Magazine Cinema
Che posso dirvi, scrivere in un blog che vorrebbe parlare di cinema senza saperne niente sull’argomento porta spesso ad atti compulsivi e impulsivi di (pseudo)cinefilia acuta, e quindi l’ho visto.
Tra l’altro, il tema che mi ha portato a Iracema, la schiavitù sessuale, e che mi aspettavo di trovare al suo interno, assume invece una posizione marginale poiché buona parte del film ha l’intenzione di mettere in mostra la profonda arretratezza rintracciabile nell’entroterra brasiliano del tempo.
Il viaggio della giovanissima prostituta Iracema a bordo del camion di Tião che l’ha “comperata” quasi per farsi tenere compagnia, rivela in quali condizioni versano gli abitanti dei vari luoghi. E così mentre dei politici parlano ad un tavolo di come la Transamazonica fosse la strada dritta e sicura per il progresso in grado di congiungere materialmente luoghi e persone che fino a quel momento erano collegate esclusivamente tramite la radio, nei fatti tali uomini sopravvivono in condizioni disumane lontane da qualunque forma di sostegno. La lungimiranza del potere stride nettamente con la realtà dei fatti in cui si comprano e vendono persone come fossero oggetti, i lavoratori sono sottopagati e le donne vengono abbandonate per strada una volta che di loro non c’è più bisogno.
Come dire, se le alti classi proiettano un Brasile nel futuro, il Brasile di quel momento è imbrigliato nell’arretratezza del suo presente.
Per la cronaca la Transamazonica che fu battuta nella foresta dall’esercito tra il ’69 e il ’74 non venne mai portata a termine. Resta uno dei progetti più costosi di sempre nel suo ambito nonché considerato da molti come un vero e proprio disastro ambientale.
La sostanza dell’opera è un’ibridazione che mescola fiction e documentario dal quale succhia tutta la voglia, nei limiti, di denunciare e sensibilizzare l’opinione pubblica dell’epoca. E un po’ ci riuscì arrivando anche da noi in un festival a Taormina. Detto questo è inutile negare la grezza veste costitutiva della pellicola che risulta estremamente povera oggi, e con ogni probabilità anche per gli spettatori di quel tempo.
I due registi Jorge Bodanzky e Orlando Senna non avevano evidentemente a disposizione molto materiale, né tecnico – la maggior parte delle scene, se non tutte, sono colte da un solo angolo di visuale, ovvero da un’unica cinepresa – e né umano – perché a parte Tião gli altri attori sono tutti (sor)presi nella loro misera quotidianità e lì con ogni probabilità sono rimasti –, ciò nonostante riescono a tenere in piedi la baracca. O forse ciò che mi fa credere che seppur rabberciato il film abbia una sua interezza è il finale, che quasi sorprendentemente ha un che di surreale con quelle battone ubriache marce che mostrano le tette alla mdp inconsapevoli, o noncuranti, di far parte di un film. Tião non crede più nel progresso della Transamazonica e se ne va verso altri luoghi speranzosi, Iracema, nient’altro che l’anagramma di “America”, resta in quella baracca sporca abitata da una manipolo di puttane sbronze.
Quell’utente di IMDb non aveva tutti i torti, forse…
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