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Io sono cattivo

Da Ultimafila22

di Giacomo Pagone 

Era strano, ma veramente non ricordavo come fossi arrivato in quella stanza, né perché fossi disteso su un lettino di pelle di ottima fattura, dando le spalle al mio interlocutore.

Ricordo soltanto che iniziai dicendo:

<<Vede, dottore, io credo di essere cattivo!>>

La stanza era buia, non mi sembrava di scorgere alcuna finestra, e il resto del mobilio era immerso nell’oscurità. Sapevo di avere qualcuno alle mie spalle, ma non ricordavo chi fosse. La stanza era pervasa da uno strano odore, come se qualcuno avesse accesso e poi spento un fiammifero. Pensai che forse il mio interlocutore avesse acceso la sua pipa.

<<Non cattivo nel senso di malvagio. Forse sì, anzi, non escludo di provare un certo piacere ad ascoltare le disavventure capitate ai miei conoscenti. Recentemente, però, ascoltare le disgrazie altrui non mi basta più. Vorrei essere io la causa di quei dolori. Mi capisce, dottore? Sono pazzo?>>

Una risata sommessa. Un colpo ti tosse per schiarire la voce.

<<Lei crede di essere pazzo?>>

<<No. Devo essere sincero, credo che il mio sia un passatempo come un altro. Le spiego quello che penso: alcuni amano giocare a golf, altri andare al cinema. Io credo che far soffrire gli altri sia il mio passatempo. Dunque, dottore, lo trova strano?>>

<<Non direi. E’ un modo come un altro di ammazzare il tempo>>

Con il passare dei minuti mi veniva il sospetto di esser diventato pazzo solo per il fatto di essermi rivolto a quel dottore. Ma poi, ero veramente stato io a chiamarlo?

Nella stanza regnava un silenzio assoluto. Non un rumore, né un movimento, né una chiamata della segretaria all’interfono per avvisare l’arrivo di un paziente speciale.

<<Lei sa dove siamo?>>

<<No di certo. Non ricordo il suo nome né il motivo per cui sono qui>>

<<Il mio nome non ha importanza. Non è un nome a far la differenza. I miei pazienti non hanno mai fatto caso al mio nome. Eppure, nessuno che abbia mai reclamato, nessuno che si sia mai offeso. Ritorniamo a noi. Chi crede che io sia?>>

<<Uno psichiatra? Uno psicologo? Un terapeuta?>>

<<Oh, non mi interessano le qualifiche, sono solo diversi modi per estorcere denaro alla gente. Intendevo dire, cosa crede che io possa fare per lei?>>

<<Non lo so. L’ha forse contattata la mia ex moglie? O il giudice?>>

<<No. Liberi la mente. Mi dica, allora, cosa vorrebbe che io facessi per lei>>

<<Beh, per prima cosa voglio che lei mi aiuti a capire perché sono qui e come ci sono arrivato>>

<<Ottima risposta. E’ un buon inizio>>

Il tempo sembrava non passare mai in quella stanza immersa nel buio della mia confusione mentale. Dove ero?

Il dottore, o chiunque egli fosse, parlava con tono ordinato. La voce profonda mi faceva immaginare il suo viso velato da un sorriso beffardo, malizioso. Sadico.

E poi c’era sempre quell’odore di fiammiferi. Pensavo ad una tecnica terapeutica. Magari aveva acceso delle candele, o un incenso, per farmi rilassare. Ma l’eccessiva calma di quella stanza faceva naufragare i miei ricordi nel mare della paura e della follia.

<<Riproviamo. Quale è l’ultima cosa che ricorda con precisione. Ci pensi bene, non abbia fretta>>

Chiusi gli occhi, cercando di pensare che se avessi trovato le risposte che cercavo, forse avrei potuto anche lasciare quella tetra stanzetta.

Non ricordavo nulla. Nella mia mente vedevo riflesso solo il buio della stanza.

<<Se le dico “casa” le viene in mente qualcosa>>

<<Alden. Mr Alden>>

<<Bene. Un nome. Crede sia il suo nome?>>

Ci pensai su un momento, poi un ricordo zampillò nella mia mente come un flusso d’acqua che sgorga da una fessura nella roccia.

<<No. E’ il mio vicino di casa>>

<<Bene. Mi parli di lui>> la voce del mio interlocutore non lasciava trasparire alcuna emozione, se non quella assurda sensazione di un sadico sorriso impresso sulle sue labbra.

<<E’ un uomo untuoso, crede di essere un gran simpaticone. Vuole essere amico di tutti, ma è inopportuno, stupido e grasso. E io lo odio>>

<<Molto bene. Ricorda qualcosa in particolare?>>

<<Ricordo di essere entrato di notte nel suo giardino e aver selvaggiamente assassinato le sue petunie da primo premio. La notte prima dell’esposizione. Il giorno dopo, appena sveglio, ho preparato una tazza di caffè e, ancora in vestaglia, sono andato a sedermi sul dondolo, nel patio della mia bianca casa di legno. Qui ho fatto finta di leggere il giornale appena consegnato, ma in realtà cercavo solo un posto in prima fila per godermi lo spettacolo. Quando è uscito di casa, tutto tirato a lucido e visibilmente emozionato per la gara del giardino più bello, dopo avermi cordialmente salutato e aver proferito qualche sciocca previsione meteorologica, si è recato dalle sue “campionesse”. Dopo il mio brutale omicidio, avevo fatto in modo di lasciare le cesoie lì accanto, in modo che non pensasse fosse stato un qualche animale a compiere il misfatto. Le sue grida e suoi pianti a dirotto hanno reso più gustoso il mio inizio di giornata>>

<<Questo è molto perfido da parte sua. E poi, ha confessato?>>

<<Oh, no, certo che no. Non mi interessa la gloria. Lui era talmente sicuro che fossero stati i piccoli delinquenti della zona, che non me la sentii di contraddirlo>>

<<Bene. Ricorda qualcosa altro. Non lo so, per esempio, riguardo al lavoro, gli amici, gli affetti?>>

Riassaporare il gusto di quella cattiveria combinata allo stolto Alden aveva scacciato i miei timori e richiamato alla mente vari ricordi, con la stessa forza di una calamita che attira il ferro.

In breve mi ritrovai a raccontare delle mie cattiverie a colleghi e amici che mi avevano fatto guadagnare una noiosa e fastidiosa solitudine.

Mia moglie aveva chiesto il divorzio per ciò che combinai durante una visita di sua madre. Durante la cena, senza farmi scoprire dalle due megere, avevo lasciato scivolare alcune pastiglie di un potente sonnifero nel bicchiere di mia suocera. Quando anche mia moglie si era messa a dormire, poi, avevo caricato il corpo addormentato della vecchia in auto. Ancora rido! La sventurata si era risvegliata, un giorno e mezzo dopo, seduta in una squallida e sporca stazione degli autobus a più di cento chilometri da casa mia. Quando, in preda al panico, aveva chiamato mia moglie, questa, dopo aver parlato con il gestore della stazione, il quale le aveva descritto con cura l’uomo che lo aveva pagato per lasciare la donna seduta senza disturbarla sino al suo risveglio, aveva chiamato la polizia. Troppo tardi, però! Io avevo già lasciato il Paese, piegato in due dalle risate, nell’abitacolo della mia auto.

<<Molto bene. Facciamo progressi. Sta ricordando molte cose>>

<<Mi dica una cosa, dottore: lei non è sconvolto nel sentire tutte queste mie diavolerie?>>

<<Assolutamente. Nel corso della mia carriera ho sentito ben di peggio, mi creda. Ho avuto pazienti le cui azioni avrebbero fatto sembrare semplici monellerie le sue cattiverie>>

Ero deluso. Volevo che anche il mio interlocutore mi odiasse, che mi considerasse cattivo, malvagio. Volevo essere condannato da tutti, godevo nel circondarmi dell’odio altrui.

Pian piano la stanza iniziava ad illuminarsi. Forse la seduta stava per finire?

<<Dottore lei può guarirmi?>>

<<La domanda è: lei vuole essere guarito?>>

<<No! Assolutamente no!>>

<<Bene, e allora io non la guarirò. Se mi permette una considerazione personale, sono contento della sua risposta. Sono stanco di tutte le persone che mi chiedono di redimerle, di dar loro un’altra possibilità. Lei è cattivo. Ne è consapevole, non lo rifiuta. Non vuole guarire, non vuole essere diverso da come è. E’ per questo che lei è nel posto giusto>>

<<E in che posto sono?>>

<<Ancora non lo ha capito?>>

<<No. Ho parlato del mio passato, ma ancora non ho capito cosa ho fatto oggi, come sono arrivato qui. E chi lei sia>>

<<Le ho già detto che non ha importanza la mia identità. Ciò che è importante, per lei, è capire come è arrivato fin qui>>

<<E come ci sono arrivato?>>

D’un tratto si accese una luce abbagliante. Quando, finalmente, mi abituai a quel violento bagliore, mi guardai intorno. Nulla. Non c’era nulla. Solo il lettino di pelle bianca su cui ero disteso. Non c’era una scrivania, né alcun elemento di mobilio, non c’era una finestra o una lampada. Ma la cosa più strana era che non c’era nemmeno il mio interlocutore!

<<Dove sono?>>

<<Lo capisca da sé. Mi dica, si ricorda cosa ha fatto stamattina? Non so, è andato al supermercato, o al parco, o, forse, ha fatto un salto in banca?>>

Banca! Certo, ora tutto era ovvio! Ricordavo tutto. Ricordavo la noia di giornate intere passate ad ordire cattiverie, a tramare malvagi piani che mi dessero l’appagamento che desideravo. E ricordo la frustrazione nel rendermi conto di non avere nessuno contro cui sfoderare la mia malignità. Allora la risposta era stata ovvia. Avevo rispolverato la vecchia pistola che conservavo nel cassetto della biancheria, ero andato nella più importante banca della città e mi ci ero asserragliato dentro, prendendo con me alcuni ostaggi. La polizia, come nei film, da fuori mi gridava di arrendermi, di lasciare i prigionieri e di uscire. Ma io mi divertivo a torturare le mie prede sfortunate. Puntavo la pistola contro qualcuno, premevo il grilletto e…niente! Era questo il bello! La pistola era scarica, non avevo nemmeno una pallottola. Ma questo loro non lo sapevano!

Sentire gli sguardi di odio della gente intorno a me mi ubriacava di felicità. Fino al momento dell’irruzione mi sentivo invulnerabile. Appena la porta si era aperta, avevo visto il proiettile partire dall’arma del poliziotto. Poi più nulla. E d’un tratto mi ero ritrovato disteso sul quel lettino, nella stanza immersa nel buio.

<<Quindi, sono morto?>>

Era ovvio. Avevo trovato la risposta ai miei interrogativi. Ero lì in attesa di andare in un altro posto. Era tutto così assurdo!

<<Quindi lei è…>>

Dal nulla si aprì una porta bianca e ne uscì un distinto signore. Indossava un completo grigio su una camicia bianca. La cravatta grigia richiamava il colore dell’elegante cappello che indossava. D’un tratto capì cosa era quell’odore tanto strano che sentivo: zolfo!

<<Vede, come le ho già detto, non importano i nomi o le qualifiche. Lei forse mi avrebbe immaginato con zoccoli caprini, una lunga coda nera e un bel paio di corna, ma ognuno mi vede per ciò che si immagina io sia>>

<<Questo vuol dire che andrò…>>

<<Mio caro amico, abbandoni i legami con un’altra vita. Ora lei non ha un passato. Mi segua>>

Detto ciò aprì una porta rossa che risaltava nel bianco della stanza. Da subito percepii un forte calore, delle urla e, ovviamente, la puzza di zolfo.

<<Finiva così! Come le dicevo, dottore, del seguito del sogno non ricordo nulla, se non un piccolo particolare: mi sentivo bene. Non triste, né allegro, solo in pace con me stesso.
Allora, mi dica dottore, che cosa ne pensa?>>


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