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Io nun ce l’ho co’ te

Creato il 13 maggio 2012 da Malvino
«Io nun ce l’ho co’ te,ce l’ho co’ quelli che te stanno affiancoe nun te buttano de sotto»Ettore PetroliniI verdi avevano due consiglieri comunali a Pistoia ed ora non ne hanno neanche uno. È il risultato della brillante idea di far lista comune coi radicali, che “per scelta – si leggeva in un editoriale di Notizie Radicalinon si presentano alle elezioni amministrative, salvo rare eccezioni, cioè quando alcune determinate realtà locali o territoriali riescono ad assumere un particolare carattere politico”. All’“eccezione” di Pistoia era stato conferito il valore di esperimento, di “laboratorio politico”, con la scommessa su “un’intesa esportabile in altre parti d’Italia”. Scommessa sulla quale i radicali avevano puntato molto, soprattutto dopo il due di picche di Beppe Grillo. Marco Pannella era arrivato ad inviargli un tweet assai umido (“Finalmente together? Lo sai che t’aspetto da tempo?”) dopo mesi di profferte sul filo della sfida. Da quando i sondaggi avevano cominciato a dare il Movimento 5 Stelle in sensibile crescita, da Radio Radicale cominciavano a scemare le accuse di populismo da sempre scagliate addosso a Grillo e il sarcasmo nei suoi confronti, che non di rado era arrivato ad essere assai sprezzante, lasciava spazio all’attenzione che il missionario dedica al buon selvaggio.Il solito Pannella di sempre. “Considera suoi i partiti che sono di altri”. “È come un cuculo che cerca di depositare le sue uova nei nidi altrui”. Cose che dicevano di lui già trent’anni fa, ma senza riuscire a coglierne il movente psicologico: Pannella si sente messia di tutte le genti, non ruba, cerca di far suo quanto ritiene gli spetti di diritto. Non ci riuscì col Pci negli anni ’70, non ci riuscì col Psi negli anni ’80, non ci riuscì con Forza Italia negli anni ’90. Qua e là sembrò potesse riuscirci con partiti di più modeste dimensioni, guidati da figurine anemiche, ma fallì lo stesso, riuscendo sempre a rendersi insopportabile ad ogni alleato, anche a quelli esangui. Da Grillo neppure uno dei suoi proverbiali vaffanculo, almeno fino al tweet, perchè all’ironico suggerimento di un grillino (“Se io fossi in te, farei un bello sciopero della fame fino a quando Grillo non accetta il dialogo”) il comico donato alla politica apponeva in chiosa uno sberleffo che suonava liquidatorio (“Marco Giacinto, digiuna tranquillo!”). E allora i verdi. Perché alle elezioni politiche del 2013 manca ancora molto tempo, ma è difficile pensare che i radicali possano trovare accoglienza nel centrodestra o nel centrosinistra. C’era e c’è bisogno di inventarsi qualcosa dal nulla, lavorare a 360 gradi. A chiacchiere, contro tutti e tutto. In sostanza, Pannella sarebbe disposto ad agganciarsi a chiunque. Per spezzare in qualche modo l’isolamento al quale ha condannato i suoi, Pannella è ancora una volta costretto ad alternare aggressività e vittimismo, intransigenza e spregiudicatezza, posa da martire e scaltrezza da mercante. L’idea dell’amnistia, d’altra parte, è nata proprio per questo motivo, per arrivare al 2013 sull’onda di un successo personale. Purtroppo la marcia del 25 aprile è stato un fallimento. Era la seconda marcia per l’amnistia, la giustizia e la libertà. La prima si era tenuta il 25 dicembre del 2005, vi avevano partecipato circa 400 marciatori, più volti noti che popolo. Stavolta doveva tenersi a Pasqua e aveva come meta Piazza San Pietro, nella speranza di strappare al Papa una parolina solidale, come accadde in quella del Natale del 1998 per la moratoria universale della pena capitale, sennò nella speranza di far passare uno striscione in mondovisione. Pannella è fatto così. Gli vanno bene due o tre referendum? Insiste per trent’anni, anche a costo di logorare lo strumento e renderlo inservibile. Ottiene visibilità con uno sciopero della fame? Insiste, fino a esagerare, fino a parodiarsi. Coi suoi bluff riesce ad ottenere dai suoi alleati di turno vantaggi perfino spropositati rispetto alla sua forza elettorale? Insiste, esagera, fino a farsi schifare da chiunque. Così coi Papi. Wojtyla gli stringe la mano nel 1986? Nemmeno si trattava di un’udienza privata, ma Pannella si convince di poterselo spupazzare come un Dalai Lama. Non funziona? Poco male, punta su Ratzinger. Perde la scommessa? Fa niente, tanto i cattolici sono con lui, lo dimostrerebbe il fatto che ai funerali di Welby c’erano due suore. È fatto così, è refrattario all’evidenza. Così per la marcia del 25 aprile.Doveva tenersi a Pasqua, ma in via di Torre Argentina nessuno si era rammentato che l’assemblea capitolina aveva deciso, pochi mesi prima, il divieto di svolgere cortei e manifestazioni nel tracciato del centro storico. Oppure non sarà sfuggito, ma si voleva creare il caso, chissà, poteva scapparci una Giorgiana Masi. Si rimanda la marcia al 25 aprile, ma a Pasqua si sfila in fila indiana fino in Via della Conciliazione, dove i radicali trovano il divieto di entrare in Vaticano. La cosa dovrebbe aprire tutti i tg della sera, ma si sa che il regime è criminale e il fatto che a quaranta radicali abbiano impedito di andare a farsi benedire dal Papa non fa notizia.Arriva il 25 aprile e si tiene la tanto attesa marcia, della quale, coi radicali, si sono stati fatti promotori 25 religiosi, 60 associazioni, 88 rappresentanti di istituzioni e dirigenti di partiti politici, 10 garanti dei diritti dei detenuti, 13 direttori di penitenziari, 18 rappresentanti sindacali, 34 personalità della cultura e dello spettacolo, 34 tra giornalisti e scrittori, 51 deputati e 34 senatori, 30 consiglieri regionali, 23 provinciali e 131 comunali, 24 tra sindaci e vicesindaci, 17 docenti universitari, 38 avvocati e altri ancora. Intervenendo al Comitato nazionale di Radicali italiani, il giorno dopo, Pannella non ha alcuna difficoltà nel dare conferma di quanto era possibile dedurre dal video della manifestazione, su radicali.it già poche ore dopo la chiusura dell’evento: a piazza San Silvestro non erano presenti più di quei tre-quattrocento marciatori che sul tragitto da Regina Coeli sono stati contati da Adriano Sofri “tra i millecentotrenta e i millecentocinquanta” (Il Foglio, 26.4.2012).Un “successo”? “Grande partecipazione da tutta Italia”? Così per Pannella, e dunque anche per i radicali, che anche stavolta lamentano il black out informativo che lamentano su ogni loro iniziativa. Senza dubbio i giornali ne avevano parlato poco, ma vi erano stati non meno di quattro passaggi televisivi nei quali si annunciava la marcia, più cinque milioni di spettatori ne erano stati messi al corrente da Giuliano Ferrara il giorno prima, i siti web radicali e le pagine dei social network afferenti all’area lo strombazzavano da settimane, a Radio Radicale se n’era dato annuncio da almeno due mesi per almeno cinque volte al giorno. Con questa copertura informativa quanta gente era lecito attendersi alla marcia? C’è margine per supporre, allora, che a volere l’amnistia, in Italia, siano pochissimi? Boh, in ogni caso pare evidente che alla marcia non abbiano partecipato neppure tutti quelli che vi avevano aderito. Non c’è da stupirsene, perché le adesioni alle iniziative radicali raramente sono spontanee.Alle iniziative radicali, che poi sono le iniziative volute da Pannella o alle quali Pannella dà il suo consenso (quasi sempre, in questo caso, assumendosi il merito di averle ispirate), si è chiamati ad aderire per invito, non di rado pressante, talvolta molesto. Guai a dare un indirizzo o un recapito telefonico ai radicali: in misura di quanto ritengono tu possa esser utile ai loro bisogni, che la loro fermissima fede porta a credere siano anche i tuoi, li hai addosso come zecche per decenni. Se sei un Sig. Nessuno, la richiesta è quasi sempre di denaro, nelle più svariate forme, ma se sei un Prof. o un Sen., se hai un minimo di notorietà pubblica, fosse pure in cronaca rosa o in quella nera, può bastare pure la tua firma in calce ad un appello. Il top è il Premio Nobel, ma in mancanza di meglio non si butta via niente. Ai tempi della Rosa nel Pugno, per dire, si è finiti per esibire con fierezza pure Antonella Elia. Non siamo più alla galleria dei bei nomi della cultura e dello spettacolo che i radicali potevano esibire negli anni ’70 e ’80, ci si accontenta di quelli che ancora non hanno capito che grave errore sia quello di dar confidenza a Pannella per più di mezz’ora: più asfissiante di un Testimone di Geova, Pannella riesce a farti pentire amaramente di avergli dato due soldi d’attenzione. Uniche eccezioni, Toni Negri e Cicciolina. Lì è accaduto il contrario, ma parliamo del secolo scorso.In questa smania di fidelizzare il nome prestigioso mi pare si appalesi, miserabile in miserabilis, quel fondo borghesuccio che dalla biografia di Pannella è passato alla sensibilità dei suoi apostoli, come lui affamati di quel pubblico riconoscimento che si vede raggiunto nell’assunzione di un titolo accademico o nel più ampio spettro della notorietà per meriti letterari, scientifici, ecc. Da sempre, ma da qualche decennio è assai più evidente, il nome prestigioso che aderisce ad un’iniziativa radicale è sbandierato con un orgoglio che tradisce sempre l’intenzione di far propria l’autorevolezza che in esso è racchiuso. Lo fanno tutti? Sì, ma i radicali non sono quelli “diversi? Intervistato da Annalisa Chirico per il Giornale del 26.4.2012, Marco Pannella insisteva nel dire che “l’amnistia è già una riforma di struttura. Se sul penale avessero 500mila procedimenti pendenti anziché 5 milione, […] si libererebbero enormi energie finanziarie, logistiche, organizzative, che consentirebbero all’Italia di stare meglio di ogni altro Paese in Europa quanto a potenziale rapidità dei processi”. Difficile convincerlo che i magistrati non si possono trasferire dal penale al civile con un atto di forza (ci ha provato Massimo Bordin, alcuni mesi fa, nel corso di una delle conversazioni domenicali su Radio Radicale, senza riuscire ad ottenere altro che strepiti e scaracchi), difficile convincerlo che senza metter mano alla Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi le carceri si riempirebbero di nuovo in pochi mesi.È quello che ha fatto notare anche Alessandro Capriccioli al Comitato nazionale di Radicali italiani. Capriccioli non ha messo in discussione l’amnistia come provvedimento d’urgenza, ma si è limitato a dire che, senza provvedere a cambiare le leggi che riempiono le patrie galere di immigrati clandestini, piccoli spacciatori e imputati in attesa di giudizio, l’amnistia non risolverebbe un cazzo. Non ha detto proprio così, perché lui è forbito, ma ha comunque fatto capire che spendere le poche energie a disposizione dei radicali per l’ennesima cocciutaggine di Pannella è una follia, che la scarsa partecipazione del mondo politico alla marcia del 25 aprile è la prova evidente che questo Parlamento non voterà mai un’amnistia, che continuare a molestare Napolitano, arrivando a rinfacciargli che è stato comunista, non serve a molto. Trattato come un appestato. Ben gli sta, così impara a pretendere che la ragione possa spuntarla contro la fede.Giunto a Pistoia con la sua corte al completo, Pannella non si era risparmiato in retorica: “Si ripropone qui una storica alleanza, quella fra noi e gli ecologisti. Del resto, il Sole che ride lo abbiamo ceduto noi tanti anni fa ai verdi”. Il solito Pannella, col solito vizio di trattare ogni alleato – grosso o piccino, non fa mai differenza – come un poveraccio al quale benevolmente stia concedendo un immenso favore, un’occasione di promozione antropologica, chissà, la fiammella dello Spirito Santo. E anche stavolta, come le urne non hanno tardato a rendere evidente, il bacio del cobra ha stecchito il malcapitato. E dunque coi verdi non funziona, puttana Eva, e dell’amnistia varrà la pena continuare a sbraitare, perché non si può abbandonarla dopo averla fatta diventare la madre di tutte le libertà, ma è chiaro che occorre volgere altrove le antenne e le chele. Grillo, per l’appunto.In fondo, non c’è qualche affinità tra grillini e radicali? Tendenzialmente, grillini e radicali sono brave personcine, forse un po’ troppo sognatrici il che può anche non guastare, fa tenerezza – ma, all’ingrosso, sembrano preparate, oneste e in buona fede, forse anche quando esagerano. Purtroppo avere un leader carismatico rende sempre un po’ coglioni, dando inevitabilmente luogo a degenerazioni di fanatismo gregario e perfino qualche caso di invasamento misticheggiante. Questo, senza dubbio, è più evidente nei radicali, non fosse altro perché la loro storia è assai più lunga e il dato è peraltro ampiamente documentato in molte delle loro biografie. Se nei grillini è assai meno evidente, è perché se ne sa poco o niente, e poi Grillo spalma ancora sul suo ruolo un velo autoironico, del quale Pannella non è mai stato capace, neanche agli inizi. Vedremo che sarà del Movimento 5 Stelle, tuttavia qualche sintomo, che ritengo assai eloquente, lascia prevedere che le dinamiche che hanno segnato la vita della comunità radicale avranno il loro analogo in quella grillina. Uno per tutti, la consegna di evitare apparizioni televisive che Grillo ha imposto ai suoi candidati per questa tornata elettorale e la sua scomposta reazione all’ottima impressione che Putti ha dato di sé a Ballarò, contravvenendo al divieto. Il pronto rientro nei ranghi del disobbediente, però, la dice lunga.Già visto. Le apparizioni televisive di Daniele Capezzone provocavano la stessa reazione in Marco Pannella, e per la stessa ragione che è evidente in Beppe Grillo: fare ombra ad un leader carismatico è considerata una “scelta di campo”, ovviamente criminale, perché a discapito degli interessi del movimento, che devono coincidere con quelli personali del leader, sennò sono deviati e devianti. A questo genere di egomaniaci non può bastare il ruolo di portavoce, di ispiratore o di simbolo: esigono che il movimento del quale sono la guida sia loro incarnazione, il docile strumento ai loro fini, che, ancorché oscuri, non tollerano di essere discussi e diventano tanto più forti quanto più sono indiscutibili. Quando queste condizioni vengono meno, non ci sono alternative: è inevitabile che il dissidente lasci, fugga, e questo è accaduto mille volte coi radicali, chissà quante volte accadrà coi grillini, perché la “cosa radicale” è proprietà di Pannella e il Movimento 5 Stelle è proprietà di Grillo.Tra grillini e radicali un’intesa potrebbe anche essere possibile, e potrebbe pure funzionare, ma ad una sola condizione: la morte improvvisa, meglio se contemporanea, di Grillo e di Pannella. La loro leadership è del tipo che non ammette spartizione di potere, mentre la conformazione psicologica di chi tollera una leadership di questo tipo non ammette che abbia più di un fuoco geometrico.
La meccanica è nota, basti quanto ci hanno spiegato De Vries (Essays on the Psichology of Leadership, 1993) e Kernberg (Ideology, Conflict and Leadership in Groups and Organizations, 1998). Nei movimenti a guida carismatica i singoli vivono di un’esistenza doverosamente funzionale all’accrescimento del carisma del leader, sennò – invariabilmente – al suo detrimento. In questi casi, il leader carismatico si sente “tradito” e “tradire” il leader significa sempre “tradire” l’intera comunità della quale egli non è solo guida, ma anche “espressione per identificazione”, incarnandone l’anima e la storia, il sentire e il sentito. A questo genere di “tradimento” non può che far seguito l’emarginazione dei “traditori”, mentre è del tutto irrilevante il fatto che siano espulsi o costretti a scappare per non subire le feroci molestie di cui sono invariabilmente fatti oggetto dal leader carismatico e soprattutto dai suoi fedelissimi. Quando i dissidenti cominciano a diventare troppi o, peggio, cominciano ad articolare le loro critiche in minoranza interna, è la stessa forma della comunità ad esser messa in discussione. Solitamente, in questi casi, il leader carismatico preferisce dissolverla piuttosto che accettare un ridimensionamento del suo ruolo, oppure la scioglie e la rifonda.Qualche settimana fa ho scritto di aver trovato diverse analogie tra la setta del Tempio del Popolo del reverendo Jones e quella di Pannella, mi riferivo non soltanto alle dinamiche relazionali tra guru e adepti, ma anche a quelle forme di suicidio collettivo che promettono resurrezione e purificazione. Per farmi capire meglio, dovrò rammentare del suicidio collettivo che Pannella volle nel 1988.Massimo Teodori ha scritto: “Pannella è sempre stato il capo radicale riconosciuto e in questa sua funzione, oltre che nell’immagine, non è mai stato seriamente insidiato: nel PR ha assolto fin dall’inizio le molteplici funzioni di fondatore, organizzatore e gestore che gli hanno assicurato un controllo completo delle più importanti operazioni politiche. Quel che era andato modificandosi nel corso del tempo riguardava i connotati del piccolo e singolare partito fattisi più complessi della semplice identificazione con il leader: il pannellocentrismo era divenuto solo una parte di una realtà più articolata costituita da militanti e quadri politici. Con lo svolgimento annuale dei congressi e con la continua formazione di gruppi ad hoc per perseguire obiettivi particolari, già a metà degli anni settanta i radicali disponevano a tutti gli effetti di una forza politica consolidata attraverso successive stratificazioni. E dopo il ’76, con gli eletti in Parlamento tra cui figuravano, di legislatura in legislatura, anche personalità fortemente caratterizzate e autonome, la vita politica del PR si faceva, per così dire, multidimensionale nelle istituzioni oltre che nel paese, nei gruppi militanti e nelle realtà locali oltre che con la Radio Radicale. Di questo organismo variegato Pannella rimaneva sì l’ispiratore e la guida, ma tuttavia l’azione politica radicale non poteva più essere ridotta esclusivamente alla sua sola persona. Ed è proprio questo partito in cui si inverava una realtà composita di molti individui, di plurime strutture e di una gamma di iniziative politiche, che Marco Pannella cominciò a percepire come un ostacolo percepito in maniera ambivalente. Da una parte ne avvertiva la necessità perché altrimenti non avrebbe potuto condurre la sistematica guerriglia contro la partitocrazia con azioni fortemente organizzate. Dall’altra, ne era infastidito perché lo riteneva riduttivo del proprio carisma di fronte al mondo politico e alla pubblica opinione dal momento che alcuni esponenti radicali si sottraevano al suo diretto controllo o non si comportavano da pure appendici della sua personalità” (Marco Pannella - Un eretico liberale nella crisi della Repubblica, Marsilio 1996)Potrebbe essere il paradigma valido anche per il Movimento 5 Stelle.
Non possiamo sapere cosa sarà dei grillini, è impossibile prevedere quanto dissenso saranno in grado di esprimere verso la gestione autocratica del Movimento 5 Stelle, possiamo solo intuire quali saranno le mosse di Grillo nel caso in cui le critiche mettessero in serio pericolo la sua leadership. La mossa di Pannella fu lo scioglimento del Partito Radicale. Ricorda Mauro Mellini: “A Bologna [XXXIV Congresso del PR, 2-6.1.1988] il cosiddetto gruppo dirigente del partito si presentò compatto, preoccupato soltanto di interpretare puntualmente gli intendimenti di Pannella, che, con un procedimento che di solito usava quando voleva spingere l’imposizione delle sue volontà fino all’inverosimile, si tenne lontano dalle riunioni nelle quali quel gruppo andava preparando i deliberati e gli scenari del congresso, tenendolo però sotto stretto controllo. Una riflessione sull’atteggiamento di tante persone, molte delle quali non prive di intelligenza ed esperienza politica, che non capirono o si comportarono come se non capissero (dovendo alcune di esse poi pentirsene amaramente) che il Partito Radicale veniva liquidato, pur lasciandolo in piedi formalmente come supporto essenzialmente finanziario di altre iniziative ed attività più congeniali a Pannella, dovrebbe pur essere fatta e porterebbe a conclusioni sconcertanti. Responsabilità per la fine del Partito Radicale ne hanno un po' tutti, chi più chi meno, a cominciare da chi scrive. […] Spingere l’acquiescenza fino all’accettazione della liquidazione del partito era incredibile. Se non avessi mai combattuto una battaglia contro il reato di plagio, sarei portato a far ricorso a questa torbida e semplicistica spiegazione di rapporti umani. Ma un fenomeno collettivo, destinato ad avere conseguenze, grandi o piccole che siano, sulla vita sociale e politica di un paese è esso stesso storia e va discusso e giudicato con metro a ciò adeguato. Ed allora occorre dire che l’acquiescenza del cosiddetto gruppo dirigente radicale (sempre assai poco, ed, in quel caso, per nulla dirigente) dava la misura della fragilità, anche sul piano intellettuale e morale, cui si era ridotta quell’esperienza politica, della mancanza di un autentico sviluppo come forza aderente alla realtà. […] Solo Enzo Tortora mi fu a fianco nel contrastare quelle decisioni. Con una felicissima battuta Enzo definì il partito transnazionale il nuovo «Cacao Meravigliao», il prodotto inesistente pubblicizzato nella trasmissione satirica di Arbore «Quelli della notte», che allora aveva grande successo. Tranne Tortora, non uno di coloro che avevano o avevano avuto posizioni di rilievo nel partito si oppose alle proposte liquidatorie. […] La massa degli iscritti sembrò ad un certo punto tutt’altro che docile e rassegnata e sembrò aver capito la sostanza di quanto le si andava ammannendo, assai meglio di quanto non mostrassero di averlo capito quanti, a vario titolo, erano investiti di particolari responsabilità. Ma i regolamenti del congresso non consentivano un confronto ad armi pari. Salvo il segretario ed il tesoriere e, al di sopra di ogni regola, Pannella, nei congressi radicali gli iscritti avevano dieci minuti per i loro interventi, che, ovviamente non potevano esprimere compiutamente una linea politica ed una critica serrata, specie da parte di chi non potesse contare su di un giuoco di squadra. Scese in campo Pannella, per dire, in buona sostanza «o con me o contro di me», non risparmiando l’attacco personale ed i toni sprezzanti. […] A rendere praticamente irreversibile il consenso bene o male ottenuto dal congresso, Pannella fece deliberare che il prossimo congresso sarebbe stato tenuto a Budapest. Così diveniva impossibile che si potesse tornare sulla questione del partito transnazionale e di un partito che fosse un partito e non un’agenzia turistica, quale quella che avrebbe organizzato i voli charter e distribuito i biglietti ferroviari scontati. Ben presto si sarebbe potuto fare a meno anche del voto dei congressi, domandando ogni potere ad un quadrunvirato. Dalla Convenzione si era passati al Consolato, saltando il Direttorio. Il Primo Console, del resto, c’era sempre stato” (Il Partito che non c’era, Adriatica Editrice 1993).Valga da lezione ai grillini. 
David Busato chiude la sua Tesi di Laurea in Scienze Politiche (Il Partito Radicale in Italia - Università di Siena, 1996) con un promemoria che in sé racchiude tutti i nodi della “cosa radicale”, almeno per come è posta oggi: “Nel XXXIV Congresso, svoltosi a Bologna, nel gennaio dell’88, i radicali decisero di non presentarsi più come tali alle elezioni politiche: nacque così una nuova formazione transnazionale e transpartitica, priva delle classiche strutture partitiche territoriali e pronta invece a proseguire le iniziative che superassero la logica dei confini nazionali, in particolare sui problemi dei diritti umani e sui problemi dell’inquinamento, auspicando inoltre il tema federalista della costituzione degli Stati uniti d’Europa. L’idea della sovranazionalità del partito, venuta da Pannella, suscitò non poche perplessità nella stessa compagine radicale anche perché serpeggiarono malumori nei confronti di una leadership carismatica che apparve contraddittoria per un partito che si proclamava libertario. Proseguì quindi l’esperienza transnazionale del partito e proprio in nome di ciò il XXXV Congresso si svolse a Budapest, nell’aprile dell’89 ; nel corso di questo congresso il segretario Sergio Stanzani rivendicò la lungimiranza della scelta che aveva trasformato un partito di italiani in un partito composto da oltre 50 etnie europee, africane, asiatiche. Il Partito Radicale transnazionale e transpartito continuò sulla sua strada aggiungendo ai consueti temi, anche la lotta contro ogni forma di proibizionismo in materia di stupefacenti e l’impegno contro la pena di morte, da abolire in tutti i paesi. A partecipare alla vita politica italiana restò una nuova formazione politica, un movimento creato da Pannella e denominato proprio Lista Pannella per sottolineare la personificazione del partito”. Ed è sulla Lista Pannella che occorre appuntare l’attenzione, innanzitutto per smentire alcuni luoghi comuni circa l’“alterità” della quale i radicali sono convinti di essere portatori.Ma forse, prima di tutto, occorre fare due conti. Al momento, il Partito Radicale ha 888 iscritti, Radicali italiani ne ha 788, l’Associazione Luca Coscioni ne ha 922, Nessuno tocchi Caino ne ha 501, gli altri soggetti della cosiddetta “galassia radicale” anche meno, e tutti accusano un calo di iscrizioni rispetto all’anno scorso tra il 10% e 18%. Dato essenziale per capire le reali dimensioni della macchina: in oltre il 70% dei casi, chi è iscritto ad un soggetto radicale è iscritto anche a un secondo, il 35% anche a un terzo, fino a un buon quinto di radicali che è iscritto a tutti i soggetti. Parliamo di non più di un migliaio di individui in tutto, dunque, tutti più o meno consapevoli di far parte di una setta che è in forte crisi di appeal, tutti in apparenza disposti al suicidio politico in vista di una resurrezione della quale non è ancora dato immaginare il quando, né il come.
Mauro Suttora ha dedicato due suoi volumi alla “cosa radicale”. Il primo è una storia del Partito Radicale intrecciata alla biografia del suo leader carismatico (Pannella, i segreti di un istrione – Liber Internazionale, 1993), mentre il secondo (Pannella & Bonino Spa – Kaos Edizioni 2011), soprattutto per quanto attiene al III e al IV capitolo (pagg. 161-299), è un’analisi delle strutture e dei meccanismi che fanno della “cosa radicale” una proprietà privata di Marco Pannella. Da qui vale la pena di citare: “Siccome il Partito radicale non poteva più presentarsi «in quanto tale» alle elezioni (come deciso nel 1988), in vista delle politiche dell’aprile 1992 alcuni colonnelli radicali – come per le europee del 1989 – emigrarono altrove (Teodori, Negri e Calderisi fondarono una Lista refendaria con Massimo Severo Giannini e Ernesto Galli della Loggia. Rutelli, Aglietta, Corleone, Tessari e Vesce, invece, si accasarono con i verdi). Il capo, invece, ebbe la pensata di varare una solipsistica Lista Pannella (sostenuta da Bonino, Cicciomessere, Vigevano, Stanzani e Taradash). Era la prima volta al mondo che un partito assumeva il nome del proprio leader – nemmeno i gollisti francesi erano arrivati a tanto. […] Ma [Pannella] fece di più: per evitare la raccolta delle firme necessarie alla presentazione, prestò il tradizionale simbolo della Rosa nel Pugno alla Lista referendaria e per sé riciclò il marchio degli antiproibizionisti già utilizzato dal 1989 all’Europarlamento. Il risultato di questa artificiale moltiplicazione fu deleterio: la Lista referendaria non riuscì a raggiungere il quorum minimo, mentre la Lista Pannella ottenne solo mezzo milione di voti (1,2%). Sedici anni dopo il primo arrivo in Parlamento, insomma, percentualmente Pannella ottenne lo stesso risultato del debutto. […] Dopo quarant’anni di opposizione dura e pura, Pannella non raccoglieva alcun beneficio al crollo della Prima Repubblica”.Dobbiamo pensare che si tratti degli effetti di ciò che Massimo Teodori ha definito “irresistibile pulsione alla dissoluzione”? Anche, ma dietro alla scelta di dar vita alla Lista Pannella c’era un fine pratico di estrema importanza: costruire una cabina di comando dalla quale i soggetti radicali fossero economicamente e perciò politicamente dipendenti. Quando a Radio Radicale, per esempio, va in onda lo spot che informa che quella emittente è “organo della Lista Pannella”, non del Partito Radicale, non di Radicali italiani, ciò che sta nascosto in bella evidenza è che il rubinetto del finanziamento pubblico destinato alla radio, ma anche quello che eventualmente arrivi ai radicali dai rimborsi elettorali ai partiti che li ospitino come candidati nelle proprie liste, sta in mano ad una sola persona, che di fatto è il padrone dell’intera “galassia radicale”. Non “galassia”, dunque”, ma “sistema solare”, con una stella al centro e una mezza dozzina di pianeti a girarle attorno, in ellittiche più o meno ampie, per attrazione che formalmente è di tipo carismatico e sostanzialmente è di tipo proprietario.Per capire perché e come, vale la pena andare ad ascoltare l’intervento di Diego De Gioiellis all’ultimo Comitato nazionale di Radicali italiani: Com’è noto, i radicali combattono la partitocrazia come espressione della espropriazione del diritto del cittadino alla partecipazione democratica alla vita politica. Bene, questo è proprio ciò che accade in casa radicale. Soggetti politici che in ultima analisi non contano nulla e che ruotano attorno alla Lista Pannella, primo motore immobile, partito (si fa per dire) del quale fanno parte solo i soci fondatori e quanti possono entrare a farne parte solo per ammissione decisa dai soci, nel quale presidente e tesoriere sono cariche cumulate nella stessa persona, che è insieme la stanza dei bottoni e la cassa. Peggio della Lega, via, peggio dell’Idv, più o meno come il Movimento 5 Stelle.

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