And now, the end is near and so I face the final curtain, cantava Frank, tanti anni fa, prima che nascessi.
Tutte le cose belle finiscono, prima o poi. Anche quelle brutte, in realtà. La differenza sostanziale è che le prime si rimpiangono, mentre le seconde, laddove possibile, si tenta di rimuoverle.
Il mio primo libro vero l’ho letto ad otto anni. Orgoglio e pregiudizio. Jane Austen. Come mi sia capitato in mano, non è dato di sapere.
Lo amai moltissimo. Forse il libro che ho amato di più. Magari perchè il primo amore non si scorda mai, o più probabilmente perchè è semplicemente un gran libro.
Dopo quell’exploit, mi ricondussero a frequentazioni all’epoca considerate più consone per una bambina, la Alcott, ma anche Kipling, la Hodgson Burnett, ma pure Malot.
Resta che ha ragione Stefano Benni, in A rebours (da Ballate)
La mia vita la potrei raccontare attraverso i libri.
Anni ’80. Un’adolescente introversa ed insicura trascorre le sue serate leggendo con la radio accesa. E si perde nella campagna inglese, in compagnia della zia Agatha
Anni ’90. Quell’adolescente è cresciuta. Sembra ancora introversa, ma, per quanto gli altri non lo sappiano ancora ha smesso di essere insicura. Nel frattempo, si è letta una quantità di classici e, pur non amando particolarmente Eco, è d’accordo con lui quando dice:
A metà degli anni ’90 quell’adolescente è ormai una donna. Sa cosa vuole, anche se forse non benissimo come prenderselo. Ma ci sta lavorando. Legge ‘La fine del lavoro’ di Jeremy Rifkin
e ci crede pure. Vent’anni dopo ripensa a cotanta ingenuità e ne è, pur tuttavia, orgogliosa. Perchè se non hai sognato da giovane, da vecchio, che ti resta?
Col nuovo millennio arriva l’età adulta (per quanto non è che prima sia stata propriamenti infanzia, eh). Il lavoro, le responsabilità. La vita a due, prima. La maternità, poi. Il partire, per poi sempre tornare. Le amicizie variegate. L’insicurezza di fondo che lascia lo spazio ad una consapevolezza sempre nuova. L’imparare a chiudere certe emozioni in un comparto a parte, perchè, banalmente, quelle emozioni sono un lusso che, là fuori, non puoi permetterti.
E smetti di limitarti a leggere per cominciare a rileggere. Con la consapevolezza dell’esperienza, che, inevitabilmente ti cambia.
E quando Aureliano Secondo dice:
Apparteniamo ad una generazione che si è vista sconvolgere ogni certezza. Siamo cresciuti nel mito del posto fisso e abbiamo imparato a vivere nell’incertezza. Abbiamo scritto con la penna stilografica e ci siamo trovati ad armeggiare con tablet e pc. Abbiamo infilato gettoni d’ottone in una cabina telefonica e sospirato parole d’amore nelle cornette di vecchi duplex, cercando di rubare istanti di privacy in tinelli condivisi, e ci siamo ritorvati a compulsare frenetici gli smartphone, e a vedere crescere i figli degli amici sulle pagine di facebook.
Abbiamo persino imparato a leggere i libri sui reader, che son comodi, leggeri, non tengono posto e ti consentono di portarti appresso una biblioteca.
Ma nessun tablet riuscirà mai a rendermi la magia di quella notte d’estate in cui vidi sorgere l’alba perchè semplicemente non potevo concepire di dormire senza aver terminato