E poi, come detto da altri, giusto inseguire i propri sogni, ma quando i problemi sono altri, come quello monetario, ed il bisogno diventa lavorare il più presto possibile…beh, bimba, forse dovevi mettere da parte i desideri e fare un ulteriore sacrificio studiando altro.»«Io lavoro in un piccolo studio grafico, mi capita di vedere molti portfolio di fotografi "medi" (non certo dei geni della fotografia), ho guardato il tuo sito, e se quello che ho visto fosse stato il tuo portfolio l'avrei scartato subito, ritenendolo poco più che amatoriale.»E molte altre, che insistono sull'inutilità dello studio, sull'ipocrisia nel dire #iosonopovero (perché uno più povero c'è sempre), sull'impossibilità di rimanere in Italia e, quasi di contrappasso, sulla velleità di trasferirsi all'estero.Ma c'è una critica che riassume tutte le altre e voglio portare come esempio:«Liberi di fare gli ipocriti, ma una scuola per fotografi è considerabile un titolo di studio? No. È risaputo o no che questi sono lavori che non danno occupazione? Oggi se vuoi lavorare o fai un istituto tecnico o una materia scientifica all'università, altrimenti al 99% non troverai mai un lavoro che rispecchi il tuo titolo di studio.
I sogni sono per gli eterni bambini, gli inconcludenti: bisogna trovare una giusta posizione intermedia tra ciò che è realmente giusto fare e ciò che in mezzo a quelle cose può interessare maggiormente. Per quanto mi riguarda, questa ragazza, come tantissime altre, ha buttato soldi, specialmente per i viaggi all'estero che spesso nemmeno giovani economisti o ingegneri o medici possono permettersi.
Questa è l'Italia. C'è chi dice che bisogna ripartire dalla cultura. Io non sono d'accordo. La cultura va incentivata e coltivata ma, esattamente come per il turismo, non si può vivere solo di essa: l'Italia deve ripartire dall'industria pesante e introdursi nel mercato dell'elettronica, e nel frattempo alimentare i beni culturali come fa qualsiasi paese civile.»I sogni sono per gli eterni bambini e per gli inconcludenti? In altri articoli ho trovato crudi e disillusi commenti alla "mentalità da Steve Jobs", che avrebbe reso hungry e foolish una generazione di sognatori, ma non hungry e foolish nel senso di "affamati" e "temerari", ma in quello meno lusinghiero di "stupidi" e "morti di fame".Roberto Saviano, nella lunga intervista di Daria Bignardi per Le Invasioni Barbariche, invitava a seguire i propri sogni perché, causa la crisi, essere musicista o dentista comportava la stessa identica insicurezza di fronte al futuro.E sempre sull'inadeguatezza al tempo in cui viviamo, sul rifiuto di essere hungry e foolish, choosy o bamboccioni avevo letto (e consiglio a tutti) un lucidissimo intervento su Solferino 28, un blog del Corriere della Sera, ma mai avevo sentito un ritorno alla disillusione così determinato e a tratti anche violento.Trovo difficile interpretare queste tendenze, condurre a razionalità anche i commenti di pancia, comprendere le ragioni di chi si sfoga con un "te la sei cercata" di fronte ad un #iosonopovero, trovare un confine tra vittimismo, sadismo e reale ipocrisia. E ancora più difficile è cercare di cogliere i significati di un momento storico a partire dalle testimonianze che, tuttavia, meritano di essere riportate e condivise.Studio il mercato del lavoro per professione e per passione (come quella che mi porta a scrivere su questo sito) e sono sempre più convinto che se crisi ed incertezze esistono non sia colpa soltanto di istituzioni e mercato.