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Iran, Pakistan e lo spettro della guerra nucleare

Creato il 23 maggio 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Iran, Pakistan e lo spettro della guerra nucleare

L’avvertimento del primo ministro russo Dmitrij Medvedev circa la possibilità dello scoppio di “vere e proprie guerre” con l’utilizzo di armi nucleari può essere valutato nel corrente scenario della sicurezza globale come un’opportuna interiezione alla vigilia dei summit del G8 e della NATO ospitati dagli Stati Uniti. La Russia ha già avvertito gli ospitanti statunitensi che si dissocierà da qualsiasi tentativo d’imposizione di un determinato punto di vista sulla Siria e l’Iràn durante il G8.

Parlando alla conferenza sulla legge internazionale tenutasi a San Pietroburgo giovedì scorso, Medvedev ha sostenuto che “l’introduzione di tutte le tipologie di sanzioni collettive, scavalcando le istituzioni internazionali, non migliora la situazione nel mondo, mentre le avventate azioni militari in paesi stranieri finiscono solitamente con l’ascesa al potere di frange radicali. A un certo punto tali azioni, che minano la sovranità statale, possono terminare in una vera e propria guerra regionale con l’utilizzo – non sto tentando di spaventare nessuno – anche di armi nucleari”.

Chi potrebbe essere il folle da utilizzare armi nucleari nel XXI secolo a cui faceva riferimento Medvedev? Le sue osservazioni riguardavano la tendenza all’utilizzo nelle relazioni internazionali di “tutte le tipologie di sanzioni, svalcando le istituzioni internazionali”. Presumibilmente, la Siria e l’Iràn potrebbero essere le potenziali arene del conflitto.

Si consideri questo scenario. Gli Stati Uniti decidono finalmente d’interrompere la loro ambivalenza e intervengono in Siria. Naturalmente alla fine soverchierebbero la Siria. Egualmente è probabile che la Siria resisterebbe, poiché si tratterebbe per Damasco di una crisi legata alla propria esistenza. Ampie componenti della popolazione siriana si mobiliterebbero contro l’intervento straniero. In breve, le forze interventiste occidentali protrebbero trovare molteplici ostacoli una volta presenti nel calderone siriano. Questo è un contesto in cui può sorgere la tentazione di utilizzare armi nucleari tattiche per affermare la superiorità militare. La NATO ha commesso crimini di guerra in Libia per sbloccare la situazione.

Spericolate avventure militari

Uno scenario simile è possibile anche in Iràn. Infatti, la probabilità è maggiore dal momento che l’Iràn resisterebbe a un attacco statunitense come nessun altro. Può sembrare raccapricciante il fatto che gli Stati Uniti contemplino – dopo un intervallo di pochi decenni da Hiroshima e Nagasaki – l’utilizzo di armi nucleari per ottenere in maniera definitiva una vittoria in una guerra sanguinosa, ma c’è un altro “alleato dormiente” da considerare – Israele.
Chiaramente, Israele non dispone della superiorità militare per sconfiggere l’Iràn. E se l’Iràn decidesse di attaccare Israele, gli Stati Uniti proteggerebbero l’alleato dalla distruzione. Inoltre, a che punto Israele potrebbe decidere di dar libero sfogo alle proprie armi nucleari? Israele ha lasciato una consistente e documentata traccia nell’utilizzo di una forza militare schiacciante. In ogni caso, è altamente probabile che Israele sia coinvolta allo stesso modo in un conflitto in Siria.

Ora, chi ha detto che Medvedev avesse in mente la Siria e l’Iràn? Un intervento statunitense in Pakistan è un’eventualità che non può essere del tutto esclusa nel caso in cui la sconfitta in Afghanistan risultasse terribilmente umiliante per il prestigio statunitense. Inoltre, è in gioco in Afghanistan il destino della NATO come alleanza militare e potenziale organizzazione di sicurezza globale. Un vigoroso attacco al Pakistan potrebbe essere la caratteristica risposta statunitense nel caso in cui l’esercito degli Stati Uniti mangiasse la polvere in Afghanistan. In poche parole, si ripeterebbe quanto accaduto con la Cambogia.

Naturalmente, sarebbe una battaglia impari dal momento che gli Stati Uniti sono molto più potenti del Pakistan. Ma anche il Pakistan è dotato di armi nucleari, ed è qui che cominciano i guai. Come riferito da Medvedev, le spericolate avventure militari degli Stati Uniti “finiscono solitamente con l’ascesa al potere di frange radicali”. Queste osservazioni possono collegarsi alla Siria e all’Iràn, dove quasi certamente qualsiasi “cambio di regime” comporterà l’ascesa delle forze radicali a Damasco e Tehran. Ma si tratta di una constatazione fatta quasi su misura per la nuova fase in via di sviluppo della guerra civile afghana.

Nell’eventualità di una presa del potere da parte degli estremisti in Afghanistan, le potenze regionali potrebbero essere trascinate nel conflitto, soprattutto Pakistan e India, che sono naturalmente potenze nucleari. Inutile dire che qualsiasi rivalità indo-pakistana a proposito dello scenario afghano dopo il 2014 potrebbe comportare delle conseguenze negative per la sicurezza regionale. I due paesi sono impegnati in un dialogo che può sembrare promettente in questo momento, ma c’è il pericolo reale che le conseguenze della strategia statunitense in Afghanistan possano ripercuotersi sul dialogo e semplicemente indebolire i propositi connessi alla ragionevolezza. Non può essere altrimenti, poiché per il Pakistan un governo “amico” a Kabul rappresenta un interesse nazionale fondamentale, il quale non deve essere messo in discussione, mentre per l’India, l’influenza in Afghanistan è un elemento chiave per la sua strategia di medio e lungo periodo nei confronti della Cina, la quale sta diventando sempre più il pensiero ossessivo in tutto ciò che compie.

Ancora una volta, le parole di Medvedev hanno una rilevanza maggiore nella situazione concernente il Pakistan. Il punto è che, con tutte le aberrazioni che gli Stati Uniti possono individuare nelle politiche pakistane, c’è ancora un governo eletto in Pakistan. L’esercito pakistano, che controlla le armi nucleari, è tradizionalmente un giocatore cauto. Il carattere dominante del Pakistan è quello di essere un paese musulmano moderato. Tuttavia, i pilastri “moderati” dello Stato pakistano risulteranno essere alla fine le vittime nel caso in cui gli Stati Uniti continueranno ad umiliare il Pakistan al ritmo attuale. Sotto enorme pressione da parte di Washington, per esempio, il governo pakistano sarebbe in procinto di cedere e riaprire le vie di transito per i convogli NATO in direzione dell’Afghanistan. Gli Stati Uniti puntano certamente a utilizzare il Pakistan come passaggio per la “Nuova Via della Seta”. Ma ciò che è ulteriormente trascurato è il fatto che in Pakistan prevalga il malcontento, un paese che è ribollente di risentimento verso le tattiche prepotenti degli Stati Uniti nella regione e nel mondo musulmano nel suo complesso.

Cose del genere non rappresentano una “sicurezza assoluta”

Non c’è bisogno di molto ingegno per comprendere che la previsione di Medvedev può avverarsi a meno che gli Stati Uniti comincino ad esercitare una politica maggiormente moderata nei confronti del Pakistan. Qualsiasi attacco statunitense contro il Pakistan legato alla collera del momento durante la catastrofica battuta d’arresto nella battaglia afghana (che non si può escludere date le prevalenti condizioni politico-militari) radicalizzerà il Pakistan. Ed è impensabile che le forze radicali abbiano accesso alle armi nucleari pakistane. Inoltre, queste forze radicali non hanno mai nascosto il progetto del vecchio conto da regolare con l’avversario di sempre del Pakistan, l’India, anch’essa una potenza nucleare.

Senza dubbio, la dichiarazione di Medvedev sottolinea l’importanza critica di tutti gli attori globali che agiscono seguendo le regole del gioco, secondo la legge internazionale e la carta delle Nazioni Unite. È qui che l’India, che gode di una fama internazionale come potenza nucleare responsabile, deve essere molto accorta nel formulare la propria politica regionale a proposito di Iràn, Pakistan o Afghanistan. Il cuore della questione è che l’uccisione di un arciduca in una strada di Sarajevo una mattina di giugno di 98 anni fa era di per sé stesso un evento innocuo, ma alla fine ha sconvolto il mondo. La decisione del governo indiano di tagliare le importazioni di petrolio dall’Iràn può apparire un passo obbligato in sintonia con il miglior spirito dell’alleanza strategica indo-statunitense.

La decisione indiana può sembrare innocua e, probabilmente, i diplomatici indiani possono prefiggersi di ottenere delle concessioni reciproche dall’amministrazione Obama durante il prossimo incontro del Dialogo Strategico Stati Uniti-India a Washington. Anche in questo caso, per amor di discussione, Obama può decidere di fare un favore all’alleato indiano – in particolare se quest’ultimo adempie il suo impegno ad assegnare alla Westinghouse il lucrativo commercio nucleare nel mercato indiano dal valore di dozzine di miliardi di dollari – rendendo possibile tutto ciò che può comportare un rapido accesso dell’India al regime di controllo della tecnologia internazionale come il Gruppo dei Fornitori Nucleari (Nuclear Suppliers Group).

Ma, considerato lo stile della diplomazia statunitense, il quale è consolidato nell’incoraggiare gli alleati riluttanti, portandoli a situazioni senza soluzioni di continuità da dove non possono tornare indietro facilmente, come agirà l’India nei confronti dello stallo Stati Uniti-Iràn o verso le tensioni Stati Uniti-Pakistan o dopo il fallimento della strategia statunitense in Afghanistan?

Inoltre diventa impossibile delineare una strategia se e quando l’incendio avvolge la casa del vicino. In poche parole, questi sono tutti paesi vicini all’India – Iràn, Pakistan e Afghanistan – e sarebbe controproducente per sé stessa, se l’India ponesse la propria cieca fiducia nella sicurezza quando la regione si sta avviando pericolosamente alla catastrofe.

Ci sono momenti in cui l’India deve sostenere che le politiche regionali degli Stati Uniti – verso il Medio Oriente e l’Asia Centrale – pongono in serio pericolo gli interessi indiani di lungo periodo. Comportarsi docilmente, invece, come un cagnolino, come ha fatto il governo indiano a proposito delle sanzioni all’Iràn, potrebbe anche non essere la migliore linea opportunistica disponibile.

(Traduzione dall’inglese di Francesco Brunello Zanitti)


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