L’ultimo album degli Iron Maiden che mi è piaciuto davvero e ripassa con continuità nel mio stereo è Brave New World. Sono fra i tanti che, di fronte alla successiva deriva progressive sbrodolona, si sono limitati ad alzare le spalle con bonaria indifferenza. I Maiden sono come la mamma, quindi non scriverò mai nulla di offensivo o sprezzante sui loro lavori più recenti, che ho però ascoltato pochissimo, relegandoli quasi subito all’oblio. Buon per Steve Harris se si diverte e trova gratificazione componendo brani con arpeggi di mezz’ora e il ritornello ripetuto a mo’ di mantra per sessanta volte di seguito, nel tentativo di evocare un malinteso senso di epicità. Però non è roba che mi interessa, ecco.
Eppure da The Book of Souls, fuori il 4 settembre, qualcosina me l’aspetto. Non chissà che, giusto qualcosina, sebbene, scaletta alla mano, cinque pezzi su undici superino abbondantemente la barriera dei sette minuti (l’ultimo, Empire of the clouds, firmato dal solo Bruce Dickinson, ne dura addirittura diciotto). La ragione principale di questa timida e vaga fiducia è che, a leggere i credit, l’apporto compositivo di Smith e Dickinson è superiore al solito, quindi è legittimo attendersi un disco quantomeno più movimentato di The Final Frontier. Proprio il chitarrista e il cantante sono gli autori di questo primo singolo. Speed of Light sembra il classico apripista che poi finisce per c’entrare pochissimo con il resto dell’album al quale ci hanno abituato gli Iron Maiden del terzo millennio, tipo Different World o Rainmaker: riff semplici e incisivi, ritornello efficace (Dickinson appare un po’ forzato ma ha pure avuto i guai di salute che sappiamo), pochi assoli ma buoni. Dubito che il pezzo sia rappresentativo di quel che sarà The Book of Souls ma, giunto mentre scrivo a oltre dieci ascolti consecutivi, posso asserire che mi sta prendendo abbastanza bene. Non sarà The Wicker Man ma manco Mother of Mercy. A voi il video ufficiale, con un Eddie perso nel mondo del retrogaming (Ciccio Russo):