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Trama:Illinois, fine anni ’50. Raymond Euripides Trevitt ha otto anni, è carino, ha un temperamento irrequieto e vuole trovare la sua identità, il suo posto nel mondo. Il passaggio dall’età dell’innocenza all’adolescenza lo cambierà profondamente, ponendolo di fronte a domande universali la cui sola risposta può arrivare dall’esperienza diretta. Come accadde all’Holden Caulfield di Salinger, Ray capirà attraverso le vittorie e i fallimenti, le amicizie e gli amori, i tradimenti e gli abbandoni, che l'unico modo per conoscere se stessi è accettare le esperienze che la vita ci pone innanzi. Un toccante e luminoso racconto su che cosa significhi affrontare un rito di passaggio, inevitabile e necessario.
L'autore:William Goldman. Nato a Highland Park nel 1931, è uno scrittore e sceneggiatore statunitense. Inizia a scrivere da giovanissimo. La penna e l'amore per il grande schermo trionfano nel 1976, anno in cui Il maratoneta sbanca al botteghino. Il film, con protagonisti Dustin Hoffman e Laurence Olivier, è tratto dall'omonimo romanzo di Goldman, che firma anche la sceneggiatura. Ha vinto l'Oscar per la migliore sceneggiatura originale nel 1970 per il film Butch Cassidy e nel 1977 l'Oscar per la migliore sceneggiatura non originale con Tutti gli uomini del presidente. È autore di numerosi romanzi, per adulti e per bambini. La principessa sposa (Marcos y Marcos) è uscito in Italia nel 2007.
Recensione:Trovarsi di fronte ad un romanzo di William Goldman è un'esperienza da vivere.
Sappiamo che si tratta di pagine scritte dall'autore de Il maratoneta, da cui fu tratto lo splendido film con Dustin Hoffman e Laurence Olivier, e che dalla sua penna sono nate le sceneggiature vincitrici dell'Oscar di Butch Cassidy e Tutti gli uomini del presidente.
Se poi si aggiunge che quel suo libro per ragazzi, La principessa sposa, non è altro che La storia fantastica, quel film che da bambini ci aveva fatto sognare (riguardandolo da adulti ci ha fatto sorridere con imbarazzo e nostalgia), William Goldman si è già guadagnato un bel posto se non ancora nel nostro cuore, nella nostra stima e considerazione.
Io sono Raymond, o meglio The Temple of Gold.
Niente da eccepire riguardo all'adattamento italiano del titolo: credo che entrambi racchiudano in sé il senso del romanzo, sottolineandone due diversi aspetti.
Il titolo inglese punta sull'incapacità del protagonista di raggiungere quel Tempio d'oro, forse perché non esiste, forse perché Raymond non è in grado di vederlo, di toccarlo.
Il titolo italiano sottolinea l'aspetto biografico del romanzo, ma quella frase "io sono Raymond" la sento pronunciata a braccia aperte, come se ci si volesse scusare di ciò che si è. Io sono Raymond, sono fatto così, non potete aspettarvi altro da me. (non potete aspettarvi che un ragazzo raggiunga il suo tempio d'oro...).
L'approccio alla storia, con il bagaglio di quei titoli così pregni di significato e così pesanti, non avviene a cuor leggero. Sappiamo che dobbiamo affrontare una storia profonda di crescita e maturazione, che non sempre sarà piacevole e divertente. Ci hanno avvisato: Raymond potrebbe essere il compagno virtuale di Holden Caulfield: ci abbiamo creduto e un tantino lo abbiamo anche sperato, in fondo Holden ci ha fatto compagnia durante l'adolescenza e abbiamo imparato ad amarlo.
Purtroppo durante la lettura abbiamo dovuto accettare che non è Holden, che non li si può accostare: Raymond potrebbe essere il compagno cattivo del nostro eterno catcher in the rye.
Figlio di un professore universitario, uno dei maggiori esperti della figura di Euripide, un uomo serio, convenzionale, e di una madre amorevole, Raymond Euripides Trevitt sente sulle spalle il peso di quel nome, di quel padre e delle aspettative che i genitori ripongono in lui. Puntualmente disattese. Non sarà una cima a scuola, non sarà particolarmente brillante nella vita, non sarà un esempio da seguire né per i giovani di allora né per i giovani di ora.
Raymond sembra vivere in ogni suo gesto, in ogni sua scelta una perenne crisi adolescenziale. Un non sapere dove, come, quando e perché. Sembra sia un ragazzo che preferisce lasciarsi vivere, senza dover necessariamente essere responsabile delle sue scelte, piuttosto che aprire gli occhi e decidere. L'amico di sempre, suo vicino di casa, Zock, che ha condiviso con lui gli anni più belli e le esperienze più esaltanti, sa cosa vuole. Entra ad Harvard. Ama la poesia. Ama la sua ragazza. Trova la sua stabilità. Mentre Ray resta lì, immobile, nelle scelte che non lo fanno avanazare e che bloccheranno anche l'amico, causandone la morte.
Si parla di romanzo di formazione, ma si ha l'impressione che Raymond non ne esca particolarmente "formato". Sembra un eterno adolescente, costantemente preda degli impulsi del momento.
Ad un giovane così, sarebbe servito un genitore con un pugno di ferro. E invece... invece neanche quel padre così rigido e serio ne è stato capace, neanche lui ha saputo essere d'esempio e dare una corretta educazione al figlio.
Raymond è Raymond, è solo, senza l'aiuto di nessuno. Non saprebbe che farsene, non saprebbe come utlizzarlo.
Una storia che dovrebbe essere di crescita, di maturazione e che risulta triste, disperata, disillusa: davvero non c'è nessun tempio d'oro che ci aspetta?
Piccola nota a margine:
Nella recensione non ho voluto puntualizzare né far riferimento alla presenza notevole di refusi nel testo.
La recensione va al lavoro di Goldman, e non alla sua traduzione in questo momento: almeno io ho preferito valutare essenzialmente quell'aspetto.
I refusi ci sono, e durante la lettura portano a chiedere se la colpa sia da attribuire a una traduzione superficiale o a un non accurato lavoro di editing e correzione. La casa editrice ha affermato che è andato in stampa il testo non corretto e si scusa per il disagio.
Spero vivamente che ci sia una nuova ondata di copie rivedute e corrette, perché è un romanzo che merita di essere letto senza troppe distrazioni (e gli errori, si sa, distraggono e innervosiscono molto).
Titolo: Io sono Raymond
Autore: William Goldman
Editore: Mattioli 1885
Pagine: 240
Prezzo: €15,90
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