Le giornate cominciano o troppo tardi, o troppo presto – come nel mio caso – che sono in piedi dalle sei meno un quarto.
Nel momento in cui apro gli occhi dal sonno, il sogno che stavo vivendo comincia a correre, e va a nascondersi. A volte riesco ad acchiapparli i sogni e a crocefiggerli in testa fino alla sera. Faticosi da raccontare, come se si vergognassero di mostrarsi agli altri. E allora li lascio fuggire, con l’inconsapevolezza di averli vissuti, e poi dimenticati.
Si può vivere un momento e poi dimenticarlo?
Nella realtà no, ma nei nostri sogni si.
E allora, come può dire Shakespeare che siamo fatti della stessa sostanza de sogni, se di ogni singola persona ci ricordiamo parole, opere e dettagli difficili da dimenticare?
E soprattutto come posso dire di essermi dimenticata che da piccola avevo una gattina che si chiamava Asia? Per fortuna non l’ho vista morire, perché i miei hanno sempre pensato bene di portar via tutti i miei animali preferiti prima del tempo, con una scusa. Forse perché mia madre – mi ha raccontato – si è vista il suo cane andare sotto una macchina.
Non ho pianto per Asia, ma per Gigi sì.
Gigi era il corteggiatore di Asia, nonché gattino della mia vicina. Asia all’inizio non usciva mai, ma la casa in cui abitavamo prima aveva un cortile esterno, ed era lì che giocavo con Asia. Un giorno la venne a trovare Gigi, un gatto a strisce grigie e bianche, non di razza, ma abbastanza solido e tenace. Si atteggiava in maniera selvaggia, sempre sulle difensive ma a guardarlo in quegli occhioni grigio perla, ti sentivi il Re leone della situazione, e lui poteva benissimo essere tuo figlio.
Un giorno lo trovammo coricato a terra, con la bava che gli usciva dalla bocca. Asia pianse tanto in quel periodo, me lo ricordo bene.