A vedere l'amore come una mera questione di possesso, dove io decido cosa si fa e tu non obietti nulla. Io ti dico con chi devi parlare e con chi non puoi parlare. Un rapporto in cui mi sento giustificato solo perché sono il tuo fidanzato (termine che mi sa tanto di medioevo) o il tuo maritino ad annientare ogni tuo diritto alla privacy. Devo vedere con chi parli al computer, devo vedere cosa fai nel blog. Non puoi fare quello che a me non piace: non devi farlo. Non ti azzardare. Guardo sul display del tuo cellulare chi è che ti chiama, leggo gli sms. Tu non hai diritto a una vita all'infuori di me, tu sei mia come l'automobile che ho comprato il mese scorso, come il rasoio elettrico che mi ha regalato la nonna. L'amore come contratto d'affitto, usucapione, mezzadria. Non esiste più la tua libertà, esiste la nostra libertà e basta. Tu obbedisci altrimenti io perdo la testa. Dammi la password, l'iban, il codice fiscale.
Io non so come fanno tutte le donne e gli uomini (sono davvero pochi quelli in gabbia) che vivono in questa condizione, non so dove riescano a trovare la felicità. A loro va la mia stima. Il rapporto di coppia dove uno dei due, quasi sempre il maschio, finisce per annientare le speranze e la dignità dell'altro. Io non ci riesco a chiamarlo amore, a pensare che si possa amare in quella maniera. Non fa parte della mia etica ma forse sono solo uno strano.