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C’è un dichiarazione molto esplicita (ripresa in Italia dal Foglio) che spiega molto più di analisi, approfondimenti e statement ufficiali dei governi, la visione geopolitica iraniana in questo momento. La scorsa settimana l’ayatollah iraniano Saeedi, appartenente al corpo militare delle Guardie della Rivoluzione, ha detto che «sotto Khomeini il nostro confine era quello con l’Iraq, sotto Khamenei ─ la Guida suprema di oggi ─ i nostri confini sono il mare Mediterraneo ─ cioè la costa della Siria ─ e Bab al Mandab, che è il tratto di mare tra lo Yemen e l’Africa». Uscita che fa il paio con quella di alcuni mesi, in cui un alto generale dei Pasdaran si bullava del fatto che adesso Teheran “controlla” quattro capitali del mondo arabo ─ che sono Beirut, Baghdad, Damasco e Sana’a.
È una linea espansionistica che piano piano sta venendo fuori ─ e non solo da dichiarazioni stentoree di certi fenomeni folkloristici che dall’esaltazione del potere della Repubblica Islamica prendono lo stipendio.
Diversi analisti e osservatori, sono concordi nel dire che l’interessamento dell’Iran nelle vicende siro-irachene della lotta al Califfato (e in quelle dei ribelli yemeniti houthi), è un proxy per allungare la propria influenza e il proprio controllo su questi Paesi ─ sia nel presente, come risposta alla crisi, sia in futuro, quando magari tutto sarà finito e gli ayatollah presenteranno il conto per l’intervento.
Prendere l’esempio più paradossale di questo periodo. Il supporto ai talebani afghani per tenerli lontani dall’asse di influenza dello Stato islamico e dell’America. Perché passi per la Siria, sciita alawita alleata storica dell’Iran, passi per gli Houthi anche loro appartenenti ad una setta sciita, e passi per l’Iraq, che da Maliki (e guerra d’Iraq) in poi è stato il covo del settarismo sciita ─ e anche a quello si deve l’esperienza di successo del brand Califfato. Ma i Talebani: i seguaci del mullah Omar, il Amīr al-Muʾminīn (capo dei fedeli) riconosciuto perfino da al Qaeda, che prendono aiuti dal governo della Repubblica Islamica sciita. Un corto circuito, apparentemente.
Ma tutto è più lineare di quanto sembra. Innanzitutto, questa “bizzarra” partnership non è nuova: soldi e armi iraniane arrivavano già a sostegno dell’eterna insurrezione Taliban, con convogli di armamenti segnalati dal 2007 sulla linea di frontiera. Anche se si sta assistendo a un’escalation: in questo momento secondo i dati raccolti dalle fonti afghane e occidentali del Wall Street Journal Teheran starebbe fornendo anche consulenza e addestramento, e sembra che sia in atto una campagna di reclutamento tra gli immigrati afghani in Iran, portata avanti non ufficialmente dal governo iraniano per trovare forze fresche di rinforzo ai talebani ─ l’offerta è uno stipendio doppio, pagato da Teheran, per chi si unisce ai guerriglieri in Afghanistan. E ci sarebbero pure, secondo quanto scritto dal Telegraph, quattro campi di addestramento in territorio iraniano, in cui i Taliban starebbero facendo training.
Antonio Giustozzi, un esperto di talebani del King’s College di Londra, citato dal WSJ ha detto che senza il supporto dell’Iran in questo momento i talebani «non sarebbero stati mai in grado di spingere l’offensiva [contro il governo di Kabul] come stanno facendo ora».
La strategia è, come si accennava, quella di contrastare un’eventuale espansione dello Stato islamico: il Califfo sta riscuotendo molto successo tra i talebani e sta creando all’interno del gruppo una divisione ideologica. Il timore è che la Provincia del Khorasan dell’IS diventi sempre più forte ─ un nemico esistenziale da tenere lontano dai confini a tutti i costi. Ma non solo quello. Infatti, allo stesso tempo Teheran fa una mossa geopolitica: l’aiuto ai talebani serve da contrasto e contrappeso all’influenza americana in Afghanistan. E tutto alla faccia del deal sul nucleare, della riqualificazione diplomatica, della mano tesa di Obama.
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