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Io sono qui (Visioni Fuori Raccordo 2010)

Creato il 18 novembre 2010 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

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Giovanni, giovane sardo disoccupato, cerca una svolta nella sua vita: prova con l’esercito, finisce in Kosovo e trova la morte per avvelenamento da uranio impoverito causato dalle armi usate dalla Nato.

Claudio Baglioni non c’entra veramente nulla con questa breve opera, curatissima nella forma e abbastanza originale nel contenuto. Il corto ha vinto il primo premio del concorso “Storie di emigranti sardi”.

Piredda viene dal montaggio e si nota: non tanto nella correttezza formale, quanto nell’idea stessa di strutturare una storia lineare dividendola in due (Giovanni in Sardegna e Giovanni in Kosovo), narrate in un montaggio parallelo che converge verso un simbolico finale. Bella fotografia, che gestisce sapientemente tanto i toni caldi degli stupendi paesaggi urbani e naturali della nativa Sardegna quanto quelli freddi di un Kosovo fatto (per dirla con Allen) di ombre e nebbia, pur mantenendo una certa omogeneità. Anche le scelte di ripresa convergono verso questo dualismo: cavalletto e riprese statiche per la patria a sottolineare come la Sardegna sia un’Italia in piccolo, cioè un Bel Paese dove tutto è eternamente bello ed immobile e nulla cambia mai; camera a mano per il Kosovo perchè arruolarsi ed “emigrare” in guerra comporta un percorso interiore personale che lascia un segno indelebile, molto al di là delle immediate conseguenze fisiche.

I contenuti morali e sociali si fondono nel percorso narrativo e non vengono mai presi di petto, il che può dare al primo impatto una parvenza di superficialità che quest’opera non ha: in realtà, ne demarca la sua compiutezza. Come non è un caso che, in un film che parla di guerra, non voli una pallottola. Perchè la guerra di oggi non uccide sparando, perchè gli amici sono più pericolosi dei nemici, perchè la frustrazione nell’era della tv (l’ossessione di Giovanni per “Beverly Hills 90210″) non risparmia neanche gli abitanti di un ozioso e spensierato paradiso, perchè rischiare la vita in guerra vale tre milioni al mese per uno stato che in teoria in guerra non è, perchè in un sistema malato spesso quella è la via più breve quando non l’unico modo per guadagnarseli quei tre milioni. Perchè, come ne “Il processo” di Kafka, il nemico non mostra mai il suo volto, ma se ne avverte costante la presenza.

Più che emettere sentenze, è un corto che lancia spunti di riflessione con occhio appassionato e partecipe, avvalendosi di un bel ritmo e di un azzeccatissimo cast. Finale malinconico dal sapore agrodolce, fra il cameratesco e fraterno ricordo degli amici e un allegorico omino del calcio-balilla sul fondo del mare sballottato dalla corrente, per una pellicola che non ha detto molto, ma quello che non ha detto ce lo ha fatto pensare.

Angelo Mozzetta


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