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Lo so, ho latitato. E non solo per le vicende familiari e sentimentali.
Ma iniziamo dal principio. Sabato 16 aprile, in una giornata primaverile e assolata, La Vostra Eroina si dirige in stazione a recuperare L’amico che viene apposta dal profondo Sud per tenerle compagnia a qualche giorno dall’ennesima fine (annunciata) dell’ennesima storia.
Quando ancora stanno decidendo cosa mangiare a pranzo, arriva la telefonata dell’Ex e si preannuncia il dramma. Non fino a quel punto, però. Malli è caduta, andando - come sempre a piedi scalzi – dalla vasca al letto. Risultato: frattura scomposta al femore e viaggio in elicottero fino all’ospedale di Milazzo. L’eroina chiaramente scoppia in un pianto disperato, visto che da quando è mancato Genitore teme sempre che possa succedere qualcosa a Genitrice, lo spirito libero che ha scelto di vivere da sola nel posto più scomodo del globo terracqueo. Intanto L’amico si dispera, perché ogni volta che vede La Vostra Eroina, quella è in preda a qualche invalicabile crisi esistenziale (anzi: grazie bellino, ti voglio bbbene).
I due, smadonnando in turco ottomano, decidono di prendere il treno alla volta di Milano e di lì quello che avrebbe portato L’eroina nella ridente località marittima. Ma qualcuno, probabilmente più incazzato di loro quel giorno, si butta sotto un treno, e tutte le corse per Milano vengono soppresse.
Dopo aver creato un centinaio di apax in parolacce, L’eroina chiama Zio (in quel momento impegnato nello shopping a 35 km dalla città) e gli chiede disperata di accompagnarla a Milano. Ma il traffico della metropoli è in agguato, perciò Zio consegna L’eroina e il suo prode (e silenziosissimo) scudiero al loro destino, nella desolata stazione della metro di Cologno Monzese.
Raggiunta la stazione centrale, L’amico si accomiata, dopo aver sopp…ehm, sostenuto L’eroina per tutta la giornata. Lei finalmente si siede sul treno, in una carrozza degli anni ’30 che odora di piscio e sconfitte, guarda le quattro donne calabresi che viaggeranno con lei e ricomincia a respirare. Finché non sente arrivare dal corridoio delle urla disumane in un italiano precario. Una donna enorme di origini africane, ancora sbraitante, irrompe nella cuccetta con una valigia di dimensioni simili alle sue; sposta le valigie di tutte le altre compagne di viaggio (L’eroina si salva, ché lei ne ha solo una piccola riposta sotto i sedili) e fa entrare il suo compagno, con altre due borsoni delle stesse dimensioni. L’eroina non prevede nulla di buono, e infatti le quattro calabresi si mettono a disputare con questa mastodontica donna con i capelli sparati in su e gli occhi di una che è meglio non fare incazzare. Quando le acque si calmano, è il momento di dormire. La Vostra, sollevata dal non essere entrata a far parte della colluttazione di poc’anzi, già s’appresta al sonno, quando la donnona: “Qual è tuo posto?”, le chiede cattiva.
“Scusi?”
“Che numero hai? Quello è mio posto!”
Il terrore e la stanchezza suprema invadono il volto dell’eroina.
“Senta, questo è il mio posto, ma se lei lo preferisce io glielo cedo volentieri: basta che mi faccia arrivare a Milazzo domattina”.
Così sono iniziati i miei 17 giorni nel reparto di ortopedia dell’ospedale Fogliani, tra la signora Brambilla di Pioltello, che occupava il letto 17 da tre mesi; Gigante buono, il caposala in stile Mastro Lindo con un sorriso gentile e l’odio per tutte le santelle delle vecchie presenti (testimone di Geova…); Sky News 24, un signore che camminava su e giù per il corridoio di giorno e di notte, commentando notizie a voce altissima; Sgracchiolo, un vecchio col braccio rotto che fingeva sempre di sbagliare stanza per entrare in quella di Malli ma il suo arrivo era tradito dal fatto che scatarrasse in continuazione; Loris l’infermiere impomatato, che mi parlava rivolgendosi alle mie gambe quando avevo la gonna o mi consegnava le medicine per Malli sulla porta e poi aspettava gliele portassi, fissandomi il sedere, quando avevo i leggins, sotto lo sguardo divertito e le battute sempre meno contenute della sardonica Malli. E mille altri figuranti di egual spessore.
Devo dire che Malli non ha perso il suo spirito nonostante l’infermità (tuttora perdurante) e i dolori, riuscendo a ristorare me per le mie sofferenze amorose (certo, la vicinanza a Lipari e il fatto ce tutti mi chiamassero per chiedermi come mai D. non mi facesse compagnia, non aiutavano molto…), dispensando saggi consigli quando, finalmente, D. è arrivato (“Ricordati solo che il sesso non risolve i problemi”, mi ha urlato sulla porta. “Ma mamma…!”) e facendomi trascorrere una Pasqua a due molto tradizionale con agnello e fetta di colomba.
Certo, le notti in bianco su quella poltrona in posizione “supposta” non si contano.
Ore 01, 32: “Oh! Ohoooo!! Sento Frattini. Lo senti, Frattini?”
“Mamma, ti prego, dormi”
“Vai a sentire cosa dice…”
“Ma cosa vuoi che dica, Frattini?”
La sua follia naturale è stata accresciuta da un antibiotico cui era allergica, da continui cambiamenti di stanza con il letto 16 che non girava (gli ha dedicato anche una poesia che ha scritto di notte, però ho dovuto dirle che in sala operatoria gliel’hanno cambiato, il letto 16. Non si è più ripresa), da compagne di stanza un po’ moleste (quella con il quadro di Padre Pio, la signora con l’alzheimer che le urlava giorno e notte, mentre era a letto con 8 chili di trazione, “Alzati e vieni ad aiutarmi!! Perché non ti alzi??” e quella che ha mandato simpaticamente affanculo perché si lagnava dei suoi lamenti postoperatori).
Ha passato giorni e notti a scrivere bigliettini (“i pizzini”) che poi mi ha fatto spacciare le rare volte che sono stata a Lipari o quando uscivo dall’ospedale.
Siccome non usciva più dalla sala operatoria e ha creato problemi anche lì, le abbiamo mandato dentro un pizzino noi. Quando ha iniziato a star meglio, il dottore è uscito a dirmi che aveva “ricominciato a parlare in quel modo”, con gesto eloquente, e io ho smesso di piangere.
E’ diventata ancor più nevrastenica e si è negata alle amiche che la chiamavano accampando scuse per non andarla a trovare.
Mi ha chiesto, finito il cruciverba di prima pagina della Settimana Enigmistica, se lo scopo fosse scoprire che quello nella foto era Kevin Kostner, quando sotto la foto campeggiava la scritta “Kevin Kostner”.
Mi ha fatto creare un finto prato con il tulle verde su cui ho dovuto mettere pulcini, ovetti e coniglietti per Pasquetta. La sua stanza pullulava di fiori, un palloncino con sole sorridente e con occhiali, campanellini, peluche, e leccornie.
Avendo con sé solo la valigia con cui stava partendo per venire nel Nord, ha passato 20 giorni con mise al limite del sexy-chic.
Si è innamorata di La Cava, un bel dottore che fa le vacanze a Lipari e che lei ha definito “siculo-arabo”, per contrasto con l’altro dottore, “siculo-normanno”. Ma che – il furbo!- opera solo le ragazze della pallavolo che si rompono il menisco.
Ha confessato al suo chirurgo che vive al Sud perché ama la Sicilia e i siciliani, e lui le ha risposto “Peccato, sono calabrese”.
Alle sei e mezza di mattina, invece del solito caffè che ogni giorno le prendevo al bar fuori l’ospedale, ha preteso una brioche col gelato. “Al pistacchio. Ma solo se è di Bronte. Quello di Bronte dev’essere verdino chiaro, quasi grigio. Non verde, mi raccomando, grigio. Perché poi…” Ma io ero già in fondo alle scale.
Ha mangiato cioccolatini di nascosto mentre dormivo, ritrovandosi una mattina un ovetto completamente spiaccicato sotto la schiena. E vaglielo a spiegare, agli ausiliari, che era un ovetto.
Mi hanno chiesto, seriamente, se avesse problemi psichici. Tre volte.
Chiedeva sempre di vedere le isole, perciò un giorno un infermiere più pazzo di lei, le ha fatto fare con il letto tutto il corridoio, l’ha incastrata tra le due file di piante e l’ha parcheggiata davanti alla finestra. Lei si è tirata su (“Guarda come faccio Yuri Chechi!!”) e… ha visto solo la raffineria di Milazzo, perché quel giorno c’era foschia.
E’ stato un periodo strano, stancante, doloroso e bello, ci siamo ritrovate e ci siamo scommesse. Ancora non sta bene, fa disperare le amiche e ha ricominciato l’antibiotico, forse salirà a fine mese. Chiaramente non potrà fare i 4 piani di scale per raggiungere la mia mansarda. Ma sono fiera di lei, felice di una nuova amica incontrata per caso, delle cose che io ho – finalmente - capito e di una persona (due, persone…) che mi sono state vicine mentre ero lontana.
Ho nuovi progetti, tutti microscopici e preziosi come miniature.
Ve ne parlerò strada facendo, mentre camminiamo insieme.
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