del bue non è stato castrato. Nei giorni scorsi ho condiviso in rete il filmato di un uomo che dopo avere provocato un toro scimmiottandolo a distanza ravvicinata è stato incornato. L’imbecille se l’è meritato. Come meritano d’essere incornati i bulli che per dimostrare la propria “virilità” corrono davanti o accanto ai tori negli encierros, le corse dei tori. La corsa più famosa è quella di Pamplona, legata alla festa di San Firmino, ma sono altrettanto importanti quelle di San Sebastian de los Reyes, di Ampuero in Cantabria e di Cadice, forse la più pericolosa. Gli encierros sono l’espressione preliminare della corrida de toros, una tradizione molto popolare non solo in Spagna ma anche in Portogallo, nel sud della Francia e nei paesi dell’America latina, su tutti il Messico, dove c’è la Plaza de toros (circo taurino) più capiente del mondo. La corrida altro non è che un barbaro retaggio delle antiche tauromachie, spettacoli cruenti diffusi nel Mediterraneo nei tempi antichi. Se ne ha notizia a partire dal II millennio a.C. Le prime gare con i tori dell’era moderna risalgano tuttavia al IX secolo e la prima corrida è datata 1215 e si svolse in Spagna, nei pressi di Segovia. Da qui si comprende perché nella penisola iberica la corrida sia considerata una sorta di religione più che uno spettacolo o uno sport. Il massacro dei tori è, per molti spagnoli, un dogma di fede. Taluni, per giustificarlo, parlano di arte. Secondo me, la corrida può essere considerata un’arte a patto di accettare l’idea che il cannibalismo sia gastronomia. Fate voi. Trovo significative le parole di Hemingway, che fu affascinato e insieme disgustato dalla corrida. In Morte nel pomeriggio scrive che “la corrida non è uno sport nel senso anglosassone della parola, vale a dire non è una gara o un tentativo di gara tra un toro e un uomo. È piuttosto una tragedia; la morte del toro, che è recitata, più o meno bene, dal toro e dalluomo insieme e in cui cè pericolo per l'uomo ma morte sicura per lanimale”. I suoi sostenitori non possono fare a meno di assistere a questa tragedia ricorrente, provare un’euforia orfica e godere del trionfo del matador sul povero toro, la vittima sacrificale. Ogni anno, solo in Spagna, vengono trucidati almeno 30.000 tori. Sarebbe semplicistico definire malvagi i partigiani della corrida o ebeti i turisti esaltati che vi assistono. Penso si tratti di coscienza limitata e inconsapevolezza, condizionate da un sostrato culturale difficile da rimuovere. Basti pensare a Goya e Picasso, che non erano certo due sprovveduti. Le tauromachie che il primo dipinse fra il 1814 e il 1816 rappresentano l’eterna lotta fra tori e toreri e sono considerate l’allegoria della vicenda umana. Per quanto concerne Picasso, i suoi lavori in china su carta e cartone dove sono raffigurati tori e corride, svelano la sua passione per il minotauro, incarnazione del dualismo sessuale e della lotta interiore fra bestialità e innocenza. Agli artisti non manca di certo la fantasia, come agli scrittori, dunque non è così difficile trovare spiegazioni, giustificazioni  e persino sublimazioni che accreditino il dramma di cui il toro è vittima. Fortunatamente, molti autori hanno condannato la corrida e ogni tipo di crudeltà verso i tori. Mi piace ricordare Voltaire, Montesquieu, Byron, Hugo e Garcia Lorca. Francisco Umbral ha rimarcato che il toro è un “crocifisso innocente, la creatura dolente della cinica Spagna”. 
La verità è che non si può giustificare in alcun modo il massacro dei tori, soprattutto chiamando in causa i valori umani più alti. È un orrore obsoleto, una tortura legalizzata, una sfida impari e perciò vergognosa. Lo sapevate, ad esempio, che prima di entrare nell’arena il toro è dopato e sottoposto a purghe per indebolirlo, subisce percosse sulle reni con sacchi di sabbia e gli viene cosparsa la trementina sulle zampe per impedirgli di stare fermo? Sapevate che gli mettono la vaselina negli occhi per offuscargli la vista, gli infilano la stoppa nelle narici e nella gola per affaticare la respirazione e gli piantano alcuni aghi nella carne? Quando entra nell’arena gli conficcano le picas e le banderillas e gli assestano colpi di spada per esasperarlo, provocargli emorragie polmonari e stremarlo, così da prepararlo alla sfida finale col torero. Una sfida assurda, sadica e immorale, in cui il toro, che non è un animale da combattimento ma un erbivoro mansueto, è ormai sfinito e privo di vie di fuga. E sapevate, infine, che quando il toro è trascinato fuori dall’arena è agonizzante ma cosciente e prima di essere macellato, ancora vivo, gli vengono tagliate la coda e le orecchie, macabri trofei dell’eroica vittoria dell’eroico matador. Nella mia vita ho assistito a una sola corrida, quando avevo quindici anni. Si svolse nella Plaza de toros  monumental di Barcellona e inorridii per il sangue versato e per l’eccitazione della folla, che mi ricordò il pubblico belluino delle grandi arene romane. Da allora non ho più voluto assistere ad alcuna corrida e ho sempre fatto il tifo per il toro. La buona notizia è che dal 1991 la corrida è vietata nelle isole Canarie e che nel 2010 il governo della Catalunya ha messo fuori legge le corride dal 2012. La nuova coscienza umana sta cambiando le cose e non è utopistico pensare che un giorno le corride saranno abolite e i tori potranno vivere in santa pace ed esibirsi solo come animali da monta. E già, perché la principale caratteristica del toro è proprio la sua potenza e fecondità. Non fu un caso, forse, che quando Zeus s’innamorò di Europa assunse le sembianze di un toro bianco, si avvicinò a lei, si stese ai suoi piedi e la invitò a salire sul suo dorso, dopodiché… Bè, è noto che Europa diede a Zeus tre figli. Purtroppo, il sacrificio del toro è un’usanza ancestrale e ha un significato esoterico. Nel mitraismo, l’antica religione pagata cui si sovrappose il cristianesimo, questo sacrificio stava a significare la penetrazione del principio femminile da parte di quello maschile, e del principio umido da parte di quello igneo del disco solare, origine e causa della fecondità. Cose d’altri tempi, si dirà, quando il toro era un idolo sacro. Basti pensare a Sin, il dio lunare dei popoli mesopotamici, al Surya vedico e al dio egizio Apis. Nessuno pretende che il toro sia adorato, oggi. Basterebbe rispettare il suo diritto alla vita. Per questa ragione, io faccio e farò sempre il tifo per il toro. Con buona pace dei più grandi toreri della storia come Dominguin, Manolete, Joselete, Paquirri e gli altri “macellai vestiti da canzonettista”, come li definì ironicamente Pitigrilli, uno scrittore e aforista ormai dimenticato. L’unico “olé” che concepisco è quello scandito nella danza e nei canti popolari andalusi, accompagnati dal battito delle mani o dalle nacchere. Vorrei che questa esortazione non risuonasse più all’interno dei mattatoi a cielo aperto.

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