A cura della Dottoressa Anna Chiara Venturini, psicologa psicoterapeuta a Roma
Il panico è un disturbo ad eziopatogenesi complessa : l’eziologia risulterebbe dall’interazione tra fattori ereditari, rappresentati da una particolare vulnerabilità alle reazioni di paura e ansia (sottese da una specifica sensibilità di alcuni circuiti), ed eve
nti di vita stressanti, come alterazioni dell’attaccamento emozionale ai genitori o traumi in età adulta che coinvolgono l’attaccamento e la separazione; la patogenesi non può che essere biologica, l’attacco di panico rappresenta una risposta comune verosimilmente mediata da specifici circuiti cerebrali. Una vulnerabilità biologica potrebbe essere un fattore predisponente per il Disturbo di Panico, tanto che in persone neuro-biologicamente predisposte si possono scatenare attacchi di panico tramite somministrazione di lattato di sodio che indurrebbe una diminuzione della percentuale di CO2 nel sangue. Jacob e Rapport (1984) elaborarono la teoria dell’ipersensibilità all’anidride carbonica evidenziarono le analogie tra panico ed iperventilazione. Con iperventilazione si intende una risposta che eccede le richieste metaboliche (es. la respirazione in condizioni di rarefazione di ossigeno in alta quota). Quando la ventilazione polmonare è eccessiva rispetto alle necessità fisiologiche di ossigenazione del sangue e di eliminazione di CO2 si verifica il fenomeno di iperventilazione che rende più difficoltoso l’apporto di ossigeno ai vari organi. Gli effetti immediati sulla persona sono stordimento, vertigine, debolezza e senso di svenimento; sensazioni successive sono intorpidimento di zone periferiche, spasmi, crampi muscolari, dolori al petto e aritmie cardiache.L’evidente analogia tra attacchi acuti di panico e attacchi acuti di iperventilazione suggerisce che il panico possa essere la conseguenza di pattern respiratori disfunzionali che causerebbero un’iperventilazione. Una volta che il soggetto ha avuto alcune esperienze negative di iperventilazione può diventare maggiormente sensibile a sensazioni interne solo lontanamente simili ai primi segnali di un effettivo attacco. Si crea una spirale di paura e ansia anticipatoria che può da sola esacerbare gli attacchi ed innescare un processo circolare che si automantiene, al centro del quale si colloca la “paura della paura”: il soggetto attiverà una particolare attenzione ai segni premonitori di un successivo attacco, assumendo, in questo stato di ipervigilanza, l’atteggiamento ansioso con i relativi correlati fisiologici.
E’ verosimile che si possa assumere che l’iperventilazione giochi un ruolo importante nelle situazioni collegate all’insorgenza di attacchi di panico. A ciò si sovrapporrebbe un’interpretazione cognitiva errata de sintomi conseguenti all’iperventilazione. Il prof Rosario Sorrentino, direttore dell’IRCAP (Istituto Ricerca e Cura Attacchi di Panico) della clinica San Pio XI di Roma, ha messo in evidenza come gli attacchi si verifichino più frequentemente in alcuni luoghi piuttosto che in altri, ed ha “mappato” le zone pericolose delle città : vagoni e sottopassaggi della metropolitana, autobus stracolmi di gente, treni affollati di pendolari nelle ore di punta, aule scolastiche piene di persone, uffici pubblici e privati non ventilati, pub e pizzerie nei giorni caldi del weekend e discoteche molto frequentate.
Le norme dell’ Organizzazione mondiale della Sanità per gli ambienti chiusi stabiliscono una concentrazione massima di anidride carbonica di 1000 parti per milione: tuttavia, in locali stracolmi di gente e con insufficiente ventilazione, questi limiti vengono superati.
L’alta concentrazione di CO2 viene registrata da alcuni chemiorecettori, che inviano un segnale all’amigdala, da cui si scatena il panico. Ci vuole una predisposizione genetica per reagire in questo modo alla CO2, e pare che l’essere donne manager peggiori la situazione.
(Ultimo articolo pubblicato “Pessimismo: perchè vediamo il bicchiere mezzo vuoto”? )
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