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Iper-inferno [4]: Bifrons

Da Ludovicopolidattilo

Iper-inferno [4]: Bifrons

Di cosa si tratti è “spiegato” qui: [000], [00], [0]. Capitoli precedenti qui: [1], [2], [3].

Di desiderio e di terrore mi debbo nutrire. Così la mia oscillazione decreta sia il millennio incombente a nutrirmi del primo, avendo io partecipato, nei mille anni precedenti, a una libagione di angoscia sufficiente ad appagarmi sino a rendermi sazio senza indecisione o indulgenza nel definire così. Ogni mille anni un nuovo cibo, ogni mille anni una nuova pena. Tale la configurazione dei miei appetiti: ciclica e meticolosa.

Nel mio ventre si abbia un meccanismo e questo disponga di una leva incline ad azionarlo o a frenarne l’inerzia. Sulla leva si ponga la mano e il capriccio di una divinità in vena di lazzi, irrisione e sotterfugi. Allo scadere del tempo decretato le dita del nume stringano il legno della leva per variare portata e foggia del pertugio a cui i miei nutrimenti debbono conformarsi per fare in me il loro ingresso. Ciò, naturalmente, mi imponga di variare dieta. Nel millennio la cui fragranza ha appena iniziato a diffondersi nella camera – come si diceva – null’altro i miei visceri potranno ospitare dal desiderio, dai suoi attori, dai suoi prodotti, dalle sue conseguenze, dai suoi contesti e circostanze.

Tuttavia le consuetudini di ben dieci volte cento anni sanno depositare un sedimento a tal punto coriaceo da consentire di innalzarvi una cattedrale senza tema alcuno circa la stabilità dell’edificio. Ciò – si converrà – rappresenta motivo e pretesto per rendere la transizione assai più progressiva rispetto a quanto vorrebbe sancire la fisiologia. In base a quanto quest’ultima stabilisce, infatti, dalla mezzanotte dell’ultimo giorno dell’ultimo anno del millennio la mia bocca, la mia gola e il mio addome saprebbero e potrebbero accogliere tutt’altro da prima, e da tutt’altro da prima trarrebbero nutrimento.

Si dice sia scritto dove deve essere scritto. Si dice che i numi leggano bene cogli occhiali inforcati le istruzioni prima di fare, generare o sterminare. Salvo villeggiature che lì si tollera e volta il capo verso coloine fresche e verdi. Si dice accada come deve accadere poiché è scritto dove si diceva. La natura degli esseri che vengono da dove io vengo e pisciano quello che io piscio non si dà per giuoco bensì per legge. Divagare o indugiare può darsi di rado e poco, per il resto la legge si chiama Hypertartaros.

Ciò che la mera impietosa fisiologia – impasto di tendini e carta insudiciata dalla calligrafia del legislatore – non sa considerare, ma che il senso dell’umorismo del nume suddetto tiene senza dubbio in conto, è che il mio essere sia anche di occhi, di dita e di altri meno pubblicamente nominabili organi cui il nuovo cibo potrebbe non procurare la consueta voluttà, essendo essi avvezzi a sapori e aromi di natura assai differente.

Per questo all’interezza del mio essere occorre più tempo rispetto a quello imposto dal nume a stomaci ed esofagi, occorre un passaggio di inusitata morbidezza, occorre infine, e soprattutto, un compromesso. Il desiderio dovrà dunque rimanere per un tempo attualmente non definibile sodale del terrore e i due assecondarsi e collaborare all’individuazione di un nuovo equilibrio.

Durante il tempo necessario cercherò paesaggi e individui e modi inclini a tale commistione. Ciò finché la natura sia assecondata e l’appetito mio, infine, placato.



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