Moi, René Tardi, prisonnier au Stalag II B è l’ultima opera del maestro francese Jacques Tardi, pubblicata in Francia dallo storico editore Casterman nel 2012 e portata sul mercato italiano da Coconino Press lo scorso anno, nella collana Progetto 900.
In più occasioni e opere Tardi ha dimostrato interesse e sensibilità verso la storia del suo paese e del suo popolo passandola al setaccio, senza risparmiarsi, criticando, denunciando, tentando sempre di coglierne la complessità e i movimenti psicologici, sociali e mentali più profondi, spinto dall’esigenza di provare a riempire i vuoti e rompere i silenzi della memoria familiare e collettiva: Le Trou d’obus (1984), Où vas-tu petit soldat – A l’abattoir! (1989), Rue des Rebuts (1990) Era la guerra delle trincee (1993, la cui edizione americana ha vinto nel 2011 un Eisner Award), Le Der des Ders (1997), Varlot soldat (1999), L’urlo del popolo (2001-2004), Putain de guerre (2008-2009), tra gli altri. Nel corso degli anni si è occupato di alcuni dei principali eventi della storia francese come La Comune del 1871, la prima guerra mondiale, il primo dopoguerra e, con Io, René Tardi, prigioniero dello Stalag II B, della seconda guerra mondiale.
Da René a Jacques
Sulla base dei tre quaderni di appunti scritti dal padre agli inizi degli anni ‘80, il fumettista francese racconta l’esperienza bellica paterna nella sua complessità, quale somma di una serie di conflitti: non solo quello contro i “mangiapatate” (uno dei tanti nomignoli affibbiati ai tedeschi) ma anche quello generazionale tra i soldati che presero parte al primo conflitto mondiale e quelli che presero parte al secondo; quello tra il mondo prima e dopo la catastrofe, quelli interiori del proprio animo. È una narrazione complessa, strutturata su vari livelli dove tempi, ricordi, punti di vista, rielaborazioni, storia, memoria dei protagonisti, dell’autore, dei lettori, si sovrappongono e si intersecano.
A dispetto dei più evidenti segni premonitori, noi facevamo gli struzzi. […] Eravamo convinti di essere i più forti. C’era pur sempre l’Intesa Amichevole con l’Inghilterra che aveva un mucchio di colonie. E anche la Francia possedeva un consistente impero coloniale, una discreta riserva di forze mobilitabili… Ce n’era di gente! A scuola poi non la finivano di ripeterci che eravamo i più tosti in tutti i campi. Potevamo vantare Cartesio, Boileau, ecc. ecc. Eravamo i più forti, quindi nessuno avrebbe avuto l’ardire di venirci a stuzzicare. Ecco che cosa inculcavano ai francesi, a quel tempo… Per forza poi uno non se ne capacita! (pag. 25)
È il racconto di un uomo (René Tardi) che come tanti suoi coetanei vive a lungo in un incanto, in un sogno, nell’illusione della propaganda di una Francia tronfia, in realtà incerta, titubante, incapace di prendere le decisioni giuste; è il racconto del fallimento di un popolo che vede i suoi eroi, come Petain, trasformarsi in collaborazionisti, osserva inerte la sua classe dirigente sbagliare tutte le mosse, vede l’autorappresentazione eroica di una Francia indomita, cuore pulsante dell’Europa, centro propulsore della modernità andare in frantumi, sbriciolarsi, sotto i cingoli dei panzer.
È quella che il grande storico francese Marc Bloch, che a quella tragica guerra non sopravvisse, morendo partigiano contro un muro di Lione giustiziato dal nemico, definì in una sua opera pubblicata postuma la strana disfatta: è essa la protagonista del racconto assieme al modo in cui attraverso la fame, la tragedia, la morte, essa strappò qualcosa a ogni singolo uomo capitato tra le sue grinfie, trasformandolo in più modi, nel caso di René Tardi con l’odio, il risentimento, il cinismo. Divenuto allo stesso tempo vittima e latore di tali sentimenti.
Visto che non puoi uccidere uno solo perché ha la caghetta, allora maledici il vagone, i compagni, la Francia, i politici, i crucchi, il mondo intero. Vorresti che la terra esplodesse e che non ne restasse niente. Maledici quelli che dormono nel loro letto, lontano dalla puzza di merda. Non riesci a chiudere occhio, allora pensi alla tua recente condizione di sconfitto, alla tua schiavitù appena cominciata e al fatto che, senza bere né mangiare, dovrai stare fianco a fianco con i coglioni che ingombrano questo vagone e che non avresti mai voluto incontrare. (pag. 72)
Jacques Tardi mette in scena la tragica storia del padre attraverso una narrazione resa potente dalla sinergia dei disegni e dei testi, che parlano per più vie e in più modi (spesso molto diversi) al lettore, raccontandogli le tante storie che si nascondono dietro questa terribile Storia.
Sequenze che ricordano lunghe carrellate cinematografiche, orizzontali, con la “telecamera” ad altezza uomo, tra gli uomini, come il codice del cinema neorealista – che per primo narrò la tragedia del conflitto attraverso le storie dei “piccoli” uomini – comanda, come quelle di Paisà (Roberto Rossellini, 1946)1, carrellate che parlano il linguaggio universale dei corpi esanimi sui campi di battaglia e nei villaggi, accompagnate da stridenti testi che utilizzano l’astruso linguaggio bellico pieno di complicati tecnicismi. Oppure, sequenze dove l’ironia, la battuta spregiudicata e irriverente di Jacques, impegnato in una immaginaria e impossibile conversazione con René, fa a pugni con la triste realtà del campo di concentramento; ci sono vignette dove un baloon occupa i tre quarti dello spazio, altre in cui delle parole non c’è necessità alcuna.
Le memorie di René Tardi nella rielaborazione del figlio sono attraversate dalla necessità e dalla ricerca di eroismo. Il soldato francese, uscito sconfitto da una guerra combattuta all’ombra del mito della precedente, ha bisogno di potersi considerare comunque eroe.
La prima guerra mondiale, che in pochi anni fu trasformata da tragedia a mito dei caduti2, incise incredibilmente sull’immaginario, sui valori, sulla cultura di tanti giovani della generazione di René Tardi. Quei ragazzi “sfortunamente” nati troppo tardi (René Tardi è nato nel 1915) per prendere parte a quel “glorioso” conflitto la cui realtà era oramai avvolta dalla coltre del mito, in particolare in Francia, quella Francia eroica che sul proprio terreno, sulla Somme, sul Verdun, aveva opposto resistenza al piano di conquista di Hindenburg e Ludendorff, la Francia che aveva lottato per quattro lunghi anni nel fango delle trincee, per ricacciare, insieme ai suoi alleati, poche centinaia di metri alla volta, gli invasori tedeschi. La Francia degli eroi come Georges Guynemer,3, la Francia che aveva lavato l’onta della sconfitta di Sedan nel 1870 contro la Germania.
All’ombra di questo mito crebbe la generazione di René Tardi, un mito invadente, fomentato e protetto dalle istituzioni (anche dopo la seconda guerra mondiale, basti pensare ad esempio alla censura a cui fu sottoposto un meraviglioso film come Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick che ha visto la luce nel 1957 e che in Francia fu proiettato nelle sale solo nel 1975). Un mito tanto coltivato quanto asfissiante, lontano dalla realtà, alimentatore di false certezze di cui la mastodontica quanto inutile linea Majinot fu incarnazione.
Feroce è la critica in questo volume alle istituzioni e alla classe dirigente francese, storicamente colpevoli del tanto rapido successo nazista, che trascorse i mesi della drole de guerre – i mesi cioè tra l’inizio della campagna polacca (1 settembre 1939) e l’inizio di quella francese (10 maggio 1940) – in inutili azioni e beghe parlamentari: alla Camera, ad esempio, si discusse a proposito di una a dir poco improbabile spedizione militare in Unione Sovietica. Le strategie difensive messe in atto furono completamente errate e il 9 maggio (un giorno prima dell’invasione tedesca) sia il governo Reynaud che il comando militare si dimisero clamorosamente.
René Tardi non è un invasato guerrafondaio vittima della propaganda, anzi grazie ai terribili racconti del padre conosce parte della realtà bellica, è semplicemente un soldato che non può tollerare l’arrendevolezza del suo governo di fronte al nemico, non può tollerare che la novella Grande Armée tanto propagandata venga sconfitta quasi senza colpo ferire e allora cerca, sente necessario, un eroismo individuale che si risolve nel boicottaggio dell’attività dei lager attraverso azioni quasi infantili, che hanno un peso assai limitato sulle sorti della guerra, come confondere i nazisti durante l’appello, sostituire il budino di un caporale con le feci, rubare qua e là. Azioni che hanno come contropartita la violenza brutale, dalla pelota alla morte.
La nostra volontà di far danni ci dava la forza, dalla sveglia in poi, per affrontare un nuovo giorno sotto il cielo della Pomerania. I nostri sabotaggi erano una magra soddisfazione. (pag. 123)
È un eroismo che diventa rituale, forse spicciolo, frivolo, ma necessario per “andare avanti”. Il grado di partecipazione di ciascuno a questa piccola battaglia funge da unità di misura del suo valore di uomo. È il segno della determinazione a ribadire la propria dignitas hominis e della volontà di combattere contro il tentativo di riduzione dell’individuo a un numero di matricola. È l’eroismo che nel dopoguerra non è finito sul grande schermo, nei romanzi best-seller o alla tv, al contrario René e Jacques Tardi denunciano la volontà dei governi del dopoguerra di minimizzare la tragedia dei campi di concentramento e propagandare solo una parte della risposta francese all’invasione tedesca, in particolare quella della resistenza che fu legata al nome di Charles De Gaulle, che è stato l’uomo politico più importante della storia francese dopo la seconda guerra mondiale4, di cui invece le memorie di René Tardi non restituiscono una immagine altrettanto limpida.
Anche al campo c’erano dei collaborazionisti. […] Quegli spioni si vedevano già in un ministero a Vichy, ma di lì a poco avrebbero voltato gabbana, diventando membri esemplari della Resistenza. (pag. 127)
La prigionia e l’intera vicenda quindi sono vissute da René Tardi innanzitutto in qualità di cittadino francese, cittadino di uno stato che è stato letteralmente umiliato (per la seconda volta in settant’anni) dalla odiata Germania. Vi è, dunque, il racconto della rottura del protagonista con la religione, con le istituzioni e l’ordine costituito del proprio paese, una rottura che costituisce probabilmente l’unico trait-d’union con il figlio Jacques, la cui insofferenza alle istituzioni e a ogni apparato di potere ha trovato plateale manifestazione, nel gennaio del 2013, nel rifiuto della Legione d’onore.
Essendo ferocemente attaccato alla mia libertà di pensiero e di creazione, non voglio ricevere niente, né dal potere attuale, né da alcun altro potere politico. È quindi con la più grande fermezza che rifiuto questa medaglia.
Abbiamo parlato di:
Io René Tardi, prigioniero di guerra allo Stalag II B
Jacques Tardi
Traduzione di Federica Iacobelli, Francesca Scala
Coconino Press, 2014
192 pagine, cartonato, colori – 28,00€
ISBN: 9788876182532