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Iran nella commissione contro i diritti delle donne

Da Giacomo6001

E’ di qualche giorno fa l’ennesima beffa dell’Onu. L’Iran è stato eletto per acclamazione, e non con regolare votazione, nella Commissione on Status of Women, deputata alla difesa e alla tutela delle donne di tutto il mondo. Un seggio quadriennale, a partire dal 2011, giustificato come “vacante in organismi sussidiari”, per un Paese che punisce l’adulterio con la lapidazione dopo il seppellimento dalla vita in giù e che per le donne immodeste riserva la frusta. E’ difficile immaginare l’Iran che, insieme agli altri 44 membri della Commissione, discute di parità di genere, di avanzamento delle donne e sopra tutto di diritti umani. Chissà cosa dirà la Commissione a proposito della prigione di Gohar Dasht, nella città di Karaj, nel nord del Paese, dove dal 2005 decine di giovani donne sono state violentate e uccise. Ragazze dai 22 ai 30 anni, arrestate dalla polizia iraniana perché colpevoli di abbigliamento immorale o di uso di sostanze stupefacenti, e di cui da più di quattro anni si sono perse le tracce. Come saranno giustificate le vessazioni che le donne iraniane continuano a subire? A Teheran le giovani non possono sporgere denuncia per violenza se non con la testimonianza di quattro uomini, mentre un marito che uccide la moglie in flagranza di adulterio non viene condannato. E le ragazzine sono costrette a sposarsi con uomini che non conoscono e molto più grandi di loro, come se fossero oggetti nelle mani del padre e del futuro marito violentatore.

Per le fortuna, le dissidenti iraniane non si sono arrese all’ultima brutta figura delle Nazioni Unite. Attiviste per i diritti umani, giornaliste, blogger, registe, scrittrici e studentesse hanno inaugurato una campagna nazionale per i diritti delle donne. In una lettera aperta al segretario di Stato americano, Hillary Clinton, hanno denunciato l’ingresso dell’Iran nella Commissione on Status of Women, mostrando particolare stupore per l’elezione avvenuta tramite “acclamazione”. Ciò vuol dire, infatti, che nessuno degli Stati membri, America compresa, ha ritenuto opportuna una votazione aperta per l’Iran. Quindici anni fa, durante la quarta conferenza mondiale dell’Onu sulle donne a Pechino, Hillary Clinton diffuse forte e chiaro il messaggio per cui i “diritti umani sono i diritti delle donne e i diritti delle donne sono i diritti umani”. I 189 Paesi, rappresentati a Pechino, adottarono una piattaforma d’azione in cui ci si impegnava ad aumentare l’accesso delle donne all’istruzione, all’assistenza sanitaria e al lavoro, oltre che a tutelare il loro diritto a una vita senza violenza.

Ma oggi, guardando all’Iran, sembra che nessuno di questi punti sia stato rispettato. Il governo teocratico di Ahmadinejad è uno dei più duri al mondo verso le donne, che vivono in uno stato di semisegregazione. Le Università bandiscono le ragazze dai corsi chiave, i centri che curano i bambini sono chiusi per bloccare il lavoro femminile, per non parlare delle studentesse che provano la strada della ricerca: in Iran non c’è spazio per il progresso. E molto probabilmente la condizione delle donne iraniane continuerà ad essere drammatica, anche dopo l’elezione nella Commissione. Lo scorso 16 aprile, alla preghiera del Venerdì, il mullah di Teheran, Kazem Sadighi, ha detto che le donne che non indossano l’hijab sono responsabili della diffusione dell’adulterio e “accrescono il rischio di terremoti” nel Paese. E qualche giorno fa, un miliziano basiji, le guardie paramilitari iraniane, ha rilasciato al Jerusalem Post un’intervista da far rabbrividire. L’uomo (che ha richiesto l’anonimato) ha raccontato di aver “sposato” la notte prima delle esecuzioni giovani donne condannate a morte, aggirando così il divieto religioso di portare al patibolo una vergine. Allora era una guarda carceraria e aveva diciotto anni, ma le immagini di quelle ragazze, drogate con il sonnifero, che gridavano e piangevano dopo lo stupro non potrà mai dimenticarle.

Oltre ai diritti delle donne, Teheran continua a violare i diritti umani, sopra tutto dopo i brogli elettorali del presidente uscente Mahmoud Ahmadinejad, lo scorso 13 giugno. L’Iran non garantisce né la libertà di espressione, né quella di associazione, e in nome della sicurezza pubblica e nazionale sono previste pene che vanno dalla carcerazione, alla fustigazione, fino alla condanna a morte in alcuni casi. Organizzazioni internazionali come Amnesty International hanno più volte denunciato il ricorso alla tortura e altri maltrattamenti, facilitati da detenzioni preventive e dal divieto di accesso a un avvocato e alla famiglia. E’ ormai frequente la pratica degli arresti arbitrari eseguiti da agenti in borghese che non presentano alcun mandato ufficiale, mentre i procedimenti giudiziari sono svolti spesso senza il rispetto degli standard internazionali sull’equo processo. E – ovviamente – il bersaglio principale di Teheran sono i blogger, i giornalisti, gli intellettuali e gli attivisti delle Organizzazioni non governative. Come il caso di Hengameh Shahidi, giornalista e attivista per i diritti delle donne, arrestata tre mesi fa per le sue attività politiche e ora detenuta nel carcere di Evin, a Teheran. Condannata a sei anni di prigionia, Shahidi ha raccontato di essere stata torturata, minacciata e sottoposta a una finta esecuzione.

Come reagirà l’Onu davanti a tutto questo? Di certo non può più permettersi di cadere nel ridicolo e nel patetico, battendosi (almeno formalmente) per i diritti umani e poi eleggendo chi calpesta e massacra ogni giorno le donne. Leader mondiali come Hillary Clinton e l’opinione pubblica occidentale non possono non tener conto di ciò che sta avvenendo a Teheran e prima o poi dovranno mobilitarsi per le donne iraniane “forti, che non hanno mai fatto compromessi e hanno sempre combattuto per i loro diritti”, come ha ricordato qualche giorno fa Shirin Neshat, regista e dissidente iraniana che oggi vive a New York.


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