Accuseremo scrittori come Cicerone o Livio, che optano per un periodare ampio, gerarchico, di non saper scrivere? Si è che autori come quelli sullodati esprimono con il loro modus scribendi una precisa concezione del reale, improntata a prospettiva ed ordine. Cicerone e Livio sono dei classici e “classico” vale in primo luogo regolare, armonico.
Un altro esempio: Giovanni Boccaccio, come è noto, predilige costruzioni linguistiche molto complesse dove attorno al “pianeta” della principale ruotano i numerosi “satelliti” delle complementari. Anche qui si rintraccia una visione del mondo, quella pre-umanistica destinata a culminare nell’interpretazione rinascimentale che colloca l’Uomo al centro della Storia e della Natura.[1]
Quando il concetto di realtà muta, cambia anche la lingua che insieme lo traduce e lo plasma. Così, verbigrazia, un poeta come Pascoli frantuma l’architettura del periodo, disarticola la frase, la scompone nei suoi atomi fonici, poiché l’universo che egli trasfigura è disgregato, privo di un baricentro.
Oggigiorno il gusto ci induce ad anteporre uno stile paratattico ad uno ipotattico. Tuttavia, in talune circostanze, solo un impianto linguistico complesso può rendere una stratificazione concettuale. La lingua è embricata al pensiero e viceversa: non comprenderlo significa non saper né scrivere né pensare. Di tale abissale ignoranza abbiamo, ahinoi, molti e sintomatici saggi.
La padronanza della subordinazione denota la capacità di ragionare, di sviluppare argomentazioni. In verità, chi oggi propugna una prosa esclusivamente paratattica, non ha alcuna dimestichezza con la lingua e, mentre crede di essere à la page, verga testi sconnessi e scorretti, dove le secondarie spesso non sono rette da alcunché.
Vediamo un campione. Vomita Heidi: “Sono in tanti, nel mondo scientifico italiano, a essere stufi delle cretinate pseudoscientifiche pubblicate sui giornali e trasmesse alla radio e in televisione (sì, Roberto Giacobbo, sto parlando con te) e del modo in cui il giornalismo sensazionalizza il lavoro paziente di chi fa ricerca scientifica: entrambi rimbambiscono la gente, spaventano inutilmente, affossano la ricerca italiana e causano sprechi e decisioni idiote (e a volte letali) da parte dei politici.
Così per domani (8 giugno) è stato organizzato l'evento “Italia unita per la corretta informazione scientifica”: una serie di incontri, in varie città d'Italia, per fare divulgazione scientifica e fare chiarezza su alcuni temi (pseudo)scientifici controversi.
Io contribuirò nel mio piccolo partecipando alla sessione di Pavia (dalle 14:30) con una relazione sulle cosiddette “scie chimiche”, ma ci saranno relatori esperti anche per parlare di piante geneticamente modificate, di vaccini, di cellule staminali e di modelli animali nella ricerca biomedica. Siateci: è un modo per far vedere che non tutti si sono rimbambiti e che c'è ancora voglia di fare scienza per il bene di tutti. Anche dei ciarlatani e dei catastrofisti”.
Si censurino almeno la vomitevole ripetizione del verbo “fare”, l’uso di termini del registro familiare (stufi, cretinate), "pseudo-scientifiche" scritto senza il trattino, l’impiego di orridi neologismi (sensazionalizza), l’immancabile ma molesto verbo “esserci”, le cadute a rompicollo nella sintassi popolare (trasmesse alla radio)… Dulcis in fundo, si deplori la proposizione conclusiva ellittica del verbo, enunciato che resta lì impiccato. E’ indubbio che taluni Autori amano talvolta suggellare un discorso con un’ellissi, ma in primo luogo non ne abusano, inoltre la loro scelta rientra in una ricerca di efficacia e non è sintomo di analfabetismo, a differenza di quanto succede nel caso della “guardia svizzera”.
Si potrebbero soggiungere altre osservazioni, ma non intendo sviscerare un tema comunque analizzato all’interno di altri articoli. Ho tratto spunto da una balzana “critica” di negazionisti la cui tracotanza è pari solo alla loro infinita sprovvedutezza. Costoro, Attivissimo in primis, producono scritti che, nella loro pacchiana pretenziosità, sono simili alle riproduzioni in plastica del Colosseo. L’analogia con l’Anfiteatro Flavio è pressoché assente, giacché il monumento di plastica sembra una dentiera.
[1] E' una semplificazione esegetica che riporto per comodità comunicativa, sebbene il discorso sia molto più sfaccettato.
APOCALISSI ALIENE: il libro